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venerdì 9 gennaio 2015

Amministrare la città



PER PARTIRE BENE... SIN DAI PRIMI CENTO GIORNI


Voltare pagina, per una città del profondo Sud che tutti gli anni regolarmente si colloca all'ultimo posto delle graduatorie sulla vivibilità delle città in Italia, è cosa ardua. Il gorgo di una quotidianità amministrativa esercitata nell'inseguire i problemi, può risucchiare ogni buona intenzione di riscossa promessa in tempo di elezioni, fatta magari in buona fede. Aggredire le problematiche amministrative quotidiane che sempre più hanno abbassato il livello dell'ordinaria amministrazione, è la prima cosa che bisogna fare. Serve anche rinvigorire ed estendere l'etica della responsabilità, rendere trasparente il palazzo comunale, avvicinare tutti i cittadini alle scelte, prima di farle e non dopo. Razionalizzare, risparmiare, riqualificare e/o spostare risorse improduttive verso capitoli che ottimizzano, qualificano l'attività amministrativa, sono categorie che devono entrare per prime nella buona amministrazione.
Come iniziare un nuovo corso di buona amministrazione della città, parte da una conoscenza condivisa dei problemi e dalle risposte da dare a questi, secondo una tempistica, una disponibilità delle risorse da impiegare, una assegnazione della priorità e alcuni criteri di base. Nei primi cento giorni, si può cominciare dall'immagine della città, dall'erogazione dei servizi, dalle facilitazioni che possono essere avviate per avvicinare gli utenti della città al "palazzo". I costi, che questo primo approccio deve avere, devono rimanere gli stessi di prima, se non meno. Sembrerebbe velleitario ma non lo è!
 Prendiamo l'immagine della città attuale non priva di degrado in generale e nell'arredo urbano, poco pulita lungo le strade, i marciapiedi e i posti di raccolta e vediamo cosa si può fare per ridare un nuovo volto alla città.

 A mo' d'esempio: se riduciamo il volume della frazione indifferenziata che finisce nei cassonetti, si possono abbattere i costi di conferimento in discarica a vantaggio del riutilizzo, delle finanze locali (e non solo) e dell'ambiente naturale dove andrebbe smaltito l'umido. Dunque vantaggi diretti e indiretti. Altro esempio, a favore dell'immagine urbana, potrebbe riguardare una più "severa", "pignola" e "accurata" pulizia cittadina. Avendo cura di difendere sì la giusta e puntuale ricompensa del lavoro svolto dagli Operatori ecologici ma non senza pretendere la contropartita apprezzabile da tutti e non senza perseguire (se necessario ed educativo) i contravventori cittadini. Un ulteriore esempio potrebbe riguardare la velocizzazione dei servizi ai cittadini, al commercio e all'imprenditoria, facendo viaggiare le informazioni e non le persone.
All'interno del Palazzo, sempre per esemplificare, i carichi di lavoro di ognuno e di tutti, previsti dalle norme (Contratti collettivi) o dalla consuetudine riconosciuta e consolidata e la dirigenza che deve vigilare, debbono assicurare il massimo della efficienza per dovere e rispetto ai cittadini sovrani. Anche gli amministratori, da parte loro, non debbono e non possono delegare agli uffici e al rispettivo personale, compiti propri della politica. Le scelte e le soluzioni di natura politica, non contrarie alle leggi e con copertura finanziaria, debbono solo essere, tradotte in azioni, ed eseguite. Non bisogna lasciare spazio alla discrezionalità. Se viene delegata ai dirigenti la conduzione degli atti che afferiscono alla sfera della loro responsabilità individuale ma che sono riconducibili alla responsabilità politica, viene dato spazio a rinvii, ritardi se non ad una elusione della esecutività.
Infine, le aggregazioni di volontariato, gli anziani organizzati (p. e. AUSER) con deleghe e responsabilizzazione sulla custodia e il mantenimento, per esempio, dei giardini pubblici o del verde di quartiere possono fornire un prezioso ausilio a costo zero.
E via discorrendo di questo passo....
Ecco, l'avvio così concepito, di aggiustamenti, puntualizzazioni, razionalizzazioni, riconoscimenti di ruoli e responsabilità, efficienza, dovere e diritto, consapevolezza, di cittadinanza attiva e partecipativa può fare da volano a una serie di altre piccole riforme dal basso se partecipate davvero.

Giuseppe Cancemi

BELLUNO: la città nel suo essere insieme urbano


IL CENTRO STORICO NON E' DISNEYLAND


Credo che il centro storico meriti più rispetto. Non si è mai spenta l'eco dei risentimenti dei suoi abitanti che si rinnova di tanto in tanto. Non sono giustificabili le “offese” e le “ferite” che vengono inferte tutte le notti dal “nottam...bullismo e quasi settimanalmente dalle varie, diciamo, “feste paesane”, in nome di un'economia che alla fine si riduce alla sopravvivenza di qualche bar. Tutto insiste come se il centro storico non fosse abitato da alcuno.
Eppure, bisognerebbe ringraziare proprio la “resistenza” di quegli abitanti del centro, se viene mantenuto un minimo di sopravvivenza per quegli esercizi commerciali di vicinato, divenuti oramai i meno sostenibili.
La politica è sorda, considera e percepisce il maggior luogo di rappresentanza della città, come strumento semplicemente da usare: senz'anima e senza abitanti. I progetti quasi sempre per il centro che mostra, sono presentati come frutto di un “concorso” in fretta e furia sempre in chiave mercantilista. Comunque, la recente volontà amministrativa di volere calmierare i prezzi d'affitto delle abitazioni, potrebbe essere un inizio di buona politica. Bisogna, però, affrontare il problema delle abitazioni nella globalità di un progetto di città che fin qui non si è visto. Tanti sono i segni che l'Amministrazione cittadina naviga a vista. Non ha una rotta tracciata. Considera la periferia urbanizzata come luogo aperto alla saturazione edilizia, il centro storico come la Disneyland di città, il greto del Fiume Piave come la futura Palm Beach, gli alberi un impiccio per i parcheggi e viabilità e l'ambiente naturale non diverso dal suolo agricolo. L'eccesso di feste “strapaesane” continuato ed aggravato da emissioni acustiche inquinanti in alcune circostanze oltre i limiti del dolore, gli affollamenti variopinti di cose e persone, e perfino la circolazione di cibi e bevande non sempre nostrani, per chi vorrebbe apprezzare, “gustare” il godimento del genius loci nel silenzio, nei colori e nei sapori propri del luogo dovrà accontentarsi
di una mistificante accozzaglia di estemporanei segni in contrasto con quello che rappresenta un centro storico. A tutti sono note le spese per i festini vari, l'aspettativa di una spiaggia a Lambioi e l'abbattimento di quei poveri alberi, sempre ritenuti malati, ma in verità utili per qualche posteggio in più. Di non meno rilievo, anzi quasi dispettoso, nella conduzione amministrativa di questa città, appare, anche, l'esclusione del centro storico nel servizio di ecocentro su mezzo mobile.


Pendono adesso, sommariamente, sul capo della città: una scelta di ammodernamento di Piazza dei Martiri che si propone di stravolgere l'immagine consolidata del salotto buono di Belluno; una permuta di volumi per agevolare nuova edilizia in zona di espansione; nuovi gadget per allietare ulteriormente le notti brave di Belluno sempre in centro storico, etc.. Bisogna riconoscere, però, che qualche iniziativa all'orizzonte appare con una qualche utilità, pur se non coordinata nel suo complesso, con risorse, bisogni, problemi e progetti. Mi riferisco alla ricercata azione amministrativa di volere con l'ATER, un approccio progettuale che potrebbe diventare ambizioso, se non si esaurisce e si limita al solo reperimento di qualche abitazione a costo contenuto. L'occasione, invece, dovrebbe estendersi e prevedere per la città un piano complessivo nella direzione di un rinnovo edilizio a rotazione continua, magari dando, forse, meglio impulso, da parte del Comune, all'Ufficio Politiche per la Casa. Non secondario è anche l'interessamento che si ha per la scuola primaria. Restituire la scuola “Gabelli” ai cittadini e ripristinare lo spazio occupato provvisoriamente, dagli attuali edifici scolastici nel Parco Città di Bologna, farebbe cessare quella deprecabile emergenza di cui l'Italia è solita abusarne.

Insomma, il primo cittadino non me ne voglia, se mi sono permesso di sottolineare una certa carenza politica che nulla ha a che vedere con le ristrettezze economiche comunali, che esistono e limitano l'azione politica, ma ciò che mi sembrava utile mettere in evidenza resta la visione d'insieme della città che rimarco: non deve mancare. Ricordo soltanto, che il centro storico non è luogo a se stante ma, piuttosto, parte nobile di un luogo abitato. L'umanità che l'ha attraversato con i suoi segni tangibili lo ha reso unico e irripetibile. Pertanto, lo ricordo per me stesso, chi non riconosce nel centro storico l'alta pregnanza storico-culturale e baratta la sua essenza di città per valori miseri ed effimeri, non solo sbaglia ma fa anche proselitismo per l'ignoranza!


Giuseppe Cancemi

sabato 3 gennaio 2015

Caltanissetta: La Grande Piazza


Il danno è fatto


Tralascio la scelta di pavimentazione la quale allo stato interessa corso Vittorio Emanuele, che contrasta di sicuro anche con l'immagine del centro storico, e provo a commentare ciò che si intravede attraverso le foto degli ultimi lavori. Intanto mi rifiuto di accettare l'idea che alla base di quella esecuzione di lavoro pubblico ci sia la guida di un tecnico comunale o di un libero professionista. Senza offesa per nessuno, quelle linee bianche e l'insieme della realizzazione in corso sembrano essere più opera arbitraria d'iniziativa del "bravo capomastro" che non l'esecuzione di un'opera sotto la guida di un tecnico professionista.
Quelle linee bianche lungo i lati del corso Vittorio Emanuele, che si fanno notare, danno alla percezione visiva d'insieme una nota coloristica fine a se stessa, ambigua e pericolosa per l'utenza automobilistica e dei pedoni. Senza troppo disquisire, tornando al segno che divide lo spazio carrabile da quello pedonabile, essendo non marcato dal rialzo di un marciapiede, dà all'automobilista, la superficiale sensazione di segno valicabile, abbassando così la ricercata soglia di sicurezza per il pedone. Stessa erronea valutazione da parte sua potrebbe farla anche il pedone, non percependo il limite in quella linea bianca considerandola, con ogni probabilità, solo un segno decorativo. La scelta poco idonea si giustifica con il dubbio progettuale non risolto di spazio dalla duplice valenza: a volte perdonabile e altre no. Insomma, l'immagine della Grande Piazza oltre a tradire la patina di una conservazione storica, sempre più appare incerta, ambigua nel suo uso e poco attenta all'incolumità del cittadino pedone.
E che dire del passaggio pedonale che si affaccia in piazza Garibaldi?

Intanto, esteticamente con le interruzioni dei raccordi e l'inclusione di tombini che scombinano l'impianto fisso sembra un “oggetto difettoso” ancor prima d'essere usato. Dunque non solo ambiguità in quella realizzazione ma anche qualche inesattezza tecnica nel passaggio zebrato realizzato nel tratto che incrocia Piazza Garibaldi. Per la funzione intrinseca di passaggio pedonale, stando alle linee guida e al codice stradale, qualche anomalia sembra evidente. A spanna, non sembrano a norma larghezza e lunghezza delle strisce (50 cm x 250 cm) bianche e soprattutto la distanza di esse dallo sbocco in piazza (5 m). In buona sostanza, tutto appare indeciso e titubante, più dettato da una (si fa per dire) ricerca estetica che non da un complessivo studio che consideri nel progetto, se prevista la viabilità, una ineludibile soluzione in termini anche di sicurezza stradale.
Per concludere, ad esempio, fermo restando l'obbrobrio della scelta in atto, si poteva, almeno, aggiungere al rinnovo, un percorso con pavimento tattile per l'attraversamento in sicurezza dei non vedenti, magari allungandolo verso altre funzionalità di servizio. Quindi non solo spostamento da un lato all'altro per tutti lungo la cosiddetta Grande Piazza, ma anche massima fruibilità cittadina verso i pubblici uffici (p. e. Comune). E perché no, pure verso i vari esercizi commerciali in un quadro di città con centro storico veramente a misura d'uomo?
Giuseppe Cancemi