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sabato 25 agosto 2012

La città e il colore


Per spiegare il perché, anche se lentamente, si  va diffondendo la cultura delle città coloristicamente regolamentate, una breve premessa sulla percezione retinica di una qualsiasi immagine va ricordata. Rivolgendo lo sguardo a quanto la natura o l’opera dell’uomo ci mostrano, è possibile cogliere come prima sensazione immediata, una percezione sensoriale della cromaticità e della spazialità di ciò che osserviamo in quel preciso istante.  I colori che vengono a distinguersi, sono l’effetto di molti fattori ma principalmente di un fenomeno che la fisica spiega, grazie a Newton, con una disciplina detta luce in cui fa riferimento ad una porzione dello spettro elettromagnetico visibile dall’occhio umano. In poche e semplici parole, ciò che vediamo di colorato, verso quello che guardiamo, è una riflessione parziale del fascio di luce incidente sull’oggetto osservato. I colori sono anche frutto della quantità di luce.  In assenza di luce nulla è visibile ai nostri occhi. Ciò posto, allora quanto personalmente vediamo  è effetto di oscillazioni elettromagnetiche di varia lunghezza d’onda, che però vengono influenzate da vari altri fattori. Esperienza, cultura, sensibilità, emotività, educazione alla visione  sono elementi che concorrono alla formazione di una opinione sull’insieme dei colori e sulle sensazioni che vengono trasmesse all’osservatore.  Calandoci ora nella realtà coloristica che accompagna la nostra vita di inurbati,  rivolgendo il nostro interesse all’idea di un cosiddetto piano del colore, possiamo rilevare che stiamo parlando di città: una tavolozza dinamica di colori che cambiano in continuazione.  
Negli insediamenti  storici e non,  il decoro urbano nel rispetto di una tradizione coloristica giustificata dalla storia e dalla cultura, sono quel quid che crea un valore aggiunto al luogo. Spesso, il degrado degli immobili, fa da distrattore  nell’immagine coloristica che colpisce nell’insieme  un impianto storico della città.
Le città, per questa sensibilità verso un’immagine urbana, in cui i colori vanno raccordati con la storia e la cultura,  viaggiano un po’ in ordine sparso. Tentano autonomamente di darsi delle regole, allo scopo di impedire nei centri storici e zone limitrofe, preferenze e accostamenti cromatici temerari e/o  arbitrari nonché scelte ampiamente discrezionali.
 In Italia di pianificazione del colore urbano se nei parla sin dalla fine dagli anni ’70, con il piano di Torino di G. Brino che però, nel tempo a seguire, non ha prodotto molti adepti.  Nel Veneto, in assenza di un indirizzo normativo regionale in materia, qualche amministrazione locale come Padova e Castelfranco e forse qualche altro Comune ,senza parlare formalmente  di piano, si sono dati delle regole in merito. Anche Belluno,  mi risulta, che il Comune, in centro storico, esercita un certo controllo, con apposita rappresentanza in cantiere, al momento della scelta coloristica. Come casuale  ed episodico testimone in un cantiere del centro storico, però, non mi sono apparse chiare a quali regole riferisse la sua alta sorveglianza.  Nel caso, le più visite in cantiere in questi giorni, fatte  dal tecnico comunale, sono servite per raggiungere, mediante provini, un accordo su quel punto di giusto di grigio (non color cemento) ricercato da questo pubblico funzionario. Argomenterei, a proposito di tale richiesta, che la piccola questione, ha tutto l’atteggiamento di altri tempi.  Da “commissione di ornato” . Per la cronaca, l’edificio oggetto della sottigliezza cromatica, è una costruzione degli anni ’50, realizzato in centro storico. Quando in Italia il cemento “faccia a vista” andava di moda.

Comunque, credo che le regole in questo caso e sempre, servano a non stravolgere la storia che accompagna ogni manufatto. Le  stratificazioni edilizie  sono pagine di storia urbana e non sarà il grigio cemento, se ben dosato nei ritmi del contrasto cromatico, a mutare l’ornato di quell’ambito cittadino.
Giustamente gli  architetti veneti, in un atto di indirizzo, hanno posto alcuni paletti per  gli ordini, sulle “radici nella storia” e sulle “tracce cromatiche-decorative di particolare interesse presenti sul territorio” come punto di avvio delle scelte cromatiche in città.
Personalmente aggiungerei che le regole vengono concepite per ridurre al minimo la discrezionalità e per avvicinarsi all’oggettività e alla condivisione.

Giuseppe Cancemi