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sabato 6 luglio 2019

Ripristino del Parco Lambioi dopo Vaia


LAMBIOI... E DOPO LA TEMPESTA?




So che molti non si troveranno d’accordo con quanto mi preme rilevare, a proposito dei cantieri sul Fiume Piave, ma il mio dire vuole essere un punto di riflessione per i cittadini di Belluno.

Come tutti sanno nell’area Lambioi, di recente si è attivato da parte del Genio Civile, uno dei cantieri sorti a seguito della Tempesta Vaia.
L’intervento, per lo scopo che si è dato procede, ed è molto attenzionato per l’atteso uso balneare a tutti i costi, dei suoi argini. Ciò che noto però è un gran silenzio da parte di Soprintendenza, ambientalisti, intellettuali e perché no anche di ordini professionali come architetti e ingegneri, che non dicono una sola parola in merito. L’uomo contemporaneo non ha ancora imparato abbastanza dalle generazioni che lo hanno preceduto. Ha coscienza di sé come essere finito, ma si comporta come se tutto ciò che lo circonda fosse infinito e plasmabile ai suoi esclusivi fini.
Il Piave, ecosistema fluviale, è un elemento territoriale importantissimo che, per esempio, dà al territorio attraversato, una sua particolare identità ecologica, storica e paesaggistica. Dunque, interventi come quello in atto, non dovrebbero solo essere un semplice ripristino di esclusiva natura ingegneristica, ma piuttosto qualcosa di più articolato, composito, attento al rapporto uomo natura.
Proprio la tempesta Vaia ha fatto ritrovare (se non è stata presa una cantonata) massi che sarebbero appartenuti al “Castello”. E non mi pare che per questi ritrovamenti ci sia stata una campagna di studi per approfondire le conoscenze archeologiche del caso. Il reticolo idrografico del Piave, come detto, è un ecosistema che mette insieme fattori sia biotici ( flora, fauna) che abiotici (geomorfologia, litologia), non di rado alterati da un’urbanizzazione non proprio necessaria, come nel nostro caso.

Le opere che si stanno realizzando nel Lambioi, invece, mostrano la fregola di riavere tutto e subito, quello che quel tratto di Fiume non può dare: una spiaggia. Tra un Ansa e una Golena (che chissà perché è detta di natura alluvionale!). Ancora quell’occupazione di suolo (da un punto di vista naturalistico, “abusiva”) già sperimentata, che la tempesta Vaia ha restituito alla natura. Natura che in tempi sempre più ravvicinati si manifesta con tutta la sua forza, per riprendersi ciò che le è stato sottratto.

Intanto, proprio per questo, le opere in corso non mi convincono se restano quelle riportate dalla stampa.
Nel linguaggio la “demolizione e ricostruzione della soglia in cemento a valle del Ponte della Vittoria” si leggono quelle caratteristiche dell’intervento, che lo fanno apparire lontano dalla filosofia praticata da un’ingegneria naturalistica che è propria per queste opere.
E neanche l’ammissione che il “Parco Fluviale”, ufficialmente rimane NON SICURO ALLE PIENE, mi fa pensare che la scelta di riconfermare l’uso di quelle aree è un perseverare. Vogliamo dire… “diabolico”?
Continuare a cementificare, come sembra ripetersi con gli interventi in atto, è quell’ottica di una urbanizzazione a tutti i costi che sottovaluta la delicatezza che ha il tratto di Piave che passa per Belluno.

L’ingegneria naturalistica in ambiti come quello di un habitat fluviale, dovrebbe avere per prima la parola. L’aspetto tecnico (idrogeologico e di difesa del suolo), non è avulso da una filosofia come quella naturalistica, la quale ha cura anche degli aspetti paesaggistici, storici ed estetici.
Insomma, in quei lavori che si stanno conducendo e che si ha fretta di consegnare all’uso balneare degli impazienti cittadini, sollevo un paio di perplessità che sottopongo all’attenzione di tutti.


I lavori nel Lambioi per la stampa locale
Ma Belluno, dopo l’esperienza vissuta “l’altro ieri”, con le previsioni su scala mondiale di nuovi rovesci d’acqua improvvisi a causa del cambiamento climatico, può per inversione di tendenza cominciare a pensare in termini ecologisti?

E perché nel caso non pensare, in prossimità del Lambioi, ad un’area di espansione del Fiume anziché alla solita spiaggia?
Specie sapendo, che prima o poi potrebbe essere ancora tempo di ripristino, e chissà a quale prezzo?

Penso infine che, per quanto detto, si debba dire basta ai consumi di suolo e, nei lavori per la salvaguardia del territorio, riuscire a mantenere quel rapporto omeostatico che deve esserci tra uomo e natura.


Giuseppe Cancemi