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domenica 27 novembre 2016

ENNESIMO CONVEGNO SUI CENTRI STORICI SICILIANI


A PROPOSITO DEL CONVEGNO SUI CENTRI STORICI DI SICILIA


Il convegno sui centri storici di Sicilia che si è consumato a Palermo, appartiene all'ennesimo tentativo di stimolare una politica che in Sicilia per i centri storici non c'è, così come assente resta un vero interesse dei cittadini. Da noi manca la cultura del recupero. Amiamo le nostre città solo a parole. Siamo ancora attaccati al “nuovo è bello”. Perché quest'ultimo convegno non resti un semplice esercizio della parola dotta, accademica o una passerella per gli ospiti politici e non, dovrebbe convincere con i suoi argomenti che recuperare i centri storici è un'operazione possibile e dovuta. Resta la consapevolezza che i poteri politici autarchici per queste aree poco “appetibili” si muovono con lentezza e non concludono. Manca una vera volontà politica e progettuale con orizzonti temporali di lungo periodo. Anche più lustri amministrativi non bastano per la complessità dei problemi urbanistici e per la reperibilità delle risorse economiche occorrenti.Per intervenire sul territorio per restaurare, recuperare, prima di tutto, bisogna sapere dove trovare, attingere in tempi lunghi una gran quantità di risorse che non di rado proprio la nostra cara Sicilia si è lasciata sfuggire dai finanziamenti europei. Sul tema, non mancano pregressi convegni che si sono estinti nel giro dello stretto tempo del suo stesso svolgimento. Insomma mi sia consentito di chiosare sull'ennesimo evento culturale non senza un minimo di scetticismo. Vogliamo Recuperare i centri storici? Benissimo.La prima cosa che vorrei dire in merito è quella che osservo da tempo e mi sono posto: ma i Comuni hanno indagato quale gruppo sociale, massimamente, è andato formandosi e occupa i centri storici? La Regione ha il polso di quella che è la domanda di casa nel territorio?Ecco queste le propedeutiche osservazioni che dovrebbero orientare ogni eventuale intervento nella moltitudine di bisogni che il panorama dello stock edilizio in sfacelo presenta in Sicilia. Per citare un esempio della nostra terra pirandelliana, Caltanissetta anni addietro ha cercato di iniziare un recupero del suo centro con un intervento definito “pilota”, è stato avversato per le scelte poco di restauro e più di sostituzione, si è fermato, e ancora oggi si attende una soluzione. Nel frattempo, quell'area continua a degradarsi e a trasformarsi in un insieme di ruderi e cumuli di macerie. Ecco questo succede alle amministrazioni locali come quella nissena che sembra tirare a campare mentre i cittadini aspettano che, come diceva il celebre Eduardo: “a dda passà 'a nuttata”.Il centro storico per la cultura è il luogo della memoria che permette di leggere le stratificazioni nelle tipologie e nell'ordine entropico che l'umanità ha lasciato nel corso dei decenni, dei secoli. A questo punto cercare ancora di porsi come obiettivo la modifica (pur necessaria) di un testo di legge, forse ampiamente discutibile, non mi sembra un obiettivo attuale e cogente. Piuttosto, forse ciò che serve, alla maniera di un crono-programma, sono un circostanziato elenco (luogo, area, tempo, risorse) degli interventi in un lungo arco temporale, con scadenze e risorse precise da rivendicare, in contrasto con le proiezioni a breve termine della produzione normativa i cui effetti la politica è solita praticare. Ma forse quanto detto è inutile e tempo perso se non si cercano le opportune condivisioni (tra pubblico e privato), non si mettono in atto incentivi e strategie per rendere “appetibili” gli interventi di recupero in centro storico.

Giuseppe Cancemi

sabato 19 novembre 2016

STEFANO DIPRIMA

A PERENNE RICORDO DI UN INDIMENTICABILE AMICO







BELLUNO e la moria degli alberi


INARRESTABILE TENDENZA ALLA DECIMAZIONE DEGLI ALBERI DEL CENTRO STORICO

  Abbattuti gli ultimi tre alberi superstiti di Piazza Piloni/via d'Incà. Due appena all'ingresso del Parco città di Bologna e l''ultimo appartenente all'alberatura ornamentale che affianca l'Ufficio delle entrate già Convento dei serviti.

Via d'Incà: albero superstite prima del taglio

Anche questo abbattimento fa parte di una discutibile scelta politica, che da un paio di lustri a questa parte, con motivazioni pretestuose, caratterizza una “mano pesante” sulla manutenzione degli alberi. Quel filare di essenze che costeggiava un antico reperto storico oltre ad essere un ornamento, svolgeva alcune importanti funzioni come la riduzione dell'inquinamento acustico e atmosferico e una contribuzione al risparmio energetico con il suo raffrescamento passivo contro la calura estiva, facendo da schermo all'irraggiamento solare.  Può darsi che nella manutenzione del verde pubblico, qualche albero debba essere per necessità tagliato, ma è molto strano che in una città come Belluno, un centro città giardino, in poco tempo venga privato, sistematicamente, di parte del suo patrimonio verde accumulato in non pochi anni. 

Albero di via San Lucano prima della sparizione
 silenziosa

Solo quest'anno, la città ha visto sparire, in silenzio, uno storico maestoso albero come quello di via San Lucano, che faceva da immagine di primo piano all'orizzonte sul Piave. Altri in via Cavour, allineati lungo il marciapiede, uno sì e uno no, sono stati anch'essi tagliati non senza un qualche altro ritocchino arboreo eliminativo nella piazzetta della Fontana di via Santa Maria dei Battuti. 





Coppia di alberi presenti in
 Piazza Piloni  prima del taglio


Noto una grande contraddizione tra la cultura bellunese dal pollice verde, di lunga tradizione, per mantenimento e sviluppo del patrimonio naturale verde  e l'attuale tendenza a diminuire drasticamente tale eredità.  Non sembri strano, ma anche la recente legge nazionale n. 10/2013, coincide con la vivibilità degli insediamenti segnati dal verde, così come mostra l'eredità urbana bellunese. Per la verità non sappiamo cosa finora ha fatto anche il Comitato per lo sviluppo del verde pubblico presso il Ministero dell'ambiente, che avrebbe dovuto monitorare l'attuazione della legge.

Registro anche un grande silenzio per questo scempio di immagine urbana oltre che di depauperamento, ma non mi stupisce. Già altre occasioni di attacco ai diritti di cittadinanza come salute o perdita costante di identità del centro storico, fanno girare dall'altra parte organizzazioni, partiti e habitué locali della protesta fine a se stessa.

Eppure, una controtendenza pervicace, forse per motivi che non sappiamo, si ostina ad avversare perfino gli obblighi di legge come quello di mettere a dimora un albero (dal 2014 in poi) per ogni, anagraficamente, nuovo nato o adottato.

Il fine mandato amministrativo di Belluno per scadenza naturale, comunque,  è prossimo, e un paio di mesi prima sapremo meglio e di più, anche su tutto il bilancio arboreo come atto dovuto verso i cittadini al termine di mandato. 

Resta in ogni caso l'amaro in bocca, per questa tendenza che sembra inarrestabile a Belluno. Si eliminano sistematicamente, con protervia quegli alberi che da sempre hanno fatto parte del patrimonio naturale e dell'immaginario collettivo di verde urbano in un tutt'uno con la città storica.


Giuseppe Cancemi


IL GAZZETTINO

pagina di Belluno


Rilevo che l'essenza Paulownia tormentosa in media vive 150-200 anni. 
E la vista sul Piave, come skyline visto dalla via San Lucano, non rimane come una tesserina mancante  dal puzzle che riguarda l'identità di Belluno?


sabato 12 novembre 2016

Belluno e l'inquinamento acustico delle feste paesane


MA LA SALUTE DEL CITTADINO, CHI LA DIFENDE?

Egregio signor Sindaco, sicuramente Lei e altre personalità della città non abitate in centro storico. Altrimenti, avreste “beneficiato” come me e tanti altri sfortunati abitanti del centro, delle assordanti ripetitive note di bassa frequenza che sono semplicemente ossessive. Lo dico con cognizione di causa perché da tempo sono costretto a subire le  insistenti “torture” acustiche delle feste strapaesane. Feste, nelle principali piazze, che provocano più volte all'anno un inquinamento acustico in barba alla normativa italiana e al Suo, locale, “REGOLAMENTO DELLE ATTIVITA’ RUMOROSE” (sic!).

 Della salute dei cittadini vessati da tali abusi tollerati o anche autorizzati dall'autorità comunale, poco interessa. Eppure l'ordinanza del 4 ottobre 2004, del Tribunale di Venezia precisava, tra l'altro, “come le immissioni sonore che superano di almeno tre decibel il livello del rumore di fondo in una determinata zona ed eccedono, quindi, la normale tollerabilità, siano idonee a ledere, di per sé, il diritto alla salute, potendo determinare delle limitazioni funzionali – pur anche soltanto temporanee – dell’integrità psicofisica degli esseri umani, a prescindere dalla dimostrazione concreta di una vera e propria invalidità permanente“. Il centro storico di per sé meriterebbe rispetto, e il silenzio ne fa parte. Purtroppo, però, questo resta ancora componente sconosciuta da parecchi.  La città storica, stratificatasi nel tempo, che ospita gli ultimi resistenti ai maltrattamenti delle amministrazioni urbane, ha fin qui dovuto subire obtorto collo il continuo deteriorarsi di una condizione di forzatura del centro storico, luogo di idoneità senza compromessi a misura d'uomo. Le tre principali piazze, sono utilizzate come bancomat e dunque tolleranza e autorizzazioni per ogni manifestazione inquinante o meno dell'aria: con parcheggi, raduni di mezzi meccanici, “cicchet” notturni, presenze di balordi rumorosi, writers e vendita indiscriminata di ogni sorta di mercanzia. Il giorno dopo, di San Martino, per citare un esempio, assillato da un assordante musica tump... tump... ho provato a telefonare ai vigili urbani per denunciare l'assurdo inquinamento diffuso a tutta birra in Piazza Piloni e dall'altro capo una voce femminile, con nonchalance, mi ha risposto che avrebbe mandato un vigile. Tutto è continuato come prima. E anzi debbo ringraziare che stavolta mi ha risposto qualcuno, anche se inutilmente. In altri anni, per l'inquinamento acustico di un vicino bar, non trovando alcuno in Comune, ho dovuto chiamare il 112 e anche il 113, intervenuti, ma sempre senza alcun esito. Insomma, il povero cittadino appartenente, massimamente, a una delle fasce deboli della società che ha scelto di vivere in centro storico, deve fare le sue brave deduzioni e pensare di trasferirsi in altra zona, rinunciando alle congeniali condizioni di vita che offre il centro storico in quanto da sempre considerato a misura d'uomo. Alla faccia dell'agognato ripopolamento in centro di questa Giunta comunale. A questo punto viene da chiedersi: chi, quando e dove si fanno controlli di inquinamento sulle manifestazioni a forte componente inquinante? Ma anche gli schieramenti partitici dove sono e di cosa si occupano? Possibile che se la maggioranza, diciamo, sbaglia, l'opposizione non si fa sentire, specie in fatto di diritto alla salute? O, forse, oramai il tirare a campare fa vivere meglio tutti?

Concludendo, signor Sindaco, a Lei primo cittadino di Belluno e alla Giunta, suggerisco, sommessamente, di passare un pomeriggio e notte in una piazza del centro, mentre impazza una delle tante feste bellunesi, specie di quelle estive da godere con le finestre aperte. Vedrà che l'ospitalità di una qualsiasi abitazione delle tante sfitte in centro storico e l'effetto presenza Vi potranno essere di aiuto per comprendere quello che ogni singola empatia, forse, non consente. 


Giuseppe Cancemi


lunedì 12 settembre 2016

AMMODERNAMENTO STRADA STATALE N. 640



OPERE DI COMPENSAZIONE

Il passaparola o web tam tam che circola nei blog nisseni di questi giorni, invita i cittadini a presenziare l'incontro che mette insieme amministratori del passato ed attuali sul tema delle “opere di compensazione” promesse alla città, a seguito dei lavori di raddoppio della carreggiata della strada statale 640 intesa anche come strada “degli scrittori”.

 I prodromi di tale incontro sono stati finora parole in libertà, forse, dico foorse... volutamente cariche di aspettative salvifiche per un astratto aiuto all'economia ma soprattutto poco chiare per una obiettiva valutazione. Per essere più precisi, bisogna prima di tutto chiarire cosa sono le cosiddette opere di compensazione. Il termine appartiene ad una estensione, per linguaggio, di tutte quelle opere che hanno un impatto sul territorio e che debbono essere “ricompensate” e o “mitigate”. L'ambito linguistico di origine riguarda l'ambiente naturale e il paesaggio nonché la loro relativa interazione con le progettate trasformazioni, siano esse urbane che extraurbane. Le sbandierate “opere di compensazione” a Caltanissetta ci richiamano la difficile contesa sempre presente tra le decisioni politiche e la partecipazione democratica che VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) e VAS (Valutazione Ambientale Strategica) normativamente contemplano. Queste sigle ci riportano al centro dell'eterna contesa tra interesse locale e interesse generale riassunto in un acronimo che nel linguaggio anglosassone è conosciuto come NIMBY (Not In My Back Yard) e che in italiano vuol dire: “Non nel mio cortile”. Ecco i nisseni parlano di “opere di compensazione” che più che tali sembrano una sorta di baratto che nulla ha a che vedere con una progettualità compensativa obiettiva, nella complessità socio-economica della comunità nissena da “compensare”. In uno dei sei punti ribaditi 18 mesi fa, dall'on. Pagano attraverso la stampa locale, si legge, per esempio, per un'opera di svincolo stradale: “Allo stato attuale non è stata posta in essere alcuna azione per mancanza di indirizzi da parte dell’attuale Amministrazione Comunale”. Un semplice esempio significativo di progettualità priva di una “rotta” per una “nave sanza nocchier in gran tempesta” mi sembra una compensazione massimamente rivolta, forse verso una migliore viabilità, ma non organica con quella che dovrebbe essere la fondamentale nozione di “sostenibilità” che si è affermata nella cultura ambientale nonché socio-economica. Trovo una sola opera, tra quelle contrattate, sicuramente idonea ad essere approfondita ed è il risanamento e la politica della discarica (controllata), esclusiva per la frazione organica, di Monte Stretto. Su quella, e sulla non più eludibile raccolta differenziata dei rifiuti, la comunità locale nissena, deve insistere. Deve cioè appropriarsi della giusta “etica della responsabilità”, come si diceva una volta a proposito dei rifiuti, ritenendo “imperativo il dovere” di smaltire i rifiuti dove si producono. Una perplessità, però mi assale, quando penso agli incontri pubblici tra ex e attuali amministratori che si annunciano con scaramucce bizantine come quelle apparse sulla rete (web) locale. Penso solo, ma spero sempre di sbagliare, che non finisca come per i capponi di Renzo nei Promessi Sposi di Manzoni.


 Giuseppe Cancemi

martedì 23 agosto 2016

Il centro storico non si tocca. Anzi, va conservato nelle migliori condizioni!

Piccole furbizie per superare i dinieghi della Soprintendenza?


Tra le notizie di quest'estate, che appaiono sulla stampa di Belluno in questi giorni, alcune riguardano il centro storico, il cuore della città. Si riparla delle nuove edicole di via Vittorio Emanuele e di via Matteotti - eufemisticamente chiamandole "riqualificazione dei chioschi" - e della trasformazione delle "tendopoli" dei bar di piazza della Resistenza in recinti, paraventi, gabbiotti elegantemente chiamati: "dehors bar" e l'occupazione di suolo pubblico "plateatico". Queste notizie, chissà perché in tempo balneare, hanno entrambe il sapore che qualcosa non quadra. La Soprintendenza le osteggia, mentre il Comune invece si dichiara favorevole o non contrario.
Obiettivamente la Soprintendenza vuole evitare, che alcuni bar aumentino la loro volumetria in centro storico a spese dello spazio pubblico, con inopportune strutture che diventerebbero fisse anziché rimanere removibili. Non diversamente, appare l'occupazione con nuovi volumi delle edicole che, per esempio, potrebbero allocarsi in locali già esistenti.


     Il nuovo, il modernismo a tutti i costi, passa effettivamente attraverso la svendita degli ultimi scampoli di suolo pubblico in centro storico? O bisogna pensare ad altro: la conservazione per esempio, che è il vero il valore aggiunto di un luogo con un proprio genius loci?

Giuseppe Cancemi

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sabato 2 luglio 2016

L'ESPERIMENTO DI VIABILITA' (sic!) in Piazza Duomo a BELLUNO

LA MONTAGNA  HA PARTORITO UN TOPOLINO

Qualche stallo legittimo tra gli spazi occupati da auto in sosta abusiva.

Sembra... che la città abbia solo un unico problema: dove parcheggiare le auto. La stampa quotidianamente riporta una qualche invenzione dei commercianti del centro storico, fatta apposta per fare confluire più auto nelle principali piazze che rappresentano il "genius loci", l'anima  di Belluno città. Inutile dire che le auto non possono e non debbono stare in quella parte di città che è nata a misura d'uomo. Comunque, l'allontanamento delle auto dai centri storici oltre che salutare è anche culturale. E con la cultura sì, si mangia!

Già il cartello che associa una la parola "sperimentazione" con "viabilità" e non mobilità, la dice lunga sul modo di concepire la vivibilità urbana che dovrebbe avere al centro dei suoi interessi il benessere e la felicità dei cittadini.
Invece... invece a Belluno, in barba a qualsiasi principio, si continua a discutere solo e sempre in merito ai parcheggi.

L'Amministrazione della città - vuoi perché siamo a fine mandato, vuoi perché chi "grida" di più ha ragione, oppure che ha ragione chi mostra i "muscoli" di un ostentato seguito elettoralistico - alla domanda ossessiva di parcheggi rinuncia ad una politica che prima di tutto deve essere sostenibile. Assecondare un bisogno non reale ma indotto, significa socializzare i costi di una non sostenibilità e privatizzare i "guadagni".

Vorrei solo ricordare a chi legge, che il comodissimo parcheggio Lambioi,  servito da una gratuita scala mobile è vicinissimo alla piazza Duomo e a pochi passi da due parchi. Ha sempre molti posti disponibili e il costo orario non è esoso. Eppure, chi esercita un commercio in centro storico, qualche decina di esercizi, vorrebbe e in parte lo ha, un centro invaso dalle auto. Il Comune, diciamo, per questa concessione, non di rado deve fare i conti con una diffusione acustica fuori controllo che non riesce a verificare per orario di servizio dei vigili e con mezzi propri.
A proposito, i vigili locali hanno un fonometro per controllare le emissioni che superano i decibel assegnati alle varie zone?
Ricercare a tutti i costi uno spazio per le auto (fuori luogo in centro storico) che  hanno già un comodo e spazioso parcheggio è un assurdo. Non pensa, dunque, il Comune che i richiedenti nuovi e riorganizzati parcheggi debba cambiare strategia?
Per esempio: un Lambioi collegato ad apposita APP per pagare e allungare eventualmente i tempi e, da parte degli esercizi commerciali, dei bonus  gratuiti per l'affezionata clientela non sarebbe meglio per tutti?
Pensate gente... pensate!

Giuseppe Cancemi

P.S. Mi sovviene in mente, tardivamente, che all'art. 36 del Codice della strada al comma 5 - Il piano urbano del traffico viene aggiornato ogni due anni.  Belluno, se non sbaglio, non mi risulta che di recente abbia aggiornato il suo Piano Urbano del Traffico e questo, forse, dà alla modifica di circolazione (parcheggio in piazza Duomo) una qualche ombra di illegittimità, risparmiata dal tempo tardivo di questa mia osservazione.
G. C.




lunedì 30 maggio 2016

Cacciatori a scuola



Didattica dell'ambiente naturale affidata ai cacciatori

Chi pratica l'attività venatoria, in materia di ambiente naturale, non può essere un buon maestro! Altera la naturale etologia relazionale uomo-animale.


E' CREDIBILE L'AMBIENTALISMO DEI CACCIATORI?


Senza alcun spirito di polemica, brevemente, al Presidente provinciale dei cacciatori di Belluno, si ribadisce che la semplice presenza di un “cacciatore” nelle aule scolastiche, evoca nell'immaginario dei discenti, un qualcuno che nel mondo moderno, pratica un'attività che appartiene al passato remoto. L'uomo che per sopravvivenza, prima di conoscere l'agricoltura, praticava la caccia e la pesca. Una persona che, in tempi moderni, dell'uccisione di particolari specie animali ne fa uno “sport” e delle armi un “totem” della sopraffazione che esalta la supremazia dell'uomo sulla fauna.
Pur parlando della natura in termini di prevenzione dei rischi e/o di manutenzione degli ambienti naturali - come asserisce il Presidente dei cacciatori bellunesi - ad adolescenti e giovani studenti, l'uomo, "predatore" di animali, si pone come poco credibile nell'etica della comunicazione. Predica per l'attenzione agli eventuali pericoli che esistono in ambiente naturale per l'uomo, ma non esita ad uccidere gli animali oggetto di caccia. Una incomprensibile contraddizione sulla concezione di vita o di  morte che alcuni umani hanno verso altri esseri viventi.
Per concludere, è mia convinzione che la figura del cacciatore, trova terreno fertile in chi ha una concezione antropocentrica, ma che fortunatamente da tempo viene messa in discussione, nelle civiltà più evolute. E tutti, oramai, sanno che la caccia ha ragion d'essere solo per la lobby delle armi e meno per la difesa della natura che è solo, diciamo, un paravento.
Dunque caro Presidente, la presenza dei rappresentanti di una cultura venatoria, se pur legittima, stride col panorama del sapere consapevole di cui si serve la scuola. Una ricerca di visibilità nell'ambiente scolastico a tutti i costi, con temi che i piani formativi scolastici affrontano con appropriata pedagogia e scientificità, rischia di apparire più come una legittimazione morale che non altro.
 Le nuove generazioni, più informate, nel confronto col mondo esterno alla scuola, semmai, debbono imparare a dibattere - nella specificità dei temi ambientali - il mantenimento della biodiversità e degli ecosistemi, la difesa faunistica e, complessivamente, il concetto di sostenibilità.


Giuseppe Cancemi

mercoledì 18 maggio 2016

Belluno e la viabilità sperimentale

Specie umana "automobilista indisciplinato"                          

Il cittadino rispettoso dell'ambiente - specie in via di estinzione - in quanto sensibile alla natura, ha dimestichezza con i temi delle specie viventi e in particolare dell'homo sapiens.
A Belluno da tempo, ahimè, è costretto ad assistere al fenomeno della spazialità urbana: "come ti liberi ti occupo", tutto italico, che alberga in centro storico.
L'adattamento della specie “automobilista indisciplinato" il Comune la "osserva" da lungo tempo proprio in un luogo privilegiato: piazza Duomo.
La foto mostra, come la perenne fase sperimentale nell'agorà continui.
La metodologia adoperata nell'osservazione, fa leva su uno spostamento continuo dei grandi vasi dissuasori, allo scopo di impedire un eventuale parcheggio (solo nominalmente ritenuto abusivo).







Le varie risposte all'osservazione condotta dal Comune - tra uno spazio delimitato che si allarga, per così dire, ora verso l'area  laica (la  Prefettura) o, in alternativa, verso l'area religiosa (il Duomo) -  inducono ad una facile conclusione (vedi foto) che testimonia un fatto: comunque la si rigiri, ad ogni creazione di nuovo spazio, la specie "automobilista indisciplinato" si ricolloca. Non senza confidare, però, in una tolleranza già collaudata.


Giuseppe Cancemi


Belluno, 30 maggio 2016

NOTA 
Leggendo l'articolo si ha l'impressione che:
- si vuole mantenere la volontà di perseguire una politica della circolazione stradale, in controtendenza  con gli orientamenti europei;
- la tolleranza a reprimere gli abusi, può essere elastica a convenienza;
- non si vogliono avversare i commercianti e L'Ascom per pochi inutili parcheggi.
Insomma, un atteggiamento complessivo poco accorto a quella parte della città che rappresenta l'identità urbana: il centro storico.



lunedì 16 maggio 2016

ERBARIO-MUSEO







Il Parco delle Dolomiti patrimonio dell'umanità si conosce, il centro di accoglienza ERBARIO-MUSEO di Belluno, presente in adiacenza con il Circolo Culturale “Piero Rossi” è meno noto, ma assai interessante per il territorio, e non solo.
La struttura è un luogo di studio e di apprendimento che tutti dovrebbero conoscere. 

Archivi cartacei, reperti storici di erbari con piante essiccate provenienti dalle essenze presenti sulle Dolomiti, accogliente sala-archivio multimediale e una qualificata guida scientifica sono a disposizione delle scolaresche di ogni ordine e grado ma anche di un pubblico adulto.

Personalmente ho visitato questa preziosa risorsa culturale e trovo che sono migliorabili gli orari di ricevimento del pubblico, la riconoscibilità del luogo e la divulgazione di questo particolare sapere. Auspico che si faccia una adeguata pubblicizzazione e si dia una migliore visibilità di cui non noto i segni e le premesse. 


Al di là di questi miei opinabili rilievi, mi sembra che questo nuovo inserimento nel novero delle agenzie culturali è un buon segno di ulteriore promozione territoriale, che arricchisce le opportunità, le conoscenze e il vivere sociale.

Giuseppe Cancemi

martedì 12 aprile 2016

LA COERENZA umana


NON CAPISCO ...


NON CAPISCO! La Sicilia ha estratto petrolio con varie compagnie in anni remoti ('50 e seguenti) e nessuno fino ad oggi si è accorto che inquinava e continua ad inquinare;

non capisco, perché tutte le volte che qualcuno prova a usare energie alternative pulite e rinnovabili, come per esempio quelle idriche, eoliche o fotovoltaiche l'alzata di scudi avviene come per le energie fossili;

non capisco, come mai in Europa l'Italia non rappresenti, come altri partner, un rischio per il nucleare e però paghi a caro prezzo l'energia prodotta dagli stati comunitari la cui propria vulnerabilità al disastro atomico la estende anche al nostro Paese;

non capisco, quelli che giustamente pretendono dalle comunità locali, dallo Stato servizi migliori, strade, trasporti, energia, internet, comunicazione individuale, etc. ma protestano od ogni minimo segnale di intervento, di ampliamento, di ammodernamento per le stesse rivendicate;

non capisco, quel coacervo di bandiere di strane “tifoserie”, quando si agitano per ogni “venticello” di lato, di centro, di sopra o di sotto pronte alla “baruffa” di tutti contro tutti e tutto, specie quando una qualsiasi iniziativa nuova compare all'orizzonte in qualcuno degli italici “orticelli”;

non capisco, le rivendicazioni, la opposizione a tutto o a quasi tutto dalla modernità, pur usando individualmente a piene mani ogni prodotto delle moderne tecnologie;

non capisco, la doppiezza di ognuno nei temi di interesse generale a seconda se siamo nel campo dei fornitori o dei fruitori di un servizio, di un bene;

riconosco benissimo, però, l'antico vezzo che opponiamo al “disturbo” quando qualcosa ci tocca da vicino, ci “inc....mo” e facciamo scattare sempre: Not In My Back Yard (pressappoco, non nel mio giardino!).


Giuseppe Cancemi

domenica 10 aprile 2016

CALTANISSETTA E UNA DELLE SUE RISORSE




MUSEO DELLA ZOLFARA


Tra sei mesi o più, poco importa, avremo il museo della zolfara. Leggo che la struttura ospiterà una importante museo mineralogico, paleontologico e della zolfara con un’esposizione permanente dedicata alla tecnologia mineraria per l’estrazione dello zolfo in Sicilia. Una struttura la cui impronta che si vuole ripercorrere resterebbe di tipo scientifico-geologica, tecnica e tecnologica. A parer mio limitare il museo agli aspetti dichiarati mi sembrerebbe assai riduttivo nei confronti dell'umanità e del fare della stessa che ha attraversato quel periodo. Penso, particolarmente al ruolo dell'industrialismo ottocentesco siciliano e nisseno in particolare, il quale, con la sua economia non più solo primaria, o comunque legata all'energia al territorio (idrica) proiettava anche nella nostra città nuova luce. La parte materiale sintetizzava nel centro storico la cultura mittel europea dell’abitare (spazi di vita collettiva, palazzi e arredi urbani), delle prime conquiste nei diritti dei lavoratori ma, soprattutto, per la parte spirituale, esprimeva una forte vocazione che trovava nei  riti religiosi e negli oggetti di devozione un culto unico. Insomma, ritengo che in una storicizzazione museale si debba ospitare una ricostruzione il più possibile a 360 gradi.


Giuseppe Cancemi


Belluno, Piazza Duomo

MOSTRA PENSATA O MOSTRA IMPROVVISATA?


Passando e ripassando per Piazza Duomo, mi sono più volte soffermato a guardare la mostra di “Barbara Cappochin”. Cinque Tavoli appositamente progettati per esporre le immagini dei vincitori del Premio Internazionale di Architettura. Dunque, se ho ben capito, gli oggetti della mostra sono due: copie di una scelta di alcuni degli elaborati riferiti ai vincitori del Premio e 5 tavoli, diciamo, “contenitori” progettati appositamente per rappresentare la “Mostra”. Confesso che non è stato comunicativamente intuitivo (ma forse questo è un mio limite) accorgermi che la mostra aveva un duplice scopo. O no?!!


Ciò premesso, mi permetto di rilevare quanto, a parer mio, mi è sembrato di osservare.
Inizio con la comunicazione della mostra che non può non essere stata pensata e soppesata. Eppure, per come appare, mi ha dato una prima impressione di un evento affidato, semplicemente, alla bontà dei contenuti del premio e dei contenitori appositamente progettati e realizzati. L'immagine complessiva che ho ricavato, mi è sembrata, priva di una progettualità espositiva, di un approccio, di un raccordo comunicativo nonché di un tramite  tra l'oggetto mostra e il fruitore. Il sociologo McLuhan, e non io, dà un'alta valenza alla struttura comunicativa, ritiene che debba incidere sui modi di pensare, di osservare e di comportarsi di ogni fruitore/visitatore. Insomma deve indurre qualcosa di più al semplice guardare e tutt'al più, semplicisticamente, ricavare un giudizio di bello/brutto. La spiegazione dell'intera mostra era contenuta in un foglio formato A2 (credo) e il carattere mi ricordo doveva essere corpo 14 o forse 12. Poco più evidente che una comunicazione burocratica, un contenuto di caratteri alfanumerici d i sommessa visibilità che non dava un risalto orientativo alla comunicazione. Nel merito delle immagini nulla da dire, ovviamente, ma non ho trovato alcun aiuto alla lettura. Cioè, non c'era un percorso di lettura, una guida, un commento, nulla. Forse, la comunicazione voleva essere sottintesa. Voleva probabilmente lasciare spazio alla comprensione del tutto, mediante il libero arbitrio del “lettore”, immaginandolo solo un “addetto ai lavori”.  Ma la mostra non serve a veicolare, amplificare gli effetti di un evento culturale, nonché a socializzare ed eventualmente a far condividere o meno i contenuti mostrati?

Nel merito della realizzazioni dei “Tavoli” mi permetto di far notare che una, non solo mia, personale constatazione portava ad avere qualche perplessità nei confronti, specialmente, di uno dei tavoli che rendeva difficoltosa la lettura del contenuto mostrato. Forma del tavolo e posizione delle immagini mostrate non consentivano un'agevole lettura. Suggestivo, forse anche esclusivo ma che fa pensare al rapporto proprio tra utilità e design di un progetto.
La funzione in un oggetto da progettare o progettato non è un optional.
E visto che si trattava di una mostra del “Premio Internazionale di Architettura” le poche osservazioni da me fatte dovrebbero fare riflettere gli organizzatori.
Due partecipazioni alla condivisione col grande pubblico dei visitatori, mi sono sembratati quanto meno fuorvianti. Si sono voluti mostrare due insiemi diversi per progettualità, per ambiti (locale e internazionale) e per fattualità. Un intreccio tra rappresentato e realizzato, segnato da una subalternità.
In conclusione, ad esser sincero, confesso che l'evento di grande spessore di un ambito culturale, come quello di architettura mostrato in Piazza Duomo, ripensato nei miei ultimi passaggi mi è apparso, a rifletterci, più figlio di una casualità distratta, sicuramente e forse involontariamente banalizzato che non altro.


Giuseppe Cancemi

Le "AREE VASTE" in Sicilia




CONSORZIO DI COMUNI: con quale il criterio s'intende fare l'aggregazione?
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L'Italia delle Province si trasforma. La Sicilia comincia sostituendo le 9 Province con i Liberi Consorzi.




L'esempio di alcune aree interne.


Ma dove stanno i criteri d'aggregazione dei liberi consorzi delle cosiddette aree vaste?



Non mi sembra che i consorzi debbano essere ridotti ad un'aggregazione di Comuni, sommando in modo aritmetico le singole popolazioni degli aderenti. Mi spiace dirlo, ma così come si presenta, sembra mancare proprio della base di tutto: un progetto aggregante, elaborato “a più mani” e condiviso dai Comuni che hanno scelto di aderirvi. Per grandi linee, credo che un insieme disomogeneo di comunità locali, debba ricercare in un progetto comune, quei punti unificanti che comprendano, tra le aspettative, una strategia di politica favorevole allo sviluppo. L'appartenenza territoriale maggiormente allargata, voluta dai cittadini per libera scelta, deve nascere da una fusione del singolo campanile nel crogiolo di un nuovo modo di sentire, di essere.
La ratio che dovrebbe muovere la nuova aggregazione, non può non partire dai servizi da consorziare per ridurre gli sprechi e dalle risorse da mettere insieme per affrontare una nuova sfida che coinvolge per “aree” il futuro sviluppo socio-economico della Sicilia.

Giuseppe Cancemi

venerdì 8 aprile 2016

BELLUNO, gli alberi di Via Cavour

ALBERI, tagli annunciati


Di alberi dal 2012 a Belluno ne sono stati abbattuti abbastanza. Sono cadute piante ornamentali che, oltre a svolgere il loro ruolo più elementare di mitigazione del clima estivo e di conversione dell'anidride carbonica in prezioso ossigeno, “arredavano” e segnavano il riconoscimento dei luoghi. Alle lamentele di qualche cittadino per una “moria” arborea spinta, apparentemente inspiegabile, veniva data una giustificazione “tecnica” di opportunità e prevenzione per malattia delle piante e/o rimozione del pericolo per pubblica incolumità. Tutto normale. Chi amministra la città sa e fa e gli amministrati non sanno e debbono solo condividere obtorto collo. Da qualche giorno sono iniziati lavori di straordinaria manutenzione dei marciapiedi e si è iniziato con l'abbattimento di alberi. Il Sindaco, giustamente, mette le mani avanti e a mezzo stampa fa sapere che l'abbattimento delle piante, appena iniziato in via Cavour, rientra nella necessità di eliminare l'invasivo apparato radicale, presente su tutto il marciapiede, e dunque causa della sua sconnessione. 
A spanna quell'alberatura di via Cavour deve avere superato una trentina di anni o poco più. Questa datazione mi induce una semplice osservazione: quelle essenze arboree con quale criterio sono state messe? Sono state piantate mediante un progetto firmato da accreditato professionista o sono il risultato di una piantumazione così tanto per mettere degli alberi? Comunque, anche un semplice giardiniere avrebbe saputo che un albero per il luogo di impianto va scelto anche in base all'apparato radicale. Sappiamo tutti che nei marciapiedi e nei cimiteri, per esempio, vanno evitati alberi con radici fascicolate. Di solito, infatti, sono le essenze con radici fittonanti le più utilizzate nei viali alberati a scopo decorativo, architettonico, ecc.. 
E' il caso di dire: alberi sì ma non a c...o

E' strano come sia accaduto che solo oggi ci si accorge degli alberi non idonei al marciapiede di via Cavour impiantati in un periodo in cui la pratica urbanistica sarebbe dovuta essere quella tecnica prima e contrattata dopo, dunque sottratta all'empirismo delle opere pubbliche del capo mastro. Ma si vede che così non è stato e il tempo lontano (relativamente) forse, non ci permette di conoscere le eventuali responsabilità. Viene da chiedersi: ma il danno dell'abbattimento di alberi maturi, del marciapiedi da rifare e dell'impianto di nuove essenze arboree è o non è un danno erariale?
Il Sindaco promette il reintegro delle piante con il rifacimento del marciapiede e va bene. Ma questa volta, esiste un progetto dettagliato di opera stradale che comprende la piantumazione di alberi secondo criteri tecnico-scientifici o/e se si vuole estetico-architettonici o siamo alle solite riparazioni casarecce che ci faranno in un futuro prossimo malignamente dire: “pedo el taccon chel bus”?

A parte la facile battuta, il Comune, pur nelle mille difficoltà che incontra per la gestione della città, però, non può e non deve solo inseguire alla bisogna i guasti. Dedicare alla manutenzione anziché al nuovo parte delle previste risorse di bilancio è più saggio. Prevenire con una puntuale manutenzione programmata riduce i costi e mantiene i servizi sempre in piena efficienza. I cittadini si fidano, ma questa volta in tempi di internet, il primo cittadino faccia in modo che tutti possano vedere i progetti a partire da questo di via Cavour. Con l'occasione, il Sindaco, faccia anche sapere, visto che la sua amministrazione volge alla scadenza, quanti alberi sono stati messi a dimora per ogni nuovo nato o adottato durante il suo mandato. I bellunesi apprezzeranno sicuramente. 

Giuseppe Cancemi



APPENDICE DEL GIORNO DOPO (11 aprile 2016)

Dai lavori che prevedono l'abbattimento degli alberi in via Cavour, a giudicare dai luoghi, i conti non tornano. Lo scenario che attualmente si presenta appare con alberi abbattuti alternativamente, con una logica distributiva quasi geometrica, che lascia intuire più a un diradamento che non ad una soluzione, alla lettera, radicale. Si è scelto di eliminarli, uno sì e uno no, tutti in fioritura, e non senza abbondare sui sì. Sembrerebbe, che gli alberi graziati hanno un qualche merito per essere stati risparmiati. In compenso, è stata regalata ai ceppi rimasti una rifinitura da “figaro”. 



Eppure ricordo di avere letto che le piante da eliminare, causa del dissesto rilevato, rientravano in un “progetto di rifacimento”. Bene! Allora perché il taglio assomiglia più ad un diradamento che non ad una radicale sostituzione delle attuali piante con altre a radici fittonanti? Si vuole, forse, mascherare un'ennesima azione demolitrice di piante a Belluno, che sembra appartenere ad un ragioneristico disegno di riduzione delle spese nella voce a bilancio destinata alla manutenzione?


UDITE, UDITE... cosa dice il Dirigente comunale in merito alla questione verde pubblico






mercoledì 6 aprile 2016

BELLUNO: via San Lucano perde un altro albero, in silenzio ...ssst!

Fine di un albero che segnava un orizzonte patrimonio dell'immaginario collettivo


Un albero che “cade” in città, dovrebbe fare più rumore di una foglia. È invece no!
A Belluno il maestoso albero affacciato sul Piave che faceva da sfondo alla via San Lucano è sparito in perfetto silenzio, senza fare alcun "rumore". Nessuno si è chiesto o ha chiesto alla proprietà legittima il perché di questo abbattimento. Eppure quell'albero arcinoto nella memoria dell'immaginario collettivo ma anche nelle foto ricordo e nelle cartoline, è ancora vivo.

La cosa strana è che non sappiamo se residenti e autorità cittadine si sono accorti o si sono girati dall'altra parte ovvero, eventualmente, perché non sono intervenuti, chiedendo almeno alla proprietà l'impianto di una nuova essenza in compensazione di quella eliminata.

Non si spiega neanche come mai anche le associazioni ambientaliste, così tanto attente per altro, in questo caso hanno taciuto e tacciono.

Così, tanto per capire, ma il Comune - pur non esercitando, relativamente, alcuna potestà sugli alberi, fosse anche per quell'orizzonte verso il Piave, oggi impoverito - non aveva voce in capitolo per impedire o condizionare quella grave perdita?

Viene da chiedersi quali altre autorità locali e non, con compiti di tutela, potevano intervenire per quella drastica soluzione di taglio radicale, senza appello, e almeno pretendere il ripristino dello “skyline” con pari essenza già adulta?
Precedente visione
La situazione attuale













Albero abbattuto
Sicuramente ciascuna delle autorità preposte alla salvaguardia del nostro patrimonio dei beni culturale, che si occupano territorio e ambiente, hanno fatto il proprio dovere. Il silenzio però assordante di questa eliminazione non può farci rassegnare al “vuoto paesaggistico”che si è determinato e viene spontaneo domandarsi: dov'erano quando è stato abbattuto l'albero di via San Lucano? Un albero paesaggisticamente significativo, la cui immagine appartiene a tutti meritava almeno un minimo di trasparenza comunicativa ai cittadini bellunesi.

Per ultimo, appare sicuramente almeno curioso che nelle riprese di Google presenti in internet il luogo è visibile chiaramente senza quell'albero (abbattuto solo qualche mese fa) e dunque viene da pensare com'è possibile un simile tempismo di cancellazione della memoria visiva e rappresentativa in un'Italia dove i tempi di recepimento delle modifiche territoriali sono ben altri?

Provare a guardare su Google Maps per credere!

Giuseppe Cancemi



giovedì 17 marzo 2016

BELLUNO E IL COMMERCIO IN CENTRO STORICO


Quali  le scelte per rivitalizzare il centro storico?


      Sono molto d’accordo con il primo cittadino di Belluno sulla limitazione,  anzi “guerra” ai centri commerciali, ma obietterei che è un po’ tardino per pensarci e alquanto balzana l’idea  di un “chiosco di vendita per pastin” come esempio d’iniziativa concorrente, per rivitalizzare il centro storico.
Il lancio di una simile scelta politica suffragata nei fatti, da una grande indecisione sulle modalità d’ammissione del traffico in centro storico, mi rende ancora più perplesso.
Si aggiunga anche che i residenti del centro storico nell’idea di rigenerazione del centro storico sono assenti e un degrado latente si va manifestando, mentre si auspica un commercio (di vicinato) e magari al servizio di un turismo tutto da sviluppare. La convinzione che assecondare la circolazione automobilistica fa bene al mantenimento/sviluppo delle attività commerciali, è il “leitmotiv” che assilla la gestione del cuore della città. Forse, bisognerebbe interrogarsi sul perché gli acquisti nelle principali vie del centro sono in calo o non ce ne sono affatto. Siamo sicuri che la causa è dovuta unicamente alla mancata circolazione di auto? Non sfiora l’idea che potrebbero essere altri, i motivi della crisi commerciale? Per esempio: le tipologie delle mercanzie offerte,  i prezzi, il rapporto tra tipologia dell’offerta e la sua domanda, l’ampiezza delle scelte, la qualità dei prodotti, la esclusività o la inflazione di quel prodotto, etc., sono o no elementi che influiscono sul successo o meno di vendita in un dato luogo? Insomma fattori come quelli accennati che nulla hanno a che vedere con le auto nel cuore della città. Non potrebbero essere quelle, invece, le effettive ragioni di un allontanamento dal centro della clientela? Ecco, forse qualche dubbio in più dovrebbe fare riflettere amministratori e operatori  commerciali i quali imputano quasi tutto al traffico. Pensare ad una continuità commerciale che viene da lontano: con  il nonno prima e appresso il padre e dopo il figlio nella conduzione di un’attività economica andata sempre bene, quando circolavano liberamente le auto, non basta. Come non è sufficiente un inizio di attività commerciale sulla base di una semplice intuizione o convinzione che quel luogo continuerà ad accettare sempre le stesse condizioni e con la medesima tipologia di esercizio. Non è più tempo di empirismo. Gli operatori commerciali moderni oramai
conoscono e si servono di strumenti come il business planning, per verificare o iniziare un’attività. Non si può più investire senza prima avere indagato il mercato, le sue potenzialità e gli elementi che ne determinano la fattibilità di quel dato commercio. Insomma è opinione diffusa che il pianificare prima di investire fa parte delle buone pratiche che ogni azienda dovrebbe sempre avere presente prima di agire.  Non meno importante da parte pubblica, per un corretto uso della città, il Comune dovrebbe avere nel “cassetto” un Piano Commerciale aggiornato, e non solo quello, per dare risposte circostanziate agli operatori commerciali, prima di prendere ogni decisione. La complessità dell’organizzazione urbana richiede di conoscere prima di operare. Senza uno studio sociologico dei destinatari (residenti, commercianti, fruitori potenziali, etc.) l’insuccesso già sperimentato è assicurato.
Concludendo, senza acquisizioni essenziali: dalle condizioni sociali ed economiche, alla mobilità, ai servizi essenziali dei cittadini, alle relazioni tra le parti della città (centro storico, aree periferiche, territorio) non si va da nessuna parte.
Dunque, Belluno tiri fuori dai cassetti o prepari progetti e/o studi, dove il primato della politica, possa indicare le migliori soluzioni, alla luce delle conoscenze tecniche necessarie, per un contesto più complesso che si inquadri nel “sistema città”.


Giuseppe Cancemi