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domenica 22 dicembre 2013

PROGETTO PILOTA



EMERGENZA CENTRO STORICO


L'esposto presentato dai professionisti, che si erano già opposti al cosiddetto “progetto pilota” redatto dall'Ufficio Tecnico Comunale, mette sul tavolo di un confronto, mai cercato o accettato dall'Amministrazione in carica, la carta pesante della richiesta d'intervento delle autorità giudiziarie e contabili. Per la verità l'Assessore all'Urbanistica a febbraio del c. a. aveva annunciato di dover gestire il recupero del centro storico mediante l'urban center (termine di origine anglosassone), volendo significare un percorso di processi decisionali nelle politiche urbane, al fine di migliorare il livello d’informazione, la conoscenza, la trasparenza, la partecipazione e la effettiva condivisione. Ma così non è stato. Con arroganza, il Comune ha fatto tutto da solo. Ostinatamente, ogni decisione e tutte le operazione che conducono alla strombazzata “posa della prima pietra” hanno escluso ogni pur minima partecipazione. Ironicamente, questo reclamizzatissimo atto simbolico della prima pietra è stato ribattezzato da qualcuno, come “ingresso della prima ruspa”, dati i presupposti del progetto.

Adesso l'oggetto del confronto si è spostato su un altro piano: quello del rispetto delle leggi. Nell'esposto, al di là delle diversità intepretative, nel modo di intendere l'azione di recupero in centro storico, già trattato dai professionisti in altro documento, ora, a fatto compiuto, con la consegna dei lavori, si evidenzia una misura colma per una discutibile osservanza procedurale, al limite della legittimità. La progettazione, nel segmento documentale che compete alla “conferenza dei servizi”, in merito alle autorizzazioni e alle conformità appare carente, come prima cosa per l'assenza di una approvazione paesaggistica. Se poi si prova a leggere l'approvazione del Soprintendente e del coadiuvante Responsabile di settore, le cosiddette prescrizioni sono generiche (appaiono più raccomandazioni che non precetti). Le prescrizioni, nella lingua italiana, vogliono significare precise imposizioni ai sensi di legge o da consolidati orientamenti e tendenze tecniche, architettoniche, culturali, etc. e non ambigue indicazioni generiche.
La “demolizione e arbitraria ricostruzione di due isolati del Quartiere Provvidenza” accusata dai professionisti che si oppongono al Progetto Pilota comunale, non può non fare ricordare a me stesso, per un verso, ma soprattutto per chi ha la responsabilità del progetto e della sua esecutività, le raccomandazioni della carta del restauro del 1987, la quale a chiare lettere re-spin-ge sin dallo stato di progettazione proprio le “rimozioni e demolizioni che cancellano il passaggio dell'opera attraverso il tempo”. Non è un caso che anche Leonardo Benevolo, membro della commissione che nel 1978 si è occupata della legge n. 457, trova discutibile persino “la parte che mette insieme restauro e risanamento conservativo” che a suo autorevole dire, parafrasando, quei tipi di intervento vengono interpretati come due gradi di tutela. ma che tali non sono, aggiungo io. Insomma, questo contenzioso che fa temere l'incognita di un futuro di “centro commerciale” (?) o di ghetto (?) e non di centro storico, appare, anzitutto, come il risultato di un “progetto pilota” privo di una ricognizione scientifica che è la base per una vera tutela della città antica e la “cura”, attraverso “la rigenerazione”,fa temere per la “morte biologica” del malato.

Giuseppe Cancemi

giovedì 19 dicembre 2013

SALVIAMO IL CENTRO STORICO DI CALTANISSETTA


IL PUNTO


Chi non ricorda la politica degli annunci, il “ghe pensi mi”, la protezione civile per ogni sorta di lavoro in emergenza, il continuo ricorrere alle conferenze dei servizi di recente memoria. Ecco, il recupero del centro storico di Caltanissetta pare che si stia muovendo imitando in parte la medesima metodologia.
Inizia per caso, con un annuncio in gazzetta ufficiale di bando nazionale «Piano nazionale delle città». Prosegue con un'affannosa preparazione in sede comunale di “pezze giustificative” per documentare l'aderenza ai criteri di selezione richieste nel bando, al fine di conseguire un finanziamento (ottenuto). Si revisionano gli studi già fatti sul centro storico e si attribuisce alla nuova proposta di intervento un taglio di emergenza e di messa in sicurezza, per carità prioritari, ma non esclusivi. Questa visione miope ha fatto però ignorare i superstiti abitanti, non prefigurare i nuovi insedianti, ha minimizzato la salvaguardia del centro (ombelico della città) quale documento storico-culturale parte integrante dei tasselli del quadro meridionale che si riuniscono nel mosaico Italia. Senza scomodare i tecnici, l'estensione del centro storico che conosciamo tutti, a spanna, ci fa intuire che saranno i posteri a giudicare se Caltanissetta ha saputo conservare cultura e “radici”, riconducibili ai manufatti. Vero è anche che i nisseni hanno la loro responsabilità (attraverso le scelte nel tempo dei vari amministratori locali) nel degrado dello stock edilizio, oramai non privo di edifici pericolanti e di macerie. La figura retorica “i medici che litigano mentre il malato muore” applicata al tempo trascorso, prima di questo annunciato intervento, calza a pennello. Ma la storia non finisce qui. Il punto a cui siamo giunti che si annuncia con lavori a gogò in centro storico non deve far stare tranquilli. Le istituzioni che hanno il potere di gestire gli interventi annunciati se credibili su quanto dicono di dover fare, non si mostrano tali con le azioni ufficiali. Sfornano annunci e si dimostrano poco trasparenti. E non solo. Intimidiscono (o meglio, tentano di intimidire) a vario modo tutti quelli che in questo processo di avvio del recupero hanno provato a mettere “bocca e faccia”. Anche chi scrive ha avuto, molto da lontano, uno strano avviso: il consiglio di astenersi dal mettere documenti pubblici esposti in questa pagina. Minacciato, di, eventualmente, doverne rispondere penalmente in sede giudiziaria. Con questi “chiari di luna” mi vengono in mente due cose: l'una che questi “funzionari e politici” non hanno chiari i confini di ciò che è lecito e del suo contrario e l'altra che hanno uno strano concetto di democrazia che si dovrebbe nutrire di partecipazione, condivisione e del diritto dei cittadini che in questo caso significa: di essere informati.
G. Saggio - vista dell'intelaiatura in legno 
Altre realtà territoriali in Italia, come Abruzzo, Trentino A. A. hanno saputo fare busines, attingendo a piene mani, da antiche sapienze dell'abitare, proponendo modelli di casa lignea antisismica con varianti più o meno moderne. Dove pensate che hanno attinto le tecniche costruttive antichissime, corroborate da un rinnovo, si fa per dire, di memoria borbonica?
Nelle esperienze presenti nel quartiere Provvidenza, come quella che si ritrova nella foto sapientemente mostrata da Saggio, lo scorcio evidenzia una intelaiatura a struttura lignea, in similitudine delle "case baraccate" o "colombage" che ci ricordano un passaggio architettonico, storico culturale di prevenzione dai terremoti oggi ancora attuale.
Purtroppo, la nostra realtà istituzionale locale non ha compreso o non vuole comprendere che quel mucchio di vecchie case, di ruderi e di macerie che è il centro storico, oltre a rappresentare le radici dei nisseni ha anche più di un pregio economico (se vogliamo essere venali), che lascio intuire all'intelligenza di chi legge.

Dunque, una scelta di recupero dell'insieme centro storico non può e non deve essere di “maniera”, con una scenica “antichizzazione” delle costruzioni, inseguendo un adattamento alla motorizzazione estraneo a luoghi già a misura d'uomo.

Giuseppe Cancemi

lunedì 16 dicembre 2013

Discutibile riutilizzo della scuola elementare "Gabelli"


"Una scuola che progetta un’altra scuola"

ITIS “Segato”

" proposta di ristrutturazione e riutilizzo dell’edificio delle scuole “Gabelli” di Belluno: una struttura destinata a ospitare i licei scientifico e classico, ma anche una biblioteca multimediale aperta a tutti, uno spazio polivalente e un museo storico."




***

L'opinione

L’intestazione della scuola al pedagogista filosofo “Gabelli” mi dà La motivazione per interloquire sul progetto di ristrutturazione realizzato dell’ITIS “Segato” che fa discutere i bellunesi. Non è un caso che quell’edificio sia stato denominato Aristide Gabelli. La titolazione di quella scuola ha un riferimento preciso nell’innovatore della scuola primaria di un’Italia risorgimentale appena unita. Rivoluzionario nel confutare il nozionismo, con un apprendimento liberatorio dell’essere. Precursore della filosofia pedagogica e didattica, relativamente recente, dell’americano John Dewey.
Dunque, la scuola Gabelli non può tradire lo spirito dell’organizzazione scolastica che è impressa in quei muri che la rappresentano. Progettare la ristrutturazione di un “contenitore” di tale “peso” sociale e culturale si può ma con una certa prudenza. Lo spirito che aleggia sulle opere dell’uomo, come l’edificio dell’elementare “Gabelli”, deve tenere conto non solo dell’umanità che lo ha attraversato e dei vincoli tecnico-urbanistici ma soprattutto della dimensione culturale che l’opera rappresenta. Il progetto non è una mera operazione tecnica.
L’esercitazione pratica di progettazione applicata ad un edificio scolastico come il Gabelli, fatta dall’ITIS “Segato”, è un segnale forte di sollecitazione per la competente amministrazione locale, un contributo didattico e un elemento di confronto culturale con gli operatori del settore edilizio, per i suoi suggerimenti esemplificativi di progettualità orientata al sostenibile.
Volendo elencare alcuni vincoli da cui muovere per un restauro con criteri di bioarchitettura e dunque ecosostenibile, bisogna prioritariamente stabilire quale sarà la destinazione d’uso del “prodotto finito”. Qui, senza alcun dubbio la destinazione non può che essere quella di una scuola primaria e/o per l’infanzia. Esiste una relazione di continuità per alcuni semplici motivi che sono il reale vincolo: standard residenziali da PRG; tempi di percorrenza (isocrone, da casa a scuola) in base all’età; rapporti volumetrici: vuoto/pieno (corpi edilizi, giardino) maggiormente idonei per quella fascia d’età dell’utenza.
Un secondo vincolo di tipo ecologico-economico-gestionale va letto in termini di input/output energetico nella realizzazione.
Un terzo tipo di vincolo sempre di natura ecologica, viene imposto da una crisi idrica che sta diventando sempre più endemica, e riguarda il risparmio nei consumi d’acqua potabile.
Nel complesso, la sfida che ci pone il restauro della Gabelli - perché restauro deve essere - in chiave moderna di adeguamento funzionale, tecnico e tecnologico, comporta un aggiornamento di parametri riconducibili a confort ambientale interno ed esterno con raffrescamento passivo, tecnologie di ottimizzazione dell’energia, protezione dalle radiazioni magnetiche, sicurezza sismica, autonomia energetica, multifunzionalità e condivisione, uso di cemento fotocatalitico (per l’abbattimento degli inquinanti organici e inorganici presenti nell’aria), verde e fito-depurazione delle acque, ecc.
Ecco! Sono questi gli elementi che dovranno essere messi in gioco nella sfida che trovo stimolante nel lavoro che vuole sollecitare l’ITIS “Segato”.
Il “metodo scientifico”, come principio, propugnato dal positivista Aristide Gabelli, simbolicamente, può orientare quella metodologia del fare che delle austere mura di una scuola già appartenuta ad una filosofia dell’impegno didattico compassato, si possa ottenere una scuola confortevole e gioiosa.
Dunque restauro nella sua complessità per la Gabelli e non semplice maquillage più o meno funzionale!
Un‘immagine, per dirla con Dewey, che sia “percezione operativa dell’efficienza dell’oggetto estetico” e non rappresentazione di un modernariato senz’anima.


Giuseppe Cancemi

giovedì 14 novembre 2013

PIAZZA GARIBALDI


I   L a m p i o n i



Ho letto, qualche giorno fa, che il Sindaco di Caltanissetta vuole sostituire i lampioni di Piazza Garibaldi e rifare la pavimentazione della medesima piazza perché già rovinata. Queste “luminarie”, si dice, che non siano state ben accolte dai nisseni sin dalla loro, relativamente, recente installazione. Lo stesso dicasi del rifacimento della piazza. Ora, questa ennesima lamentela su pavimentazione e corpi illuminanti, essendo quest'ultime opere di abbastanza recente acquisizione, fa pensare che a Caltanissetta o vi sono sempre i soliti “bastian contrari” costantemente pronti a brontolare o che le scelte vengono regolarmente dall'alto, in barba ai cittadini, da sempre considerati dei “sudditi”. 
Intanto, è grave pensare che si dissipino le scarse risorse economiche senza il dovuto riguardo che si dovrebbe avere per i soldi pubblici e che nessuno risponde, ad esempio, di acquisti e spese varie che non di rado si tramutano dopo poco tempo in sprechi. La volontà annunciata dal Sindaco di volere rifare tutto (pavimentazione e lampioni) di Piazza Garibaldi non è una buona idea in termini di economia e finanza pubblica. L'esempio del buon padre di famiglia dovrebbe bastare. Nella gestione familiare per i vari bisogni che si presentano in casa, generalmente, nessun padre fa promesse ai familiari che non può mantenere, né pensa di rifare a nuovo tutto ciò che può essere riparato e neanche sostituirà quel che ha già, per il semplice fatto che non piace. A meno che la famiglia non abbia eccellenti condizioni economiche. Nel nostro caso, non credo che le casse comunali lo permettano, anzi! Allora, forse, piuttosto che ascoltare le lamentele o empiricamente stabilire che quelle luci non vanno perché illuminano poco o esteticamente non piacciono, una controllatina agli elaborati progettuali, fatta dai tecnici comunali, potrebbe stabilire se la curva fotometrica degli apparecchi illuminanti è stata progettata secondo la richiesta intensità idonea ai luoghi. Se necessità vuole che si debbano cambiare i corpi illuminanti, allo stato, le motivazioni che più s'imporrebbero, fermo restando un design adeguato al luogo, sono i parametri di irraggiamento luminoso a bassa dissipazione termica. Non senza considerare, una contemporanea alimentazione dell'impianto ottenuta da energia fotovoltaica.

Piazza Garibaldi 

Per quanto attiene alla lamentata pavimentazione dove le “basole” sono “divelte” e “spezzate” viene da domandarsi se esiste una garanzia sui lavori consegnati, se il carico del traffico ha una sua responsabilità o se la collocazione dei conci è avvenuta o meno a regola d'arte, con la dovuta sorveglianza e con un accurato collaudo.
Per concludere, bene sarebbe forse, e non solo in questo caso, prima di rifare tutto e/o lamentarsi, agire legittimamente di più. Non esitando, ove necessario, nel portare all'attenzione della magistratura contabile, quelle spese della pubblica amministrazione che non sembrano convincenti.


Giuseppe Cancemi

sabato 9 novembre 2013

CENTRO STORICO - CALTANISSETTA 2013


PRINCIPIO DELLA FINE O RECUPERO?


La storia italiana che vuole il recupero dei diversi centri storici, è antica di tanti decenni e accomuna la stratificazione degli abitati di tutti gli agglomerati urbani del Bel Paese. Leggendo ciò che è accaduto da Nord a Sud per i centri storici, si rileva sommariamente che il valore, non solo storico ma anche economico, ha premiato l'impegno di molti Comuni che hanno orientato il restauro dell’esistente patrimonio edilizio verso la conservazione. Le città che, non senza difficoltà, hanno sviluppato una politica del recupero, oggi sono quelle che hanno accresciuto il valore immobiliare del proprio stock edilizio più antico e maggiormente incrementato il flusso turistico in centro storico. Nella nostra Caltanissetta si sta tentando di avviare un risanamento del centro storico, con grande ritardo e all'insegna dell'improvvisazione che ingenera non poca confusione nei suoi cittadini. Il recupero del centro storico arenato da parecchi anni per responsabilità politico-amministrative, non solo recenti e che per brevità affido ad altre letture, improvvisamente, prende nuova vita da un concorso nazionale, con tempi strettissimi, sulla “rigenerazione urbana” di cui l'Amministrazione in carica, orgogliosamente, se ne attribuisce il merito dell'aggiudicazione del relativo finanziamento. A parte il grande ritardo negli interventi che una politica accorta avrebbe dovuto e potuto evitare da lunga data, al fine di mantenere gli abitanti e il decoro della città, il merito di volere recuperare il centro storico è innegabile, ma per le premesse da cui nasce, rischia di diventare un ennesimo sfregio alla città. Il timore che sembra manifestarsi con il cosiddetto “Progetto Pilota”, nasce dal comune sentire di quei pochi nisseni che non amano la propria città. Un centro storico diverso, “nuovo” avverso alla conservazione. Lasciare al tempo il compito dei crolli a fine demolitivo senza colpo ferire e predisporre una realizzazione di nuove edificazioni (facendo ricorso alla già conosciuta, in altre circostanze, “emergenza”) è la risposta più facile e populista che si è andata, e si sta, via via configurando. L'inerzia è il filo conduttore del degrado prima, dei crolli a seguire e, infine, dell’emergenza per motivi igienici e di sicurezza. Da qualche anno, forse, perché prossimi al rinnovo amministrativo locale, si vuole mostrare un “carniere” colmo di “selvaggina” immediatamente spendibile. Il “Progetto Pilota” che viene presentato come progetto di avvio, per il recupero del centro storico, è apparso alla chetichella, fatta salva la canonica pubblicazione obbligatoria per le eventuali osservazioni e opposizioni. Sarebbe anche rimasto in ombra, se alcuni sensibili cittadini non avessero sollevato il legittimo diritto di partecipare a così importanti scelte urbanistiche retrocesse a semplici interventi edilizi. Da quel momento la contesa che doveva allarmare per prime le preposte istituzioni (mostratesi reticenti) ha visto solo movimenti spontanei confrontarsi per un ripensamento circa il progetto, senza alcun esito. Il punto a cui siamo giunti oggi, vede una ufficiale presa di posizione di alcuni professionisti del settore urbanistico-architettomico-edilizio e del mondo dell'ambientalismo che ha segnalato a Procura della Repubblica, Assessorato BB. CC., Corte dei Conti e Assessorato Territorio e Ambiente alcune presunte anomalie del progetto pilota, come ultima ratio per indurre l'amministrazione in carica ad un ripensamento di quel progetto in termini conservativi e non di rinnovo per il centro storico.
In questo confronto tra le parti, dove il contendere è il rinnovo o la conservazione, alcune osservazioni vanno fatte. Intanto, la compagine amministrativa in scadenza - che può continuare ad amministrare al massimo ancora per qualche lustro - ha condotto e conduce in solitudine, un processo di trasformazione della città così impegnativo in un arco temporale di decenni e con risorse economiche occorrenti di centinaia di milioni, senza ricercare la massimizzazione di un legittimo consenso nella comunità locale.
I proclami lanciati attraverso alcuni numeri della rivista comunale (unico mezzo che informa ma a fatto compiuto), per questo progetto pilota, mettono in risalto alcune cifre sul recupero che vale la pena sinteticamente commentare. Con l'intervento, prossimo, sugli isolati 27 e 28 del quartiere “Provvidenza” si ricaveranno una ventina di vani utili per i futuri fortunati assegnatari per il costo di circa 3 milioni. Insomma, si potrà appena realizzare una “lotteria per i senzatetto” entro un arco di tempo minimo di qualche quinquennio. Un'altra trentina di milioni, preventivati (ma non si sa con quale copertura) per fasi ulteriori, serviranno per mettere in sicurezza (statica e igienica, sembrerebbe) 26 isolati di quel quartiere, come dice l'assessore all'urbanistica. Non è difficile, allora, pronosticare, nefaste prospettive per il centro storico: tempi biblici di realizzazione, preceduti da una progressiva desertificazione delle rare superstiti presenze autoctone, con inimmaginabile troppo lontana conclusione insediativa o, in alternativa, ingresso in tempi relativamente brevi della inevitabile ruspa “risanatrice”.
In questo scenario si inserisce l’avvio e la conduzione del cosiddetto progetto pilota che inquieta gli animi di chi ama la città e ha sperato che le pubbliche autorità cittadine intervenissero in tempo. Chi ha potere per intervenire, invece, si è costantemente girato dall’altra parte. La Soprintendenza, ad esempio, come riferimento di vigilanza per la salvaguardia del territorio, chiamata in causa indirettamente e direttamente non ha mostrato la dovuta sensibilità. Doveva e poteva accorgersi che la scelta di recupero del centro storico viene chiamata, non a caso, “Programma Costruttivo”. Tutto un programma non certo consono ai principi culturali ispiratori delle leggi nazionali e regionali nonché agli orientamenti italiani ed europei della carta del restauro a scala urbana.
Ad onor del vero, agli assordanti silenzi istituzionali fa eccezione, una tardiva ma curiosa presa di posizione, personale, da parte di un progettista redattore del piano pilota in oggetto. In tutto il suo dire, sembra non volere intendere che il contenzioso ha una portata urbanistica, in senso lato (dunque, politica), e non deriva da una semplicistica contrapposizione tecnica in un intervento “costruttivo”, che non sembra ispirarsi neanche alla politica abitativa introdotta dal social housing. Il progetto, sconosce il cittadino da insediare, impropriamente introduce una valutazione architettonica, di pregio e non, delle testimonianze storico-abitative (sic!), banalmente, assicura una staticità per le parti edilizie che saranno mantenute (non potrebbe essere altrimenti!). Insomma, l'intervento ribadito da un “addetto ai lavori” in difesa delProgetto Pilota”, sembra confermare un evidente contrasto, tra l’ispirazione barocca ostentata negli elaborati del progetto diffusi e la realizzazione pratica degli alloggi previsti, stilisticamente aderente ad una edilizia popolare. Una “trama” annunciata come “nuova architettura caratterizzata da un evidente linguaggio contemporaneo” la quale stride con un “ordito” che si annuncia con un primo intervento-rabbercio del quartiere Provvidenza. Esattamente il contrario di ciò che richiede un restauro smart del centro storico per una Caltanissetta principalmente fatta di persone.


Giuseppe Cancemi

martedì 6 agosto 2013

Centro storico di Caltanissetta


URBAN CENTER PER RICOMINCIARE 


Gran fermento per il centro storico della città. Professionisti, intellettuali e ambientalisti costretti a segnalare all'Amministrazione attiva che così come si sta procedendo per il recupero della controversa parte storica di Caltanissetta, porta a risultati a dir poco disastrosi. E' recente la notizia, che il Comune sta cercando partner privati e istituzionali per il recupero delle aree degradate (leggi, appunto, in centro storico). E' alquanto strano che agli inizi dell'anno in corso (2013) sembrava che tutto fosse pronto per il grande evento atteso da anni: il recupero del centro storico e ora sembra essere tornati al “carissimo amico...”. La prima cosa che mi viene in mente, rivolgendomi all'Amministrazione comunale tutta, credo condivisibile, è l'interrogativo: ma perché non mettete tutte le carte in tavola? Forse è meglio del procedere in modo ondivago!
Liberatevi della solitudine degli addetti ai lavori, dei competenti che operano per il bene della collettività. Fate sapere a noi ignari cittadini, attraverso la prodigiosa rete e/o mediante uno o più “tazebao” in piazza Garibaldi, quali sono i progetti per il breve e lungo termine che dovranno accompagnare e guidare la “rigenerazione urbana”. Lasciate che ogni cittadino sia libero di esprimere il proprio assenso/dissenso. Liberateci dalla sudditanza.
Per cominciare bene l'operazione centro storico, per esempio, non sarebbe opportuno fare sapere quali e quante sono le proprietà comunali in centro storico? Insomma, fare conoscere qual è il patrimonio, più o meno ricco/misero che sia, di cui la città può disporre per dare l'esempio di come si recupera un immobile in area storica. Perché non cominciare da lì? Magari facendo corsi di formazione per piccole imprese e maestranze prima e durante (aula e cantiere), con un monitoraggio dei lavori in corso d'opera, mediante web-camere, coinvolgendo sindacati, agenzie formative, cassa edili, ecc.. Ecco, il progetto esecutivo redatto in questi termini potrebbe diventare pilota. Si dia ampio spazio al coinvolgimento, al lavoro, alla rivalutazione storica, estetica e funzionale dei manufatti, analizzati, riparati, parzialmente o del tutto ricostruiti.
L'idea semplice che può mettere tutti d'accordo si fonda sul lavoro per l'edilizia e il suo indotto, che se istituito con l'obiettivo di recuperare l'esistente, nel rispetto delle preesistenze storiche, cresce e stabilizza la mano d'opera per sempre, proprio con il restauro e la rigenerazione a rotazione continua.
Non da meno è la ricaduta sulla città sempre in ordine nel suo rinnovo ciclico, ai fini di un godimento urbano/turistico. I commercianti del centro storico meditino! Il cuore della città vissuta come contenitore impreziosito dalle emergenze, storiche artistiche ed architettoniche può rappresentare una valida alternativa agli attuali gettonati centri commerciali (oggi di gran moda) che non esprimono quello che può esprimere un centro storico degno di tale definizione.
A tutti deve essere chiaro che la situazione di partenza è molto complessa e difficile. L'avvio scelto dall'Amministrazione comunale è un quartiere (Provvidenza) con uno stock edilizio molto degradato da tempo e percepito con certo distacco dagli altri abitanti della città. Ai fini della residenza non risulta dunque essere attraente, né da un punto di vista economico, né da un punto di vista del prestigio, che è comunque più o meno una costante in tutto il centro storico. Morale! Pochi o niente interessi per gli immobili che si potrebbe cominciare a recuperare e per tutta l'area in generale. Allora!
Allora bisogna rendere “appetibile” il centro storico a partire da questo primo momento di avvio.
Non saranno certo le promesse di parcheggi e le strade più larghe a rendere maggiormente fruibile questa parte storica della città. Forse, potranno accontentare quelli che oggi hanno un'idea di centro come “riserva indiana” usato per entrare, parcheggiare l'auto, svolgere le proprie attività e uscire per ritornare in periferia.
Con degli incentivi da stabilire sinergicamente con le forze sociali, le istituzioni, si può indirizzare una giusta strategia per coinvolgere partner privati e istituzionali.
Il Comune se vuole davvero recuperare il centro storico riparta da capo veramente, con la metodologia promessa dell'Urban center ma non praticata. Studi incentivi e comunichi con i cittadini per quali obiettivi, criteri, alleanze e partecipazioni in merito ai temi del centro storico, della città, del territorio si vuole procedere.

Giuseppe Cancemi

venerdì 5 luglio 2013

Centro storico di Caltanissetta

Piano per il colore, ... e non solo

Il colore della città” è il tema che le Associazioni Italia Nostra e “Dante Alighieri” hanno affrontato nel lontano1996, quando la Soprintendenza aveva esordito con i “Sette restauri” (di chiese) in centro storico, non accettati da tutti per il metodo adottato e per le varietà coloristiche imposte alla città. Il timore che era emerso, riguardava un cromatismo definito alla “disneyland” che poteva innescarsi nel rifacimento di altri prospetti, proprio nel cuore della città, calato dall'alto e senza regole. Era il tempo che la città soffriva degli stessi mali di oggi: disoccupazione, degrado urbano, traffico caotico, ecc. che preconizzavano urgenti interventi di recupero nel centro storico, rivitalizzazione, acquisizione di verde pubblico e soluzioni per mobilità e traffico. Insomma, interventi di politica locale socio-economica di lungo respiro e non di breve termine.
Sono passati 17 anni e siamo ancora in attesa che cambi il metodo, stavolta da parte di Comune e IACP, che in tema di recupero presentano ai cittadini un “fatto compiuto”. Un progetto già “confezionato”, non certo ispirato dalla “Carta del restauro”, non secondo i canoni affermati di metodi afferenti il restauro e ignorando, in materia di bioedilizia, il protocollo “Itaca”.
Il protocollo “Itaca”, lo ricordo, ha lo scopo di stimare il livello di qualità ambientale di un edificio proprio in fase di progetto, in un quadro di sostenibilità energetica oltre che ambientale.
La crisi urbana oramai endemica, che attanaglia la città, va affrontata nella sua globalità. Strutture e forme di un organismo finito qual è la città storica, vanno pensate in un quadro di interventi che si intersecano e interagiscono. Il colore della città per esempio è un elemento fondamentale per quell'armonia prospettica che il luogo storico mostra di sé. Per restare in tema di modifiche che rischiano di compromettere definitivamente anche l'immagine del centro storico, provo a fare riflettere ricordando che la Piazza Garibaldi, da quando è stata cambiata, non conserva più la sua “anima” di luogo della memoria in quanti riconoscevano, pur nelle stratificazioni, l'impianto risorgimentale. Con il rinnovo appena fatto, lo stesso lambire della luce tra facciate di edifici e pavimentazione, arredi, e ogni oggetto fisso o in transito lungo le superfici orizzontali, ha alterato la percezione cromatica d'insieme. I nostri processi mentali di riconoscimento che si legano con l'immaginario individuale, non senza coinvolgere la sfera emotiva, nella lettura della “Grande Piazza”, sono cambiati.
Caltanissetta ha una sua storia legata a un suo genius loci: nel suo cielo, nella sua vegetazione delle assolate campagne, nella sua roccia calcarenitica da cui ha ottenuto una sua impronta per opere uniche e riconoscibili, nell'argilla della terracotta, nel gesso dei leganti, nei ciottoli del suo fiume, insomma, in tutto quello che ha significato e depositato un valore riassuntivo che rende un luogo particolare e diverso da ogni altro.
Non è effimero pensare, a questo punto, anche ad un “Piano del colore” della città, prima di iniziare un progetto episodico di recupero del centro storico, che non sembra essere inquadrato in un complessivo progettato piano di sviluppo della città. Come necessario sarebbe, e anche utile nel quadro degli interventi, introdurre il protocollo “Itaca”, per allinearsi alle direttive europee di ecologia urbana.
Per la cronaca, gli edifici green che si ottengono da detto protocollo, rappresentano una nuova edilizia che può essere certificata LEED (Leadership Energy Environmental Design), ed hanno grandi vantaggi rispetto all'edilizia tradizionale per proprietari, inquilini ed ambiente.
Ecco, a partire da questi pochi elementi di riflessione, la sfida che ci attende nella proposta di riqualificazione del centro storico, può avere un'alternativa di conservazione attiva attenta alla storia e alla cultura, e può essere innovatrice, cioè in grado di attrarre nuova vita in centro storico già a misura d'uomo. Oppure, illusoria ricostruzione edilizia in maniera moderna (si fa per dire!), con calibri stradali riformati e parcheggi mai sufficienti per auto sempre in crescita, in un centro magari caotico di giorno e deserto di sera.
Concludendo, ancora una volta vorrei ricordare a quanti si accingono ad avventurarsi in un processo di trasformazione del centro storico, senza prendere in considerazione gli elementi che mi sono permesso appena di accennare, senza cogliere l'opportunità del momento, è bene ricordarlo, rischia di produrre un danno alla città, permanente ed irrecuperabile.

Giuseppe Cancemi

martedì 25 giugno 2013

Centro storico di Caltanissetta

SCELTE PUBBLICHE e democrazia partecipata

Centro storico. Pronunciato, sollecitato da visione, letto o pensato, in due semplici parole suscita un riflesso condizionato a livello di pensiero. La nostra immaginazione fa selezionare dalla memoria alcune immagini - che ognuno incosciamente ricava secondo un proprio vissuto, la propria esperienza, la propria cultura - le quali ci restituiscono una personale idea del passato.
La parte più antica di ogni città, sembra essere messa lì per sintetizzare un'immagine dell'urbe attraverso una testimonianza concreta, frutto dell'umanità che l'ha attraversata. Le contese attorno al vecchio nucleo urbano per il suo mantenimento, non da ora sono oggetto di contrapposizioni spesso anche aspre. La questione di fondo, però, è sempre economica e/o di spessore culturale della comunità che lo ha prodotto.
In Italia la decisione di mantenere attraverso il restauro i centri storici è stata una scelta sofferta. Non sempre e non tutti i territori hanno optato per un'integra conservazione. Eppure, l'opzione verso i beni culturali come risorsa, che qualcuno ha anche chiamato "giacimenti culturali", per l'Italia e principalmente per la Sicilia dovrebbe essere una scelta obbligata. Peccato che Caltanissetta ha rinunciato da tempo a conservare la dignità storica del suo centro città. Ha permesso di operare con leggerezza abbattimenti e trasformazioni di testimonianze storiche e di converso ha consentito inclusioni di manufatti anonimi nel cuore della città, quando non lasciata crollare pezzo per pezzo. Ora con la "minaccia" dei crolli sempre più frequenti, dell'igienicità e della sicurezza che ne derivano, si è costruita una “carta del rischio”, si coinvolge la Protezione civile e l'emergenza diventa così una “strategia” per intervenire senza ulteriori “ostacoli”. Mi chiedo e chiedo se molto prima era possibile, a norma di legge, impedire che si arrivasse ai crolli.
Ora si sa che a breve si avvieranno i primi lavori di “recupero”, condotti in sinergia da IACP e Comune, relativamente poca cosa rispetto allo stock edilizio da recuperare e alla domanda di alloggi della città mai quantificata. Ma si teme però, che l'intervento proposto, soprattutto avvii una politica di trasformazione che possa compromettere la riconoscibilità del centro storico.
Con questo timore si è mosso l'associazionismo ambientalista regionale e nisseno e alcuni tecnici sensibili alla “questione del centro storico”, chiedendo un incontro all'assessore all'urbanistica ma ottenendo una risposta seccata e quasi intimidatoria. Ha detto l'assessore, in buona sostanza: che l'intenzione di andare avanti è “ferma e irrevocabile”, che ha avuto tutti i permessi dovuti, compreso quello della soprintendenza e che ha “chiesto agli uffici del Comune di accertare se sussiste l'ipotesi a carico degli stessi tecnici di turbamento della procedura avviata”.
Suscita incredulità l'intimidazione fatta verso chi per senso civico prova a dire la sua per temi che riguardano la cosa pubblica. Penso che con tali risposte venga mortificata la partecipazione e non capisco quale offesa di “lesa maestà” possa avere potuto provocare il documento presentato da ambientalisti e professionisti.
Penso che la sovranità popolare dovrebbe avere l'ultima parola specie quando si tratta di scelte che si trasferiranno ai posteri. Trasparenza e partecipazione, rifacendomi alla prolusione, sono anche queste due parole ma che stavolta, però, evocano concetti di comportamento che in democrazia dovrebbe essere patrimonio di tutti, specie per gli amministratori. Per amministrare bene, lo ricordo per me stesso, non basta adempiere ai doveri di legge, occorre anche fare in modo che la democrazia sia alla portata di tutti. E forse, i problemi della città troveranno una soluzione più condivisa, e non solo di “palazzo”.
Giuseppe Cancemi


mercoledì 24 aprile 2013

BELLUNO: PARCO EMILIO


CONTINUA IL TAGLIO DI ALBERI IN CITTA'

Parco Emilio: Interventi di potatura e di taglio degli alberi ammalati o pericolanti. Questa è la motivazione dell'intervento pesante di potature e abbattimenti di alcune piante nel parco e chissà perché accompagnata da una nota, forse solo giornalistica, che detto spazio verde è maggiormente frequentato dalle badanti. 


Ceppaia di albero «malato» (?)



Per essere più precisi sul quotidiano che informa i cittadini di una tale decisione, da parte del Comune, viene tirata in ballo la collaborazione del Servizio Forestale Regionale nell'intervento: "per un complessivo riordino del parco, a garanzia di una maggiore luminosità e di una miglior fruibilità dello stesso da parte dei numerosi frequentatori". Dunque, si persevera in una politica comunale di diradamento delle piante nel territorio, proprio in controtendenza anche alla recente legge 14 gennaio 2013 , n. 10 che sottolinea - con la messa a dimora di un albero per ogni nuovo minore nato/adottato - un atto simbolico di risarcimento alla natura (e al cittadino), e che s'intende ottemperare alla convenzione quadro del protocollo di Kyoto.
E non resterà solo quello già effettuato in varie parti della città, compreso il parco Emilio, il depauperamento di alberi per Belluno, essendo stata già tracciata una continuità negli interventi in zona con una annunciata "riqualificazione" della riva destra del Fiume Piave, prevista come "ripulitura e decespugliatura".  Eufemismi, che tendono a giustificare altri diradamenti, quest'ultimo, a dichiarato favore alla progettata "Belluno beach" .
Per gli effetti della citata legge n. 10, il Comune, dopo il 16 agosto c. a., teoricamente, per adempiere ad un suo obbligo deve poter fornire  informazioni sulla registrazione albero/minore (nato, adottato) e il Sindaco, in persona, a fine mandato, deve comunicare ai cittadini il bilancio arboreo di città per far conoscere ai cittadini quale è stato il suo impegno per la natura. Continuando a tagliare alberi secondo la tendenza dimostrata, viene spontaneo chiedersi e chiedere: con quale logica verrà fatto il saldo tra nuove piantumazioni, di là da venire, ed esistenza di piante censite che dovrebbero risultare da una attuale lista "anagrafica" arborea? 



  
Come ad altri cittadini mi riesce difficile accettare motivazioni di abbattimenti di alberi con risposte scontate che la politica delega agli esecutori, i quali, quasi infastiditi, si rifugiano sempre nella semplicistica motivazione di messa in sicurezza e di patologia delle piante,  non sempre verificabili e  dunque inoppugnabili per il comune utente della città.
L'abbattimento di alberi indiscriminato, prima di tutto, è una scelta politica. Quando nella conduzione delle politiche urbane si "abusa" del termine "sostenibilità" gli alberi c'entrano pure: Belluno così facendo s'iscrive d'ufficio a quei consumi del pianeta che superano di una volta e mezzo il capitale naturale. Circa un anno fa, in occasione di altri tagli in città (via D'Incà, per ricordarlo) l'Amministrazione attiva si era impegnata di risarcire gli abbattimenti con nuovi alberi. Dove sono? Chi li ha visti?
L'unica cosa visibile, intanto, rimane la vista di accatastamenti di legname qua e là che proviene dal continuo taglio e dalla capitozzatura di alberi cittadini e non si vede all'orizzonte di una politica verde, almeno risarcitoria, nessuna nuova piantumazione.


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ALBERI MONUMENTALI E DI PREGIO




I filmati che seguono, utili a riconoscere le piante presenti a Belluno, sono stati presi da YouTube



PAULOWNIA TORMENTOSA


LIRIODENDRON TULIPIFERA

venerdì 12 aprile 2013

BELLUNO: Museo Civico prossimo venturo


Palazzo Fulcis-De Bertoldi

 Si amplia lo spazio a disposizione del palazzo Fulcis-De Bertoldi. Ai 2.991 metri quadri di stanze, saloni, cortili e corridoi da adibire a Museo Civico si aggiungono gli spazi del piano terreno, attualmente occupati dal bar Commercio. La Fondazione Cariverona, ha deciso l'acquisto di quei locali per adibirli a biglietteria. Per ora, però, è solo un'embrione d'idea. A proposito del preesistente bar e del suo arredamento - con il suo «bancone» da qualcuno ritenuto di pregio -  comunque appartenuto ad un tempo superiore al trentennio, non sarebbe male preservare il tutto anche se adattato ad un diverso uso o mantenendo la stessa funzione di quei locali all'interno del museo. Del resto, rifacendosi letteralmente al significato di Museo: «Galleria o Raccolta di cose insigni per eccellenza, o per rarità e per antichità» ci starebbe sia un «bar Commercio» ad uso accoglienza visitatori o anche una biglietteria, adattando l'esistente «riciclato» ad un uso di servizio museale.

 

martedì 9 aprile 2013

ZIBALDONE: CENTRO STORICO DI BELLUNO

ZIBALDONE: CENTRO STORICO DI BELLUNO: CRONACA DI UNA QUERELLE ANNUNCIATA L'assessore Tabacchi dopo avere annunciato, qualche giorno fa, di volere istituire un parcheggio...

CENTRO STORICO DI BELLUNO


CRONACA DI UNA QUERELLE ANNUNCIATA


L'assessore Tabacchi dopo avere annunciato, qualche giorno fa, di volere istituire un parcheggio in Piazza Duomo, oggi, 9 aprile 2013, attraverso la stampa locale, questa volta sembra fare un passo indietro: fa sapere che la sua scelta dei 25 posti auto in piazza Duomo, non era definitiva e che anzi ora la esclude. Rimane però, della volontà di voler reperire nuovi stalli per auto in risposta alla domanda di parcheggi in centro storico. Quindi, la "caccia" ai posti auto continua con l'intento di trovare spazi per tale scopo nelle vicinanze: piazza Castello e aree limitrofe (sic!) dice. Come se l'area prospiciente le poste fosse a chissà quale distanza da piazza Duomo e che comunque creare nuovi posti auto nel cuore della città non significhi riportare una circolazione automobilistica, faticosamente finora tenuta (si fa per dire), a distanza dal centro. Tutto questo maldestro tentativo di restaurare un'ammissione ulteriore di auto nel centro storico muove da una giustificazione che appare strumentale e improvvisata. Si attribuisce ai residenti e ai disabili la domanda di parcheggi in loco ma poi la soluzione di utilizzo si estende anche ai parcheggi a strisce blu e al carico e scarico delle merci. Giustificazioni assai deboli e confuse, ma sicuramente non certo motivate da una scelta urbanistica di mobilità complessiva.

Giuseppe Cancemi 


domenica 7 aprile 2013

CENTRO STORICO BELLUNO

NO AL PARCHEGGIO IN PIAZZA DUOMO


La città di Belluno, si colloca ogni anno ai primi posti delle graduatorie annuali di vivibilità, anche, per le sue piazze del centro storico. La notizia, che si ritorna a fare circolare e sostare le auto in Piazza Duomo, è un regresso rispetto al passato recente, e non in linea con la cultura urbanistica europea che, tendenzialmente, si adopera per spostare la mobilità verso i mezzi pubblici, il car sharing, le biciclette e comunque orientata a non espandere più i parcheggi specie in centro. La cosa è grave, perché proprio Belluno, con l'avvio del parcheggio Lambioi, aveva diffuso qualche tempo fa un segnale di grande civiltà, citato ed imitato da altre città. Aveva anticipato una scelta da smart city con la messa a disposizione di un piccolo iniziale parco di biciclette, come componente di uno scambio intermodale nella mobilità urbana in centro storico.

Le bici, all'uscita della scala mobile di collegamento con il parcheggio Lambioi non ci sono più e le auto che avevano liberato la piazza Duomo ora sono state lasciate ritornate e vi resteranno. Gli spazi del centro storico che compositivamente completavano l'immagine restituita di una città vivibile, sono ritornate ad essere brulicanti di mezzi a motore moltiplicatori di ogni inquinamento dannoso per uomini e monumenti. La tendenza mercantilistica ad ogni costo del centro storico, testardamente, poco per volta assecondata, si pensa di facilitarla facendo ricomparire la sosta dei mezzi privati. Fare tornare le auto nell'agorà della polis - dove uno sguardo anche fugace ai manufatti, ci ricorda pezzi della storia attraversata dall'umanità che l'ha percorsa - è fare torto ai bellunesi che hanno saputo conservare la città che ci ritroviamo. La semplice toponomastica dell'antica polis dovrebbe indurre ad un certo rispetto almeno del genius loci che aleggia sul centro storico.

I pochi parcheggi in più (25) in piazza Duomo che si vogliono recuperare al pagamento, fanno pensare al precedente abbattimento di alberi in via D'Incà. Anche lì, fuori da ogni logica ancorata all'ecosostenibilità. Per qualche stallo in più si sono abbattuti degli alberi assai più utili. L'operazione parcheggi in centro storico, appare proprio come il voler raschiare il fondo del barile. Ci sembra infine speciosa, la motivazione che a spingere verso i parcheggi in Piazza Duomo siano gli abusi nelle soste. Grave ammissione che lascia presupporre di non saper contrastare il presunto fenomeno di “parcheggio selvaggio” con una adeguata vigilanza.


Di diversa opinione sono molti cittadini che reputano non solo la Piazza Duomo ma tutto il centro storico un'identità storico-culturale da preservare, custodire, tramandare possibilmente integra. E' opinione sempre più diffusa che se si riesce a mantenere una città con il suo centro storico ben conservato e dunque a misura d'uomo con la cultura “si mangia” e si vive - nel rispetto delle generazioni passate, attuali e future - mentre, rimanendo con auto onnipresenti, inquinamenti e relative conseguenze, si vuole perpetuare una tendenza non più sostenibile.

Giuseppe Cancemi




sabato 6 aprile 2013

CURIOSITA'



CAPISALDI DI BELLUNO

Non tutti sanno che le placchette ovali di ottone, poste su alcuni noti edifici del centro storico, fanno parte dei 13.000 capisaldi distribuiti su altrettanti chilometri di viabilità del territorio italiano.
In tutto il territorio di Belluno risultano segnati 22 punti geodetici, parte dell'intera rete plano-altimetrica nazionale.



































I Capisaldi nel territorio del Comune di Belluno:

    (0043#_###_107#) S.S. 50 Km 12,950 - Rio Demaise   
    (0043#_###_108#) Salce - S.S.50 Km 12,210   
    (0043#_###_109#) S.S.50 Km 11,330 - Bivio Per Giamosa   
    (0043#_###_110#) Prade - S.S.50 Incrocio Con Via Marisiga 41   
    (0043#_###_111#) S. Gervasio - Via Pagello 2 Incrocio Via Feltre   
    (0043#_###_111P) Belluno - Via Feltre   
    (0043#_###_112#) Belluno - Via Cavour   
    (0043#_###_112P) Belluno - Piazza Duomo   
    (0043#_###_112S) Belluno - Piazza Duomo, 2   
    (0043#_###_113#) Belluno - Ponte Torrente Ardo   
    (0043#_###_114#) Belluno - V.Le Vittorio Veneto 155   
    (0043#_###_114P) Belluno - Piazza Alessandro De Luca   
    (0043#_###_115#) Vaneggia - S.S.50 Km 5,180 - Via V. Veneto N°292   
    (0043#_###_116#) S.S.50 Km 4,020 - Via Tizano Vecellio 86   
    (0043#_###_117#) S.S.50 Km 2,900 - Safforze   
    (0043#_###_118#) S.S.50 Km 2,240   
    (0043#_###_118P) S.S.50 Km 1,530 - Le Andreane   
    (0043#_###_105#) S. Fermo - S.S.50 Km 14,850   
    (0043#_###_105P) S. Fermo - S.S.50 Km 14,570   
    (0043#_###_106#) La Costa - Via Boscone 371   
    (023705) Belluno - Piazza Alessandro De Luca   
    (023704) S.Fermo - S.S.50 Km 14,570
I capisaldi, sono riferimenti altimetrici distanti tra loro circa 1 km l'uno dall'altro. L'IGM (Istituto Geografico Militare) nato nel 1861 dopo l'unità d'Italia, fa parte del sistema militare italiano che si occupa di cartografie. 

Rappresentazione cartografica fatta dall'I.G.M. per P.zza De Luca

Fanno parte dei 13.000 punti geodetici segnati nell'attuale rete viaria italiana. Sono in progetto, da parte del Servizio Geodetico dell'Istituto Geografico Militare, un aumento di capisaldi sino a 20.000. Prima dell'unità d'Italia, la rappresentazione del territorio non era certo omogenea. Si usavano metodi ed evidenze discordanti: alcuni erano geometrici, altri descrittivi, qualcuno mancava di triangolazioni, di misurazioni, di scale e le basi erano diverse.
La rappresentazione del territorio, dopo l'unità d'Italia, si organizza come "catasto" al fine di equiparare le imposte.
Nelle province di Belluno, Bolzano e Trento, diversamente da altri parti d'Italia, nello stesso periodo, era in vigore il cosiddetto "catasto tavolare".
Attualmente, il "catasto" viene gestito dall'Agenzia del Territorio e dai comuni che hanno scelto di esercitare le funzioni catastali loro attribuite da apposite convenzioni.

domenica 24 marzo 2013

MOBILITA'

IL TRASPORTO FERROVIARIO VENETO

Il turista, il cittadino veneto, il viaggiatore occasionale che transita, lavora o trascorre le vacanze nel bellunese, senza preoccuparsi di chi  è o non è la responsabilità del trasporto ferroviario, certamente, percepisce in quella mobilità pubblica un servizio assai carente per numero di corse,  collegamenti “frantumati”, puntualità, confort e forse anche per pulizia. Il rimpallo e le varie scuse che adducono i ben individuati responsabili (Trenitalia e Regione), alle proteste ed ai continui mugugni, non alleviano il problema, anzi, lo rendono più fastidioso. Ad onor del vero l'incertezza del quadro normativo nazionale, la Legge di stabilità 2013, la scarsità di risorse e i tagli che ricadono anche sui trasporti non agevolano una necessaria riforma della mobilità, specie, nei territori di montagna dove è necessario migliorare il trasporto pubblico e scoraggiare quello privato. Pur tra tante difficoltà, per chi vuole trovare un sostegno per migliorare il trasporto pubblico, un punto fermo esiste ed è nel ricostituito Fondo Nazionale Trasporti, dove, confluisce il 90% delle  risorse assegnate  ma viene riservato il rimanente 10% ai criteri premiali (nel miglioramento nella produttività). Non va sottaciuto, infine, il nodo irrisolto dell'assetto delle Province che con i Comuni sono gli enti programmatori del servizio. Comunque, se si guarda ai dati regionali confrontandoli con altre regioni ci si accorge che il trasporto ferroviario può essere migliorato.
Alcuni dei punti del trasporto ferroviario che sono confrontabili mettono in luce l'arretratezza del trasporto veneto.  Il Veneto con 13,8 treni per 100 mila abitanti e una popolazione residente  di 4,9 milioni  ha meno treni per 100 mila abitanti di Piemonte (19,7), Emilia Romagna (18,7), Toscana (21,4) e Liguria (15,2).  Altro esempio che si differenzia in negativo per servizio è il contact center, che la Toscana ha messo in essere per monitorare  le lamentele e le esigenze dei cittadini utenti e organizzare la risposta, mentre, in Veneto, cresce la protesta per un servizio che perde pezzi e si degrada, in un “brodo” politico da campagna elettorale.
Da Belluno, per spostarsi, bisogna armarsi di tanta pazienza per le attese nelle stazioni intermedie  e, affidandosi alla fortuna, sperare  che non ci siano soppressioni di treni all'ultimo momento. In alternativa, diventata una costante, resta  l'uso del mezzo proprio.
Se in Toscana con gli stessi problemi del Veneto e di tutte le altre regioni, si riesce a mantenere uno standard medio minimo di confort, di puntualità, di certezza nel passaggio dei treni e comunque si cerca di  evitare ogni disagio ai fruitori del servizio ferroviario, non si comprende qual è la politica dei trasporti della Regione Veneto che non riesce ad assicurare altrettanti standard.
Nel Piano Generale dei Trasporti il fulcro della mobilità veneta è rappresentato dalla “mediopadana” e dal “corridoio prealpino-padano”. Non compare nel sistema trasporti, una altrettanto utile attenzione alla  mobilità ferroviaria locale, specie dell'alto Veneto: una rete di collegamenti essenziali tra la gente delle Dolomiti e la pianura. Un'attenzione dovuta verso chi preserva e custodisce un importante patrimonio dell'umanità. Una considerazione allora, che deve fare riflettere, è d'obbligo. Non investendo preminentemente sulla mobilità ferroviaria e favorendo, anzi, il traffico su gomma, si rischia di compromettere con gli inquinamenti in crescita, il capitale naturale da conservare,  rappresentato dalle Dolomiti. Si pratica, dunque, una politica fin qui non certo  in grado di fare affermare un trasporto sostenibile, richiesto dai luoghi e non più rinviabile.

Giuseppe Cancemi

giovedì 28 febbraio 2013

Sanità da ottimizzare

Belluno, 28-2-2013

Lettera aperta

Al Direttore Generale
ULSS1 Belluno

Non molti giorni fa nella stampa, non solo locale, è stato riportato il suo primo nobile gesto di insediamento, dando un segnale di buona amministrazione della cosa pubblica, mettendo in vendita l'auto blu. Ora che avrà preso “confidenza” con gli altri problemi del servizio sanitario locale, sarà stato messo al corrente, a parte della qualità della struttura sanitaria, delle disfunzioni organizzative di cui soffre. Tra le più eclatanti e significative anomalie del sistema informativo prestazionale dell'ULSS. si collocano le prenotazioni i cui tempi di attesa non coincidono con quelli stabiliti dal protocollo ma soprattutto in contrasto con la necessità effettiva degli utenti e l'efficienza dell'erogazione. Per fare un esempio, le prenotazioni di controllo per patologie croniche hanno un iter assurdo. Il clinico che ha visitato dispone di una nuova visita di controllo a sei /dodici mesi e prescrive degli esami. Il paziente deve, successivamente, recarsi dal medico di famiglia e farsi autorizzare questo, temporizzato, prescritto controllo. Sempre il paziente o un suo familiare, deve ulteriormente presentarsi allo sportello delle prenotazioni o telefonare per sapere quando si potranno fare esami e visita. Le prenotazioni, comunque, non sono una conclusione certa o sempre riferibile ai tempi ufficiali o all'ordine logico delle sequenze (esami prima e non dopo la visita di controllo) ma aleatori e a volte incoerenti con lo scopo. A meno che... gli esami o la visita non si facciano in maniera mista (privato /istituzionale) o totalmente a regime privato.

Posto brevemente un problema fondamentale che a lei dovrebbe già essere noto, per non iscrivermi tra quelli che si lamentano e basta, vorrei sommessamente consigliare di concentrare i suoi sforzi oltre che sull'assillante problema (quanto importante) dei conti economici anche un minimo di attenzione a quanto mi permetto di suggerire come argomenti per riflettere. Per prima cosa, penso che una diversa più razionale organizzazione dei servizi, costituisca un economia di sistema che ha influenza, anche, sia sui risparmi che sugli investimenti. Non conoscendo il sistema USSL che lei gestisce, a costo di fare una domanda da “Pierino” chiederei: ma l'Azienda sanitaria di Belluno, ha personale e/o ufficio ad hoc che si occupano della gestione? E penso ad uno o più ingegneri (informatico, gestionale) o simili figure professionali.
Nel merito delle disfunzioni, riallacciandomi a quanto detto prima, domando ancora: ma non sarebbe il caso che in presenza di patologie croniche le prenotazioni avvenissero, per così dire, d'ufficio? Non tornerebbe utile razionalizzare tutti i servizi e reparti, da un punto di vista informatico (cloud computing), per non ripetere molte situazioni informative?
Infine, dal momento che i costi degli ecografi portatili non sono poi così elevati ( meno di 1000€) e le richieste di esami con detti strumenti in aumemento, non sarebbe il caso di far dotare i medici di famiglia di tali strumenti e farli abilitare all'uso con gran risparmio, in tutti i sensi, ed efficienza del sistema sanitario?
Mi fermo, per non rubare ulteriore tempo al suo lavoro, ma penso che il mio modesto contributo le potrà dare modo di riflettere. E chissà se la sua buona volontà, già dimostrata, si potrà estendere di più ai bisogni cogenti dei cittadini.

Giuseppe Cancemi

lunedì 25 febbraio 2013

Villa Zuppani, Sedico (BL)


Risorsa ambientale da valorizzare utilizzandola al meglio 
 
Il ricovero per la fauna selvatica di villa Zuppani a Sedico, tenuto in vita da tempo dalla Provincia, chiude. La notizia passa quasi inosservata, in sordina. Persino la sensibilità dell'associazionismo ambientale presente a Belluno, non sembra avere colto questo segno di poca attenzione a risorse ambientali preziose da conservare attivamente come questa.
Verrebbe da chiedersi: come mai?
La prospettiva di centro didattico per l'ambiente da tempo ipotizzato, cui associare in un futuro l'attuale centro di recupero della fauna selvatica, da un punto di vista formativo/educativo e non solo faunistico-ecologico, poteva e può essere uno sbocco relativamente condivisibile ma sembra naufragare per pochi spiccioli di bilancio. 


L'obiettivo di dare continuità alla struttura di questo “ospedale” per gli animali selvatici smarriti, feriti, impauriti, anche se esteso ad altro uso di tipo didattico, pur apprezzabile, rimane comunque assai riduttivo. La sua sorte incerta  ne rende ancora più problematico il suo mantenimento. Quasi una rinuncia ad una presiosa opportunità. Un'idea più articolata, potrebbe invece, ambire ad altro utilizzo più prestigioso nonché redditizio. Va bene che esiste un contenzioso sulla proprietà che forse ne limita la sua piena disponibilità, ma la villa Zuppani ricca dei suoi 150 mila mq di terreno, potenzialmente è in grado di produrre un suo reddito, fosse anche solo per potere mantenere, semplicemente, la sua propria autonomia economica senza incidere sulle casse della collettività. E' facile immaginare che un tradizionale sfruttamento con mezzadria, forse, saprebbe ricavare un utile controvalore per simile risorsa, finora, non sempre ricercato dal gestore pubblico nelle proprietà condotte. Si parla tanto in termini economici di spending review, di ecologia urbana e di responsabile uso delle risorse invocando sostenibilità, biodiversità e simili “parole d'ordine” per dire e dirci che dobbiamo spendere meglio, riutilizzare e valorizzare ciò che già abbiamo. Ma ancora non ci siamo. La recente timida tendenza di ritorno all'agricoltura e la green economy,comunque, possono essere di aiuto per mettere a frutto le energie rinnovabili e la riscoperta del suolo agrario nel primario come elementi “amici” del lavoro umano.
Un concorso di idee sull'uso produttivo della villa Zuppani non guasterebbe. Un simile bene economico locale, specie in tempi di  economia sempre più limitata nei mezzi, non può essere sottovalutato. A scopo propositivo si suggeriscono alcune alternative d'uso. Si potrebbe, per esempio, pensare di utilizzare la villa come luogo per: giardino botanico, fattoria didattica, centro studi ambientali, produzione di piante officinali, conservazione della biodiversità, banca del seme, coltivazione biologica etc. etc.. Il tutto affiancato da scelte energetiche rinnovabili.
La tanto vituperata politica, la locale specialmente, se vuole riscattarsi, riprendersi il primato delle scelte territoriali utili alla Comunità amministrata, non può far passare inosservata un'occasione di riutilizzo redditizio della prestigiosa villa Zuppani. Sappiamo tutti che la sfida che ci viene posta dallo sviluppo socio economico richiesto dai nostri tempi, deve essere affrontata a partire dalle risorse locali e attraverso processi innovativi, indirizzati verso una economia verde ecosostenibile.

Giuseppe Cancemi

Ennesimo piano di recupero per il Centro Storico


FORMAZIONE DEI PIANI DI RECUPERO DI CALTANISSETTA (2013)

(Nota di Giuseppe Cancemi)



Le esigenze di recuperare un centro storico, in generale, non sono nuove. Caltanissetta, per l'ennesima volta e con grande ritardo rispetto al contesto italiano, si cimenta con una nuova proposta progettuale di riutilizzo-rinnovo a partire dal quartiere “Provvidenza”. La premessa che muove il Piano di Recupero, cerca di giustificare le proprie scelte ritenendo di essere “ in linea con le direttive nazionali e comunitarie” e motivando un fine che è quello di “contenere il consumo del territorio”. Sostiene di adottare un criterio improntato all'ecocompatibilità, al recupero delle valenze architettoniche, e avanza anche, tra le “nuove esigenze” irrinunciabili dei luoghi, requisiti di “accessibilità - anche carrabile”, assai discutibili.

La relazione del nuovo Piano di recupero dopo 30 anni e alcuni passaggi oramai storicizzati, rivela un'unica tendenza: l'attesa ripagata dal tempo, dei prevedibili crolli per vetustà, che ripropone alla fine, un antico disegno di politica urbanistica orientato ad una edilizia, per il centro storico, sostitutiva dell'esistente. La nuova (si fa per dire) tendenza nelle scelte di quest'ultimo piano di recupero, a distanza di altri precedenti tentativi, fa emergere la pervicace volontà politica di volere a tutti i costi sostituire il «vecchio» col nuovo. Un passo della revisione del P.R.G. dell’anno 1982 riportata dalla relazione, a proposito dei passati Piani di Recupero ai sensi della L.N.457/78 usato a suffragio delle tesi sostenute dai redattori del PR così si esprime: ”Nelle more della redazione di tali Piani, gli unici interventi ammissibili potevano essere”, solo, “quelli di manutenzione ordinaria, straordinaria e” di “risanamento conservativo”. Per inciso, termini corretti nel restauro dei centri storici sostenuti dalla cultura urbanistica corrente ma evidentemente non condivisi, poiché utilizzati in un ragionamento del tipo: prima non si poteva intervenire in modo diverso da quello prescritto, ora sì.

Il tempo, è stato galantuomo (sic!). I quartieri della Provvidenza man mano che crollano sono ora transennati per pericolosità e pronti a ogni soluzione di nuova edilizia.
Verrebbe da dire... ci siamo! Con l'emergenza sicurezza si può e si potrà giustificare tutto.
Il Comune nel timore che si verifichino crolli a danno degli abitanti del c.s. si attrezza per operare senza veti. Il passaggio è lineare: con il timore dei crolli, lo scopo preventivo del Comune consente di provvedere ad allontanare gli occupanti delle abitazioni pericolanti in c. s. e si barricano gli accessi al quartiere in attesa di potere intervenire secondo una logica prevalentemente «modernizzativa» a partire degli slarghi, alcuni già oggi diventati parcheggi per auto. Vedasi esempio in foto di immagine documentata nella relazione del Comune di Caltanissetta.

     Pericolosa tendenza annunciata: largo alle auto


In clima di emergenza scompare ogni precauzione e interesse per il destino dei nuovi sfollati (tali per condizioni economiche precarie) che per questa tendenza si candidano con molta probabilità a formare le baraccopoli nissene. Già in passato gli abitanti della Provvidenza erano degli invisibili, non venivano considerati nei cosiddetti piani di recupero, figurarsi ora che i crolli incombono.

La ricca documentazione fotografica del degrado nella formazione dei piani di recupero, riportata nella relazione dell'ufficio tecnico comunale, preconizza la “soluzione finale”.

Nella formazione del Piano, la relazione, com'era prevedibile nella logica delle città materiali, esamina la presenza degli abitanti - incidentalmente e senza dati recenti - evidenziando uno spopolamento del c. s. nella dinamica complessiva dell'occupazione degli immobili a fronte di ripopolamento con persone non italiane. Evitando di entrare, per esempio, nel merito della composizione della proprietà immobiliare e la tipologia degli attuali abitanti. In buona sostanza viene rafforzata la necessità di intervenire per motivi igienici, di decoro e di stabilità degli immobili. Nessuna relazione con le esigenze abitative dei nisseni e non. 


***

In sintesi

Dalla relazione emerge la logica dell'emergenza eletta a metodo. Aspettiamo... con i crolli la necessità di allontanare gli abitanti (prima più difficile) ora si fa cogente e si può anche diradare a misura (si fa per dire) d'auto. Si può costruire il nuovo. Manifestamente sembrerebbe l'unica possibilità. Con ruderi irriconoscibili la demolizione e ricostruzione con aumento della volumetria in verticale, il diradamento in orizzontale per parcheggi e l'allargamento di strade saranno accettati perché apparentemente indolori.

Se la partecipazione alla formazione dell'ennesimo piano serve a corresponsabilizzare una scelta non solo urbanisticamente da retrovia ma soprattutto etica, la risposta, a mio avviso, è no!

La sfida che si può lanciare, invece, deve puntare ad un recupero tendenzialmente conservativo e sostenibile. Si deve partire dalle esigenze dei futuri cittadini abitanti di un ambiente urbano storico a misura d'uomo com'era.
L'insediamento previsto, pur senza uno studio sociologico che doveva essere approntato, si può ipotizzare formato da anziani, giovani coppie, singoli, tra i quali nuclei familiari con poche risorse economiche.

Gestione

Con le strategie giuste e con un patto di solidarietà da inventare, si possono organizzare sistemi di partecipazione al restauro, affiancate da corsi di formazione professionale indirizzata al recupero edilizio per piccole imprese e lavoratori con contratti ad hoc sostenuti da Comune, IACP, cooperative, privati, cassa edili, sindacati, confindustria, imprenditori, lavoratori-corsisti, ecc.

Le risorse economiche dovranno essere reperite, tra finanziamenti agenda 2000, cassa depositi e prestiti, BOC, finanziamenti IACP e cooperative, finanziamenti prima casa, capitali d'investimento privati, nonché banche, specie le locali, attraverso le quali con garanzie pubbliche, dovranno essere indotte ad erogare anche piccoli prestiti. I cittadini tutti, gli interessati per primi, coinvolti nei vari passaggi: dal progetto ai finanziamenti alla realizzazione, assumeranno il ruolo di protagonisti del cambiamento. Il Comune dovrà fondare un ufficio casa perenne per seguire tutte le operazioni di recupero.
Le proprietà pubbliche recuperate per prime, dovranno servire da spore per innescare un processo virtuoso di parcheggio in attesa del restauro, formazione/collaborazione, restituzione e così via.
Quali agevolazioni si possono attivare riguardano: le facilitazioni burocratiche, la riduzione degli oneri di urbanizzazione, degli incentivi vari sui costi (cantiere, smaltimento sfabbricidi, ecc.) e sulle scelte di sostenibilità.

Quale restauro

In merito alla sostenibilità vanno orientate scelte di interventi che tengano conto della bioarchitettura (verifica della presenza del gas radon, basso in/out energetico, cappotto termico ecc.).
Risparmio idrico, con recupero delle acque piovane e/o ricircolo delle acque grige
Risparmio energetico (pannelli fotovoltaici, energia solare-termica) Eventuale sperimentazione di teleriscaldamento con TOTEM e/o geotermia
Efficienza energetica su tutto, elettrica e termica.

La vera sfida va concretizzata confutando la ricostruzione e/o diradamento (data per scontata per i ruderi) con il mantenimento del disegno urbanistico del luogo (es. della Provvidenza con caratteristiche ippodamiche). Cioè, mantenendo la maglia urbana del quartiere, scongiurando il preteso sacrificio della dimensione ad uomo per sostituirla con quella a misura di automobile (impossibile) per vari motivi. Non necessariamente costituzione di volumi in altezza consimili ai precedenti ma livellamento, eventualmente, in basso per lasciare passare la luce la dove si ricostruisce e liberazione da superfetazioni per spazi di preesistenti, cortili, giardini e slarghi interni con pozzi.


Tipi di intervento

Acquisizione (o intervento con partenariato Pubblico/privato) di immobili privati in centro storico per la loro valenza storico-urbanistica, da consolidare ristrutturare e restaurare e da destinare agli usi pubblici previsti dal piano particolareggiato o di comparto. Possono altresì, allo stesso scopo, essere acquisiti immobili diruti o non abitabili per essere destinati dopo la loro sistemazione ad edilizia residenziale pubblica (case parcheggio, alloggi, immobili di scambio).

Il recupero deve essere occasione di opportunità per crescere, non scusa per dare al centro storico un nuovo che modifica, cancella i segni del passato, mortifica l'immagine di Caltanissetta.