LAMBIOI... E DOPO LA TEMPESTA?
So
che molti non si troveranno d’accordo con quanto mi preme rilevare,
a proposito dei cantieri sul Fiume Piave, ma il mio dire vuole essere
un punto di riflessione per i cittadini di Belluno.
Come
tutti sanno nell’area Lambioi, di recente si è attivato da parte
del Genio Civile, uno dei cantieri sorti a seguito della Tempesta
Vaia.
L’intervento,
per lo scopo che si è dato procede, ed è molto attenzionato per
l’atteso uso balneare a tutti i costi, dei suoi argini. Ciò che
noto però è un gran silenzio da parte di Soprintendenza,
ambientalisti, intellettuali e perché no anche di ordini
professionali come architetti e ingegneri, che non dicono una sola
parola in merito. L’uomo contemporaneo non ha ancora imparato
abbastanza dalle generazioni che lo hanno preceduto. Ha coscienza di
sé come essere finito, ma si comporta come se tutto ciò che lo
circonda fosse infinito e plasmabile ai suoi esclusivi fini.
Il
Piave, ecosistema fluviale, è un elemento territoriale
importantissimo che, per esempio, dà al territorio attraversato, una
sua particolare identità ecologica, storica e paesaggistica.
Dunque, interventi come quello in atto, non dovrebbero solo essere un
semplice ripristino di esclusiva natura ingegneristica, ma piuttosto
qualcosa di più articolato, composito, attento al rapporto uomo
natura.
Proprio
la tempesta Vaia ha fatto ritrovare (se non è stata presa una
cantonata) massi che sarebbero appartenuti al “Castello”. E non
mi pare che per questi ritrovamenti ci sia stata una campagna di
studi per approfondire le conoscenze archeologiche del caso. Il
reticolo idrografico del Piave, come detto, è un ecosistema che
mette insieme fattori sia biotici ( flora, fauna) che abiotici
(geomorfologia, litologia), non di rado alterati da un’urbanizzazione
non proprio necessaria, come nel nostro caso.
Le
opere che si stanno realizzando nel Lambioi, invece, mostrano la
fregola di riavere tutto e subito, quello che quel tratto di Fiume
non può dare: una spiaggia. Tra un Ansa e una Golena (che chissà
perché è detta di natura alluvionale!). Ancora quell’occupazione
di suolo (da un punto di vista naturalistico, “abusiva”) già
sperimentata, che la tempesta Vaia ha restituito alla natura. Natura
che in tempi sempre più ravvicinati si manifesta con tutta la sua
forza, per riprendersi ciò che le è stato sottratto.
Intanto,
proprio per questo, le opere in corso non mi convincono se restano
quelle riportate dalla stampa.
Nel
linguaggio la “demolizione e ricostruzione della soglia in cemento
a valle del Ponte della Vittoria” si leggono quelle caratteristiche
dell’intervento, che lo fanno apparire lontano dalla filosofia
praticata da un’ingegneria naturalistica che è propria per queste
opere.
E
neanche l’ammissione che il “Parco Fluviale”, ufficialmente
rimane NON SICURO ALLE PIENE, mi fa pensare che la scelta di
riconfermare l’uso di quelle aree è un perseverare. Vogliamo dire…
“diabolico”?
Continuare
a cementificare, come sembra ripetersi con gli interventi in atto, è
quell’ottica di una urbanizzazione a tutti i costi che sottovaluta
la delicatezza che ha il tratto di Piave che passa per Belluno.
L’ingegneria
naturalistica in ambiti come quello di un habitat fluviale, dovrebbe
avere per prima la parola. L’aspetto tecnico (idrogeologico e di
difesa del suolo), non è avulso da una filosofia come quella
naturalistica, la quale ha cura anche degli aspetti paesaggistici,
storici ed estetici.
Insomma,
in quei lavori che si stanno conducendo e che si ha fretta di
consegnare all’uso balneare degli impazienti cittadini, sollevo un
paio di perplessità che sottopongo all’attenzione di tutti.
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I lavori nel Lambioi per la stampa locale |
Ma
Belluno, dopo l’esperienza vissuta “l’altro ieri”, con le
previsioni su scala mondiale di nuovi rovesci d’acqua improvvisi a
causa del cambiamento climatico, può per inversione di tendenza
cominciare a pensare in termini ecologisti?
E
perché nel caso non pensare, in prossimità del Lambioi, ad un’area
di espansione del Fiume anziché alla solita spiaggia?
Specie
sapendo, che prima o poi potrebbe essere ancora tempo di ripristino,
e chissà a quale prezzo?
Penso
infine che, per quanto detto, si debba dire basta ai consumi di suolo
e, nei lavori per la salvaguardia del territorio, riuscire a
mantenere quel rapporto omeostatico che deve esserci tra uomo e
natura.
Giuseppe
Cancemi