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venerdì 20 settembre 2019

TEMPESTA VAIA


Eliminazione delle ceppaie. Anche con esplosivo?



Non di rado, in questi ultimi tempi, la stampa locale si sta occupando di un problema “tosto” ereditato dalla tempesta Vaia. Si tratta di ciò che è rimasto delle parti di boschi rasi al suolo dall’imperversare di Vaia, fortunale che ha lasciato sul campo tantissime ceppaie che non facilitano il rimboschimento che si vuole fare. Quello che risalta di questo problema, è l’assidua e ripetitiva presenza sulla stampa di quella che sembra essere l’unica preoccupazione per la Regione: l'eliminazione delle ceppaie (non tutte, sembra) con esplosivo. Appare quasi come quella tecnica consumistica che si usa in pubblicità, che con il permanere di notizie e/o di immagini assillanti, si suscitano nel cittadino quei consumi indotti che non sono propriamente necessari.
Due noti esperti di demolizioni edilizie mediante micro cariche esplosive, sono i protagonisti delle cronache del dopo Vaia. Stanno studiando la possibilità di rimuovere alcune delle ceppaie rimaste dopo che la bufera ha raso al suolo interi boschi (41 mila ettari, si dice). I segni lasciati di qualche decina di milioni di alberi!
Ciò che si spera è, che se si dovrà usare l'esplosivo, la scelta traumatica per i luoghi sia attentamente vagliata nei suoi prevedibile impatti con un’accurato progetto mosso da un’attenta analisi di costi e benefici non dettati, come si usa fare, da logiche afferenti ciò che è solo monetizzabile.

Il progettato uso di esplosivo, da un punto di vista ambientale per eliminare le ceppaie sia pure con microcariche, suscita una qualche perplessità. Siamo in presenza di un intervento che ha un certo impatto con problematiche di tipo ecologico, agronomico e perché no anche di natura geologica, il quale impone una progettazione secondo natura non certo compatibile con la rimozione mediante cariche esplosive.


Va bene che sono micro esplosioni, ma si parla di cariche fino a 200 grammi che proiettano da 20 a 50 metri di distanza brandelli di ceppaie e tutto quanto sta intorno che, nei punti di utilizzo di cui si fa cenno (superfici con pendenze anche elevate), possono diventare piattaforme di lancio assai coinvolgenti per gli ambienti circostanti.

A giudicare dalle foto pubblicate sulla stampa locale, sulla rimozione sperimentale con esplosivo, di selezionate ceppaie è già iniziata. Nella preparazione della volata, però, qualcosa non convince. Una delle immagini pubblicate fa vedere il posizionamento in modo radiale di una delle cariche nella ceppaia: cioè in senso trasversale alle fibre, su un materiale per natura anisotropo quale è il legno. Le proprietà meccaniche del legno, si sa, hanno differente comportamento lungo le varie direzioni, e questo dà da pensare su quel foro.
Confidiamo però, che questi esperimenti fatti ad Asiago, non siano prove empiriche ma prove sul campo, circoscritte, per lo studio di modelli matematici di laboratorio al fine di testare, forse, i limiti della biocompatibilità. La rapida combustione qual è l’esplosione, anche se di superficie, qualche problema lo pone. Come minimo è un “disturbo” su larga scala. Una più o meno grande “scossa” dei luoghi che potrebbe influire sugli equilibri di tipo idrogeologico e forse anche tettonici. La propagazione delle onde sismiche generate, potrebbe “disturbare” qualche faglia e/o falda, agevolare qualche piano di scorrimento di frana, insomma interferire con la già precaria fragilità del territorio.

Non meno problematico è l’aspetto più complessivo di natura ecologica. L’ecosistema bosco rimasto, con le esplosioni, non sarà certo immune da forti disagi specialmente per le sopravvissute specie floreali e faunistiche. Oltre a subire le presenze umane dei mezzi e dei boscaioli in massa, dovranno anche resistere all'inevitabile forte inquinamento acustico e atmosferico.

La ricchezza di biodiversità, orgoglio della montagna certo, con sistemi che non sapranno prendersi cura dei biotopi sopravvissuti, rischia di essere pesantemente intaccata.

Da un punto di vista agronomico, senza essere esperti, è facile immaginare quale scompiglio sarà portato al suolo agro-forestale, se esposto ad esplosioni numerose ed estese. La vita del sottobosco e quella dei microrganismi del terreno allora, dove non è possibile operare con i mezzi conosciuti (fresatura e carotaggio), sarebbe bene forse, lasciarla com'è.
Meglio lasciare fare alla natura.
L’avanzata tecnologia delle microcariche forse fa risparmiare e in qualche caso è utile per evitare incidenti ai lavoratori ma non è certo amica dell’ambiente, dunque non sostenibile.

L’esperienza in materia di demolizioni anche
se adoperata per importanti strutture edilizie, non può essere esportata tout court nei confronti dell'ambiente. Scelte simili per luoghi dove esiste una natura, è il caso dire: "viva e vegeta", diventano una violenza verso quei biotopi che la subiscono.
Si rifletta! La montagna, i boschi, i fiumi sono luoghi naturali di vita che vanno trattati con
grande attenzione. Gli interventi più che mai debbono essere preceduti da uno studio di valutazione di impatto ambientale, non come atto formale ma piuttosto come atto sostanziale, capace di prefigurare gli scenari d’intervento, e non senza, eventualmente, propendere per l’impatto zero.


Giuseppe Cancemi


Il Gazzettino di Belluno 25/9/2019