Parte I
Premessa
I
temi del “campanile” non possono più essere affrontati solo in
termini localistici. In tempi come quelli attuali, ci si confronta
ormai con vaste aree, non ignorando i cambiamenti climatici e alla
luce delle accelerate dinamiche di trasformazione del territorio.
Lo
scenario fisico, in un quadro geopolitico ed economico di fondo, dove
il territorio nisseno deve sviluppare i temi di una sua «felicità»,
utopistica s'intende, sempre promessa ai suoi abitanti, si ritiene
che debba fare i conti con una realtà assai più complessa.
Nel
nostro pianeta si sa già che il capitale naturale e gli equilibri
del sistema ecologico, risultano ampiamente compromessi.
Per
avere un'idea in termini concreti di come siamo messi, basta solo
sapere che lo scorso 1° agosto 2018, abbiamo già consumato con un
giorno di anticipo sul 2017, quelle risorse che la natura del globo
terrestre è in grado di rigenerare.
Morale:
abbiamo in questi mesi consumato parte del “capitale”.
L'antropizzazione
ha superato il 50% della superficie terrestre del pianeta. Solo poco
più del 13% degli Oceani può ritenersi incontaminato. La
biodiversità va diminuendo e i rifiuti prodotti dalle città,
dall'agricoltura e dai processi industriali intaccano sempre più
quel processo di ricambio che la biodegradabilità naturale prima
riusciva a smaltire con una semplice trasformazione rigenerativa.
Sappiamo
anche, che
l'eccessivo sfruttamento del nostro pianeta, inoltre , produce:
siccità, deforestazione, scarsità di acqua dolce, erosione del
suolo e accumulo di anidride carbonica nell'atmosfera. Proprio con
l'eccesso di quest'ultima viene a determinarsi quel mutamento che
abbiamo cominciato a conoscere nei nostri territori con le frequenti
alluvioni, noto come effetto da clima tropicale.
Insomma,
pur conoscendo quanto accade attorno a noi e sapendo che non ci
promette un futuro di tranquillo scorrere della vita, stiamo
continuando a “segare il ramo dove stiamo seduti”.
Al
punto in cui siamo, invertire la tendenza è un obbligo inderogabile.
Il
puntare sulla sostenibilità con i fatti e non con le parole, su
varie scale di grandezza, sembra comunque essere cominciato. Per
esempio, si è iniziato col porre sotto la lente d'ingrandimento,
alcuni settori di materie ritenute "sensibili" come: cibo,
città, popolazione ed energia.
Molto
resta da mettere a punto sulle questioni geopolitiche. Troppi Stati
hanno bassi livelli di democrazia e specialmente di riconoscimento/
attenzione verso i diritti universali dell'uomo.
La
nostra condizione di benessere diffuso, la dobbiamo agli oltre 70
anni di pace che hanno fatto consolidare una convivenza pacifica
degli Stati europei. Un dono, che non deve farci dimenticare quanti
altri Continenti nel Mondo, non hanno raggiunto accettabili livelli
di diritti e di benessere. Soprattutto, per il permanere di guerre.
Per l'Occidente e in particolare per l'Europa, la tragicità e le
devastazioni dei maggiori periodi bellici sono storia e memoria, per
fortuna, rimasti sui libri e nei ricordi trasmessi dalle precedenti
generazioni superstiti.
Il
mondo contemporaneo moderno, vive in una economia globalizzata: un
unico grande mercato, favorito da una rete di connessioni e
informazioni dove scienza, tecnica e tecnologia si supportano e
progrediscono.
Il
benessere nella nostra Europa è per molti ma non per tutti.
L'immediato contatto con i Paesi anche lontani sono un vantaggio per
i Popoli, non altrettanto si può dire, però, per ciò che riguarda
l’identità, la specificità culturale locale e una inevitabile
omologazione. Tutti motivi che inducono a ricercare politiche per la
salvaguardia delle caratteristiche comuni delle diverse aggregazioni
sociali.
Il
lavoro è la grande sfida del futuro. Robotizzazione e intelligenza
artificiale sono le grandi conquiste dell'uomo contemporaneo, che
hanno cambiato e continueranno a cambiare la vita delle future
generazioni. In Europa per tale rivoluzione chiamata industriale, ma
che dovrebbe oramai chiamarsi dell'intelletto umano, in alcuni Paesi,
si è cominciato a produrre con tempi di lavoro sempre più brevi,
pur aumentando la produzione.
Non
tutto il progresso, però, con i suoi processi, è favorevole
all'uomo.
Si
usa dire in ecologia per capire ciò che accade oggi, che
l'equilibrio del pianeta si può turbare dal semplice battere delle
ali di una farfalla, il quale, può provocare un uragano in altra
parte del pianeta.
Sommariamente,
tutto quanto fin qui detto, non è un volere parlare dei “massimi
sistemi” elusivo o fuorviante, ma un richiamo al quadro da tenere
presente nella predisposizione di piani e progetti relativi ad ogni
proprio territorio. Un promemoria, per selezionare quelle scelte, di
compatibilità ambientale e di sostenibilità, non avulse da quella
realtà allargata in cui viviamo.
TERRITORIO,
STORIA E SOSTENIBILITA'
La
pressione antropica, con le sue invadenti e non sempre sicure
costruzioni edilizie, ha indebolito ogni parte del territorio
italiano.
Pensare
ad una più puntuale difesa delle persone con un territorio già
fragile e ora maggiormente vulnerabile per le mutate condizioni
climatiche, impegna tutti, a partire dal livello locale, a cimentarsi
con la prevenzione.
Le
nuove non più sporadiche condizioni climatiche e atmosferiche, non
più di rado simili alle tropicali, hanno reso le comuni piogge
sempre più tendenti alle alluvioni e agli uragani. Alla sorveglianza
sismica che la geologia del territorio italiano ci impone, adesso si
dovrà aggiungere anche una più attenta difesa del territorio per le
nuove frequenti calamità naturali.
Il
suolo urbanizzato e non, dovrà meglio essere attrezzato per tenere a
bada i suoi sistemi idraulici di raccolta, regimazione e
convogliamento delle acque pluviali.
Il
sovradimensionamento delle città in questo ultimo oltre mezzo
secolo, non si è molto preoccupato di una urbanizzazione primaria,
risultata un po' avara nel dimensionamento e distratta
nell'esecuzione delle opere a regola d'arte. I Piani urbanizzativi
hanno solo inseguito il business,
in una poco sensata dispersione degli immobili sul territorio,
dettata in larga parte, dalla cosiddetta speculazione edilizia e di
posizione.
Caltanissetta,
spazialmente si colloca nell'area centrale della Sicilia.
Oggi,
dopo un passato di Valle, Provincia e Provincia regionale si
configura amministrativamente nella recente aggregazione denominata
Libero Consorzio Comunale di Caltanissetta, pur permanendo nel
medesimo raggruppamento dei precedenti 22 comuni.
L'altimetria
dei luoghi, colloca il territorio tra quelli di collina. Il Fiume che
l'attraversa è l'Imera Meridionale, il quale assieme con il
Settentrionale solca la Sicilia da Nord a Sud. La Valle dell'Imera
Meridionale più prossima al nisseno, ha sue impronte storiche di un
tempo remoto, che oggi si raccontano come luogo di transito e
stanzialità, di quelle generazioni che successivamente, dopo la
colonizzazione delle coste, trasmigrarono.
Il
territorio interno alla Sicilia, specie da qualche secolo in qua, ha
offerto uno scenario socio-economico ed abitativo basato
prevalentemente sull'economia contadina. Nel secolo della prima
rivoluzione industriale ('800), Caltanissetta veniva ad assurgere al
ruolo di “Capovalle”, da un aggregato territoriale al centro di
tre antichi Valli, comprendenti i distretti di Piazza Armerina,
Terranova (Gela), Girgenti (Agrigento) nel 1824 e Bivona.
Il
Regno delle Due Sicilie, nel promuovere Caltanissetta Capovalle di
quel territorio interno, diede l'occasione a quella Comunità,
agricola-artigianale-commerciale, per trasformare la sua originaria
economia, nel nascente sistema industriale già diffuso in Europa.
Il
territorio dei nisseni, dall'economia agricola a pieno campo
prevalentemente di grano, come percepita da Goethe qualche tempo
prima, muta i suoi connotati econimici, a seguito della sua scoperta
del minerale di zolfo, proiettandosi nei commerci ad ampia scala,
fino a diventare capitale mondiale dello zolfo.
La
storia politica che l'attraversa fino ai giorni nostri, passa
dall'amministrazione monarchica alla dittatura per giungere alla
odierna democrazia.
Caltanissetta,
si può dire che negli ultimi tre secoli passati, ha un vissuto
pre-ottocentesco, per dirla come Leonardo Benevolo, dove: “...ogni
generazione tendeva ad occupare il posto delle precedenti e a
ripeterne il destino”.
In
quell'epoca, preindustriale e mercantile, il valore economico del
suolo si riferiva alla sua sola capacità produttiva, essendo un
mezzo di produzione e non altro.
Il
capitalismo non si praticava ancora.
Eppure,
la vita contadina doveva essere molto grama se le famiglie si
allontanavano da Caltanissetta e la baronia dei Moncada con la
richiesta della remissione dei debiti ai creditori, tentava di
evitare lo spopolamento che c'era sia in città che in campagna.
Dal
momento in cui la rendita di posizione dei terreni fa lievitare il
loro valore economico e l'investimento di denaro produce altro denaro
(capitalismo), iniziano tutte quelle attività di trasformazione e
occupazione di suolo etichettate speculative e fino ad oggi
inarrestabili. L'epoca industriale ad economia capitalistica, è
anche storia corrente. L'accaparramento di suolo a fini economici
ha finito per essere l'elemento dominante degli insediamenti umani.
In linea generale, gli abitanti delle città, quelli che si sono
potuti permettere e possono permettersi l'appropriazione di porzioni
del suolo urbano a fini economici, hanno reso il territorio di ieri e
di oggi, forse l'elemento più divisivo per l'umanità, e non certo
favorevole alla convivenza e alla civiltà.
Il
territorio di Caltanissetta, non diversamente dagli altri, rientra in
questa problematica della proprietà, che pur nel suo piccolo incide
come tutte le altre realtà territoriali. Avere coscienza di ciò,
può significare l'inizio di un percorso virtuoso verso un'inversione
di tendenza.
Pertanto,
nello scenario che ci accomuna al nostro continente e al mondo
intero, è lecito insistere sul recupero, per una sostenibilità
ambientale diffusa. E provare sempre, come si dice nel mondo degli
ambientalisti, a “pensare
globalmente e agire localmente”
non sottraendosi alle comuni responsabilità che sono tutte
riconducibili alla sopravvivenza della specie nel nostro pianeta.
Dal
Territorio Pane e Lavoro
Il
territorio nisseno, ha un suo suolo agricolo esteso: tra incolto e
colture prevalentemente di cereali, che resta sempre una risorsa
negletta. Un suo studio per una riconsiderazione in termini moderni,
diventa auspicabile al fine di ricercare diversificazioni in una
possibile conversione.
Per
esempio, logistica di collocazione, produzioni più intensive e/o
specializzate, che si avvantaggiano dalla composizione dei terreni
e/o dalle condizioni climatiche locali, spostano l'assicella
dell'economia dei luoghi un po' più in alto.
Un'alternativa
proponibile sta nelle condizioni che possono favorire una ripresa
dell'agricoltura, per esempio, nell'organizzazione in termini
produttivi e strutturali di tipo industriale, per dare risposta alla
domanda sempre più frequente di prodotti biologici ma anche e
soprattutto per quei prodotti tipici del clima mediterraneo.
Trasporti, mercati ed energia rinnovabile, come elementi innovativi
da inserire nel processo produttivo agricolo, potrebbero rinvigorire
la produzione dell'agro nisseno sia in termini economici che
occupazionali.
Il
mantenimento al minimo della semplice vocazione agricola, senza
investimenti in sperimentazioni, per esempio nella verticalizzazione
dei prodotti e nella massimizzazione della produzione, entro limiti
ecologici, possono rinvigorire e riequilibrare l'economia di centro
Sicilia, da tempo fortemente indebolita nelle attività secondarie e
terziarie.
L'attenzione sull'economia primaria, se si è accorti,
può trovare un'alleanza nella vicinanza all'ambiente naturale della
Riserva Naturale Orientata della Valle del Fiume Imera Meridionale
come brand
di qualità per i prodotti biologici dell'area.
Dal
mix risorsa naturale e territorio agricolo può venire fuori una
rivalutazione di due condizioni che possono essere un vantaggio per
l'economia: misconosciuta l'una (la Riserva N. O.) e negletta l'altra
(agricoltura).
Nel
nostro caso la Riserva non è solo natura ma è anche cultura e
riferimento per le attività del tempo libero. Con il suo vasto
campionario di biodiversità o le testimonianze di raro valore
storico, rappresenta un altro punto di forza del nostro territorio
che andrebbe messo in evidenza.
Il
suo attraversare tutta la Sicilia da Nord a Sud e i ritrovamenti
archeologici, sono elementi vivi che raccontano del tempo e delle
generazioni vissute lungo le sue sponde. Le testimonianze museali ne
sono il completamento culturale, purtroppo, non sufficientemente
portato all'attenzione neanche nel contiguo mondo della scuola che
opera nelle comunità del centro Sicilia.
La tutela della Valle
dell'Imera Meridionale, sotto forma di Riserva Naturale Orientata,
rimane un raro esempio di scelta illuminata nella conservazione di un
ambiente naturale, che la città non considera.
Prima
e dopo della seconda guerra mondiale, l'entroterra siciliano è tutto
un pullulare, in tempi di latifondi e bonifiche, di insediamenti
rurali in borghi, frazioni e masserie. Nel prosieguo, con la riforma
agraria (una lotteria perdente), è tutto un volere dare peso ad una
politica agricola rivolta a contadini e braccianti ma sempre
tardivamente e senza mai giovare agli interessati. A quell'epoca, in
centro Sicilia, con l'agricoltura sempre in crisi, l'avvento
dell'industria estrattiva dello zolfo nel panorama di rivoluzione
industriale, favoriva in un certo senso, l'esodo della manodopera
contadina verso il lavoro in miniere.

Caltanissetta
come capoluogo del più importante distretto minerario di fine
Ottocento, in questa stessa Valle ha avuto anche il passaggio di
un'umanità che ha fatto la storia delle miniere. Una borghesia che
dai profitti dello zolfo ha tracciato un'urbanistica della città
relativamente corrispondente ai tempi, e un proletariato che ha
scelto di vivere pur nella paura dell'infortunio e della morte, per
un salario relativamente più certo, abbandonando la più insicura
(economicamente) misera vita contadina.
Da
oltre metà dell' Ottocento e oltre mezzo secolo del Novecento
Caltanissetta con l'estrazione e i commerci dello zolfo ci ha
vissuto. I padroni dello zolfo latifondisti, prima che la legge
sottraesse la proprietà del sottosuolo al latifondo, hanno sfruttato
a piene mani il sottosuolo. I minatori in quel contesto senza
diritti, hanno continuato ad essere schiavi, come erano prima nella
condizione di contadini. I padroni di miniere che affiancarono e
soppiantarono la borghesia e la superstite nobiltà, furono anche
figure come il gabellotto, il campiere, il soprastante ecc. insomma
rappresentanti di quella mafia che dalle campagne prendeva anche
possesso e si allargava verso le miniere.
L'ultimo
periodo di vita delle miniere, prima che lo zolfo perdesse la sua
competitività sul mercato, venne gestito da Società minerarie e
Istituzioni. Con queste gestioni, l'impiego della manodopera cominciò
ad essere più attento alla condizione di lavoratore, ed i minatori
poterono rivendicare i loro diritti.
La
diversa conduzione delle miniere pur foriera di sperimentazioni nel
settore estrattivo fu costretta a rinunciare alla produzione del
minerale per la comparsa sul mercato dello zolfo a minor costo.
Di
tutto questo, vi è un solo lascito per la memoria dei nisseni: una
coesione dei minatori mai vista prima, nella precedente condizione di
contadino. Gli zolfatai, in massima parte già braccianti agricoli,
nella condizione di zolfatai, avevano trovato nella solidarietà un
punto di forza nelle lotte sindacali sulle contrattazioni: spesso di
rivendicazione salariale e di sicurezza in miniera.
Giuseppe Cancemi
Continua...