La pratica urbanistica del XX
secolo
Il capitalismo siciliano, con l'industrialesimo, ha rivolto i
suoi interessi anche alla città. La borghesia delle campagne e degli zolfi,
unitamente a quella di origine mercantile, ha scoperto che nella terra c'è maggiore remunerazione quando si trova in prossimità dell’abitato, per gli effetti di una cosiddetta rendita di posizione.
La rendita fondiaria urbana si afferma come remunerazione anomala persino nella logica capitalistica. Essa, pur facendo parte dei fattori produttivi, lucra
incrementi di valore dovuti all’espansione urbana senza che per questo vi siano
investimenti produttivi.
Si giunge così alle scelte di localizzazione
urbanistica con l'intento di lucrare il più possibile. A Caltanissetta si vedono sorgere, in epoca fascista, il villaggio dei minatori a
Terrapelata (ora anche Santa Barbara),
le case popolari di Santa Flavia per il proletariato urbano, le case INCIS per
gli impiegati, che sicuramente spianano il terreno a quella che oggi si chiama
speculazione edilizia. Infatti, si tratta di strutture realizzate con finanza
pubblica a distanza del centro abitato, con la intuibile formazione di rendita
di posizione. Ai terreni interposti tra la città e le nuove urbanizzazioni — e
non solo a quelli ma anche agli altri nelle immediate vicinanze — viene mutata la destinazione da zona agricola a zona edificabile. Si regalano, cioé, con questa operazione, alle proprietà private, i costi dell’urbanizzazione. Per dirla con una frase fatta: "si socializzano i costi e si privatizzano i guadagni". Forse, però, i motivi che hanno
fatto fare tale scelta, non tutti erano ascrivibili all'intento di creare rendite di posizione. Il regime, per i minatori, aveva una preoccupazione prioritataria, che era quella di controllare l’eversione, o almeno tale riteneva l’animosità degli zolfatai perennemente in lotta per le loro
condizioni economiche e di lavoro. Dunque "Terrapelata", offrendo il vantaggio di una separazione tra minatori e cittadini, offriva un luogo dove raccogliere (isolandoli) i minatori, facilitando per il
regime il controllo. Per altro, il valore del terreno, in quanto agricolo, in prossimità delle maccalube e distante
dalla città, non doveva essere alto.
L’altra scelta di case popolari, a monte della via Redentore in prossimità delle grotte di
Sant' Anna, fatta
in zona di valore agricolo non diversa dalla precedente, probabilmente, aveva lo scopo di non "mescolare" le classi sociali del ventennio. Per gli impiegati, infatti, si era scelto certamente un sito migliore, un po’
fuori, ma non tanto, dalle parti della via Salvati.

Anche a Caltanissetta è presente l’anti-bolscevismo che
ha un suo martire locale nella
contrapposizione tra il nascente fascismo e i comunisti. La città all’interno
del suo territorio da un punto di vista sociale appare più disgregata che mai:
contadini e "burgisi", proletariato
cittadino più zolfatai e yuppies dell’ èlite urbana sono la miscela di un
coacervo di interessi che trova il nascente fascismo. La città per quasi un
lustro viene gestita da funzionari ministeriali i quali tenteranno di
amministrare anche le opere di regime al
fine di combattere la crisi occupazionale ma che si riveleranno poca cosa. I
60.000 abitanti presenti nel 1921, nel
corso di un decennio, spopoleranno di circa 20.000 persone. Non mancano gli
scandali dell’amministrazione comunale per nepotismo e per interessi privati:
prese abusive d’acqua per l’imprenditoria sullo già scarso approvvigionamento
idrico della città, progettazione e direzione dei lavori per le case INCIS
affidato all’ assessore ai lavori pubblici, etc.

Le opere
pubbliche che si realizzeranno nel ventennio,
oltre a quelle viste, sono: il monumento ai caduti, il palazzo “Infortuni”
(INAIL), il basamento dell’attuale palazzo degli uffici finanziari, il campo
sportivo "Palmintelli", il sanatorio (ospedale “Dubini”), il palazzo della GIL (in prossimità
della stazione ferroviaria), il completamento dell’acquedotto Madonie Est.
Il
successivo sviluppo urbanistico che riguarda il dopoguerra (2^ guerra mondiale)
è quasi cronaca e meriterebbe un’attenzione particolare per lo stravolgimento
che ha prodotto. La città che si costruisce dopo l’evento bellico, è tutta una
città fatta di periferia, dove l’intervento pubblico traccia le linee di
espansione, o meglio si carica degli oneri di urbanizzazione e il privato lucra
su questa nuova rendita (edilizia e fondiaria), che diventerà la molla
dell’economia contemporanea. Ricordiamo, una volta per tutte, ciò che ha messo
in moto l’intervento pubblico. A Caltanissetta,
sull’onda dell’edilizia economica e popolare (villaggio U.N.R.R.A.
CASAS, case popolari di via Messina, di via De’ Cosmi, etc.) nascono, a partire
dagli anni cinquanta, viale Trieste, viale Sicilia, la via
Palmintelli, etc. e tutti gli anonimi
palazzi che hanno saturato gli spazi che si frapponevano tra l’intervento
pubblico e la città costruita. Si inizia così quella che si chiama espansione
della città a macchia d’olio, in cui la vivibilità e le emergenze: traffico,
inquinamento, sono i termini della nuova questione urbana.

Alla fine di tutto, possiamo dire che Caltanissetta
dal XVIII secolo ha ereditato
un’armatura urbana, immutata da almeno quattro secoli per un perpetuarsi del
destino nella sostituzione delle generazioni nel loro succedersi, il XIX secolo
l’ha modificata profondamente ridefinendo caratteristiche politiche, economiche
e strutturali, asservendola all’economia
capitalistica, il XX secolo l’ha
contornata di periferia.
Anche se può sembrare poca cosa, basta fare mente
locale a quelle che sono vie e piazze del centro storico con la relativa toponomastica
risorgimentale, per avere una conferma che la città rappresentativa conserva un assetto urbanistico
tutto ottocentesco, punteggiato da un’architettura eclettica nonostante i
pesanti interventi, effettuati dopo la seconda metà del XX secolo.
Concludendo possiamo concordare che, ancora ai giorni
nostri, la struttura urbana coincide con quella ottocentesca, non solo
spazialmente ma anche amministrativamente, e che tutto il resto è
periferia.