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venerdì 28 luglio 2017

Belluno, quale buon governo

LA GIUNTA MASSARO 2.0 AI BLOCCHI DI PARTENZA

Ad esser sincero c'è poco o nulla da dire all'Amministrazione Massaro 2.0, per come si presenta. Le sue linee programmatiche per il prossimo governo della città, non fanno una grinza. Il Consiglio tutto, a parte due speciosi voti contrari, ha riconosciuto i buoni propositi del Sindaco per il futuro della città. Le premesse, insomma, per una città più moderna, più attenta ai bisogni del cittadino ci sono tutte sì, ma per un sindaco che si mostra, per la prima volta, dal più alto scranno comunale. Ma così non è per Massaro. Ha già amministrato la città, con un precedente altrettanto intenso programma di buone intenzioni, ma dimostrando una realizzazione assai lacunosa. Nella passata amministrazione, si sono fatte poche scelte e si è lasciata scorrere quella che può dirsi l'ordinaria amministrazione: i cittadini chi più e chi meno hanno fatto il loro quotidiano dovere e la burocrazia comunale pure.

In una favola si potrebbe concludere: e tutti vissero felici e contenti!
Mediocrità a parte, di un'ordinaria amministrazione e di una vivibilità apparente, non tutti forse hanno notato che la città possiede una promettente vocazione turistica, soprattutto per il suo centro storico. Nel corso del quinquennio, l'identità di Belluno per scelte di utilizzo del centro storico, ha perduto quell'appeal di luogo della memoria, per fare posto a continue sagre paesane di dubbio gusto e sempre più invadenti. L'inquinamento acustico e atmosferico in centro storico è di casa. Alla faccia di un piano di classificazione acustica del 2007 e di due centraline che misurano "la febbre" senza mai occuparsi della causa. Inquinamenti vari, writer, scorribande notturne corroborate dall'alcol, hanno scacciato il silenzio notturno, la buona educazione e mortificato il luogo dove aleggia il "genius loci" lasciato dal vissuto delle passate generazioni. Tutto materializzato, degradato, volgarizzato per "schèi ", a favore di pochi commercianti del salotto buono di città. In quel salotto, per chi non lo sapesse, ci vivono maggiormente gli ultimi resistenti, che non hanno spostato la propria residenza in periferia, per motivi anagrafici. Quegli anziani, che con un centro storico a misura d'uomo, meglio si ritrovano per i loro limitati spostamenti. E invece ecco, che nel corso di quest'ultimo quinquennio, si sono fatte ritornare le auto, si fanno raduni motoristici con auto e moto, molto inquinanti, si lascia spazio ai vandali, si fa occupare sempre più spazio pubblico per pochi spiccioli. Per non parlare degli abbattimenti di alberi in via d'Incà e in ogni dove per pochi stalli. Il Sindaco, grazie al suo trascorso politico, si presenta bene anche nelle scelte che promette di fare. Ma il suo ultimo mandato, che lo ha visto protagonista di cose importanti come la firma del cosiddetto patto dei Sindaci 20_20_20, che in soldoni significava contribuire su scala mondiale all'abbattimento di CO2, responsabile del clima di cui ci lamentiamo, non sembra avere avuto un seguito. Ma forse, non è passato il messaggio di ciò che è stato fatto in proposito. Male! Se non si conoscono tali importanti realizzazioni, dove stanno trasparenza e partecipazione tanto decantate? Per un democratico, lo ricordo per me stesso, trasparenza e partecipazione non sono le pubbliche affissioni nell'albo del sito o nella bacheca comunale, come atto formale, ma un vis à vis più diretto con i cittadini.
Anche i 18 milioni sbandierati per la rigenerazione urbana, sono ancora solo uno spot pubblicitario. Hanno però il merito, di avere attinto un finanziamento fino all'ultimo centesimo del tetto massimo di bando. Ma sono ancora una promessa. Il primo finanziamento si è fermato al 24° posto e Belluno si trova al 50°. Eppoi, i progetti relativi a questo finanziamento considerano l'opportunità di un rinnovo sia sociale che urbano tipo social housing?
Un'ultima cosa, ma non l'ultima, nella presentazione del documento d'insediamento, a proposito di inclusività, è l'accessibilità per tutti in città che sembra mancare. Nell'idea di città di questo secondo mandato non si vede proprio quell'accessibilità integrata che inizia dalle barriere architettoniche.
Non è pensabile, infatti, che Belluno sia in grado di ospitare, in occasione dei suoi consigli comunali, dei circa 37 mila cittadini, solo un millesimo di essi. Ma il peggio è che chi ha problemi, per patologie varie, viene escluso. La chiamata che esiste, per superare il dislivello tra la strada e la sala consiliare, serve a poco. Nessuno, per esempio, per patologie cardiache si farebbe trasportare su in braccio.

Per chiudere, rivolgerei al Sindaco una sommessa mia valutazione del suo target, che è questa: i suoi obiettivi, per un nuovo governo della città sono buoni, ma per meglio concretizzarli dev'essere scelta la via della condivisione, ricercata. Solo così le sue scelte politiche potranno restituire alla città, a partire dal centro storico, quell'immagine identitaria che nel comune intendere è: la bellezza.

Giuseppe Cancemi

domenica 16 luglio 2017

Belluno e il dopo elezioni comunali 2017


 Prospettive per una città che ha imparato a camminare da sola

Io, di Belluno, mi sono fatto un'opinione. Penso che un commissario prefettizio per governare la città basta. Amministrare secondo legge e lasciare svolgere tutto quanto alle persone preposte che operano in Comune è un'ordinarietà che regge. In fondo è un po' quello che abbiamo visto in questi anni. Il merito di una città con qualche lode e senza infamia appartiene ai cittadini. In fondo il tutto ha continuato a girare semplicemente perché il popolo bellunese recita senza alcuna sollecitazione il suo dovere civico. I primi posti conquistati in questi anni nella classifica nazionale di vivibilità per i parametri usati in base ai servizi, ben rappresentano lo stile di vita dei bellunesi. Anche una democrazia dell'istituzione che conduce la città, bisogna ammetterlo, formalmente c'è stata e si pratica, ma un solco politico di chi ha governato si fa fatica a riconoscerlo.
La democrazia a cui penso e propendo, viene da lontano. É ancora l'unica forma per amministrare una comunità, che dà il massimo protagonismo ai singoli cittadini. Tale sovranità del popolo, però, non può fare a meno di scelte nella conduzione di una città. Quelle scelte, sono il sale della politica che proviene dai gruppi che si ritrovano in un partito, in un movimento, luoghi di condivisione delle idee comuni, di parte.
Le concluse elezioni amministrative, penso che offrano un nuovo terreno di confronto serrato per non lasciare un continuum che perpetui l'ordinaria amministrazione. C'è bisogno di una discontinuità, di un cambiamento nel vivere associato che, utopisticamente deve aspirare alla felicità dei bellunesi. I nuovi canoni da considerare, non sono questa o quell'opera da realizzare che la propaganda elettorale ha promesso, ma piuttosto i principi fondanti come: quello di una città a misura di tutti che azzera le barriere architettoniche; avvia una ricucitura degli insediamenti (centro storico e periferia) e le necessarie relazioni con lo spazio interconnesso; si occupa di casa, lavoro, inclusione sociale dei più deboli, mobilità e best practice nei servizi. Il tutto riconducibile ad un percorso di progetto globale di sviluppo locale, a partire dai reali bisogni del cittadino, dell'uomo.
Per la verità i cittadini più noti di Belluno, o meglio quelli che si ritengono i rappresentanti dell'urbe ma che forse sono solo i rappresentanti dei commercianti del centro storico, non perdono occasioni per la reiterazione delle solite richieste di natura lobbistica, che massimamente riguardano parcheggi e circolazione. Non rinunciano a questa bandiera quasi un feticcio, lo sappiamo, per scongiurare la crisi che attraversano da qualche tempo le attività di piccolo commercio e/o di vicinato. Al Comune, viene richiesta ad ogni piè sospinto una partecipazione salvifica. L'Ente autarchico comunque, bisogna riconoscerlo, non è né responsabile né la panacea di tutto. Le difficoltà di ricollocazione dell'offerta commerciale e la relativa sintonia con la domanda, vengono da lontano e semmai, nei confronti del Comune, le uniche cose che si possono rivendicare sono gli atti intesi a ridurre la burocrazia, un qualche incentivo e un certo appeal del centro storico.
Fondamentalmente in ambito locale, nuova amministrazione e cittadini dovrebbero accordarsi su un cambiamento culturale non occasionale ma profondo che avvicini i punti di vista di ciascuna delle parti. É impensabile che per il centro storico ci sia una diversità di veduta, per uso, mobilità e circolazione.

L'umanità che è vissuta nel cuore di Belluno, con la sua stratificazione temporale dei manufatti, ha lasciato un suo schema viario ed una distribuzione spaziale più adatti ad una deambulazione pedonale che non ad una circolazione con mezzo meccanico. Dunque, ha configurato un luogo a misura d'uomo. E come tale andrebbe lasciato.
 Il ritrovarsi in spazi relazionali (piazze e vie), per vivere la città, fare acquisti, muoversi in sicurezza e a distanza dall'inquinamento atmosferico è un privilegio, un godimento e non uno svantaggio. Il centro storico nella sua identità storica e culturale, si diversifica, per natura, dagli altri luoghi della città più adatti ai mezzi a motore che comunque inquinano l'atmosfera e l'immagine degli stessi ambiti di vita associata. Persino la luce  viene inquinata con la presenza delle auto in centro. Basti pensare al calibro stradale limitato dalle vicine facciate degli edifici, e non è difficile osservare che anche l'illuminazione naturale con la presenza del variegato cromatismo delle auto tra i palazzi, restituisce per riflessione, una luminosità alterata delle facciate.
Belluno è una città giardino a sua insaputa, sì perché senza un progetto urbanistico “suggerito” dal pensiero di Ebenezer Howard mutua, per una sua logica di piccoli agglomerati agricoli distribuiti nel territorio, i caratteri costitutivi di quel movimento utopista ottocentesco.
Governare questa città ma anche altre, in generale, lo so non è facile, specie se si rincorrono i problemi e si naviga a vista; se la politica non si assume le proprie responsabilità e non decide; se non conosce l'umanità che popola il contesto urbano ed extraurbano; se non ha contezza dei servizi e dell'economia nelle sue diversificazioni e, non ultimo, se non ha cognizione delle risorse territoriali. Insomma, se non ha una chiara visione della struttura socio-economica dei luoghi e quali prezzi pagare o meno, per uno sviluppo condizionato dal rapporto costi/benefici, non potrà parlare di sviluppo sostenibile.
La scelta di chi deve amministrare per i prossimi 5 anni è fatta. Chi ha votato la formazione politica in carica, esercitando il suo diritto/dovere, si è assunto l'onere politico di quella che sarà la gestione della città. I cittadini tutti però sappiano, che il governo della città è affidato sì alla a maggioranza, ma il Consiglio dall'interno e la Società Civile dall'esterno non sono ininfluenti nella pratica politica. Anzi. La loro partecipazione mediante i partiti, i movimenti o anche i semplici raggruppamenti nelle scelte urbane, arricchiscono il confronto delle parti e, soprattutto, sublimano il ruolo del cittadino che in democrazia è sovrano.

Giuseppe Cancemi

sabato 1 luglio 2017

Il PIAVE MORMORO'...


Per tutti in Italia, appena minimamente si accenna al Piave, per riflesso condizionato, la mente corre al Fiume Piave e al breve motivetto di un canto, che tutti conosciamo,Il Piave mormorò: Non passa lo straniero!”. Ma di questi tempi, nel bellunese, non è il ricordo nostalgico di una storica rimembranza, che i quotidiani locali rimbalzano, ma piuttosto l'assurdo ulteriore sfruttamento del Piave e dei suoi affluenti. Non utile, ma molto più facilmente dannoso. Siamo all'ennesima notizia che vuole l'ecosistema Fiume Piave trascurato dalla politica e usato in dispregio della storia e dell'ecologia.
Il Piave, non diversamente degli altri fiumi italiani, con il suo insieme di biocenosi e biotopi, è una preziosa risorsa naturale di biodiversità. Lo testimoniano la moltitudine di Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e Zone di Protezione Speciale (ZPS) di Rete Natura 2000.

Monumento al Fiume sacro della Patria
Non di meno, così per ricordare, è anche luogo e memoria storica di battaglie della Grande Guerra, combattute sulle sue sponde che lo consacrano come: “Fiume sacro della Patria”.

Insomma, siamo in presenza di un grande Fiume italiano la cui labile tutela apposta dalla legislazione ordinaria è stata travolta da un Decreto Lgv. (387/2003) di recepimento della direttiva 2001/77/CE, mosso da fini di importanza planetaria (diminuzione delle emissioni di CO2) ma insignificante per il contributo alla nobile causa e pericoloso come deroga, che può agire in dispregio delle tutele per l'ambiente faticosamente prima conseguite.
Il citato decreto, nelle sue finalità, raschiando il barile, per potere recuperare ancora un po' di energia da fonti rinnovabili: “favorisce”, nei fiumi, la “microgenerazione elettrica... per gli impieghi agricoli e per le aree montane”. E siccome è accompagnato da incentivi economici, diventa un'attrazione “predatoria” per l'ecosistema Fiume, svalutandolo ulteriormente e smarrendo l'utilità del “Pacchetto Clima-Energia” alla base dell'utilizzo delle energie rinnovabili.
Fiume Piave
Chi si è accorto del problema, che si stava cioè esagerando nello stressare l'ecosistema Piave è stato, nel nostro caso, il movimento Acqua Bene Comune. Un largo strato della società civile, con numerose sigle di adesione dell'area bellunese e 7000 firme, sollecitato dal solito impulso NIMBY (not in my back yard) che in italiano vuol dire: “non a casa mia”.

Il Comitato ABC, non ha mancato di ingaggiare una lotta con il potere costituito mediante vari ricorsi di cui anche uno a livello di Commissione europea, non trovando negli enti autarchici, per primi, una risposta soddisfacente e risolutoria che arrestasse l'assalto alla diligenza. Insomma, ha cercato di affrontare la questione in termini politici, giurisprudenziali e di diritto, a mio modesto giudizio, però il problema per la sua complessità mi fa propendere maggiormente e soprattutto per la questione politica che nasce dalle scelte energetiche per un futuro CO2 free.
Ma allora cosa è possibile fare per non arrivare a lotte lunghe che si possono radicalizzare o fare ignorare i più elementari rapporti di democrazia/dissenso?
Credo che si debbano investire le parti politiche che possono incidere nelle decisioni di Governo e comunque arrivare a decisioni che ascoltino il territorio.
In primis, per non sottrarsi ad un impegno come il post Kyoto, che obbliga moralmente e non solo moralmente a contrastare le emissioni di gas serra, ma anche per rimuovere il sottile ma continuo danno ambientale che incombe sul Piave, il quale può diventare un detrimento irreversibile.
Il Pensare globale e agire locale” in un così vasto interesse d'area diventa un obbligo. Il Piave, assaltato da impieghi non compatibili, con il suo ecosistema va difeso e non solo per interessi locali ma soprattutto per interesse collettivo: italiano.
Le motivazioni da spendere per confutare la scelta di utilizzare le cosiddette centraline nel Piave per ridurre le emissioni di CO2, complessivamente, stanno nella Strategia Energetica Nazionale (SEN 2017) del 12/6/2017, e nella sperimentazione di due progetti (Politecnico di Torino ed ENEA), in termini applicativi, per lo sfruttamento energetico delle onde marine.
Mezzo di sperimentazione - Politecnico di Torino ed  ENEA

Le tecnologie del pendolo e del giroscopio (Iswec e Pewec) sono pronte per le turbine che possono sviluppare potenze idroelettriche dai 17 a 2 kilowatt nei nostri mari più vicini. Con le onde della costa di Alghero, per esempio, in un'area di un kmq, si può ricavare un'energia per 42 mila abitanti. Il potenziale di 8000 km di coste italiane non è male per un futuro che punta a nuove e più economiche energie rinnovabili.
Basta fare notare alla politica che queste altre soluzioni, più importanti, riconosciute come energia blu del mare, anche dal punto di vista dell'economia e dell'occupazione, sono il futuro.
Altro motivo che rende inutile l'incentivare le discutibili centraline sono i dati. L'Italia nel suo SEN 2017 rivendica, rispetto ad altri Stati europei, di avere raggiunto l'obiettivo 20-20-20, previsto per l'anno 2020, già nel 2015.

Forse un'autorità di bacino autonoma che si occupi del solo Piave è richiesta. Un approccio integrato per l'ambiente antropizzato, e non, del Piave, dovrebbe poter ricomporre la moltitudine di competenze e di frammentazioni in quell'unicum del paesaggio fluviale che compone il solco naturale del Piave.
La politica dunque, quella locale prima, per essere più presente nella società, si deve adoperare nell'intento di creare condizioni e strumenti, per evitare che i conflitti diventino un fine.
Nel nostro caso, prioritariamente, si può e si deve chiedere presto al Governo, la rettifica del DLgs 387/2003, strumento che rappresenta il vero motivo della corsa alle famigerate centraline, affrontando nel contempo, i temi della tutela dell'ambiente e della promozione culturale del sistema fluviale Piave.

Giuseppe Cancemi