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mercoledì 21 settembre 2011

Belluno: la cultura della manutenzione ordinaria



Città sostenibile

Belluno e il suo hinterland costituiscono un unico territorio a vocazione turistica. La notizia che circola di fare riconoscere formalmente turistici i suoi Comuni appare strategica ma solo al fine di far cassa (non nascondiamocelo) anche se patto di stabilità e ristrettezze economiche impongono in bilancio una diminuzione delle uscite o un aumento delle entrate. È raro in verità trovare Comuni virtuosi che hanno capito e cambiato rotta, dimostrando di avere metabolizzato il cambiamento socio-economico in atto di portata epocale. Lo spreco, a partire dal territorio, dall’edilizia è bandito, e nella modernità ogni modifica, trasformazione e/o creazione deve essere affrontata nella complessità che segna i  nostri tempi.
Belluno, Via Flavio Ostilio, 6-04-2011
Nei lavori pubblici, per esempio, la fetta maggiore delle risorse si continua ad attribuirla massimamente al nuovo, e si trascura che la vera immagine di una città sta nel mantenimento in buono stato di ciò che si possiede. Voglio dire che la manutenzione continua ad essere la cenerentola degli enti autarchici. Ovviamente mi riferisco alla manutenzione programmata di ogni bene cittadino, che significa assegnare un tempo di durata a ciò che si vuole mantenere e, alla scadenza, attuare il ripristino estetico/funzionale. L’immagine, di una città attitudinalmente turistica, a maggior ragione deve essere mantenuta da periodici piccoli ripristini e non da episodici interventi che aumentano i costi e, se in ritardo, fanno scivolare in un progressivo degrado.
Belluno, Via Flavio Ostilio, 25-08-2011
In centro storico qualche esempio di immagine che offusca la vera Belluno la offre il degrado della scuola “Gabelli” in prossimità degli arrivi ferroviari e dei bus. Anche chi visita o percorre alcune vie in quegli stessi dintorni, potrà constatare che i marciapiedi presentano superfici  che sembrano montagne russe.  Le “cuciture” varie con bitume, che riparano i marciapiedi, sono dissesti veri e propri dell’attesa planarità di un percorso pedonabile. Non è raro trovare frantumata  la pietra calcarea delle bordure di contenimento in parti di marciapiedi e di gradini. Un esempio per tutti, topico, lo si può trovare nei gradini di via Flavio Ostilio. Per la cronaca, otto/nove mesi fa, ad un vigile, ho fatto notare un dissesto visibile di alcuni gradini. Sono spuntati poco dopo due cartelli di lavori in corso. Se si va a vedere ora, non sono più presenti quei cartelli ma i gradini guasti permangono.
Quando piove, tra le buche stradali e quelle dei marciapiedi, per gli schizzi, al cittadino sembra di interpretare un noto film dal titolo (parodiato): “imprecando” sotto la pioggia. Per la verità, i marciapiedi in disordine non sembrano avere origine dall’obsolescenza quanto piuttosto dai lavori in tempi successivi  per i vari allacci alle varie reti sotterranee. E qui una riflessione è d’obbligo: il ripristino dei luoghi per detti allacci non è stato fatto con la dovuta attenzione/sorveglianza, o è il risultato di conseguenze non eliminabili?  Quale dei casi che sia, necessita di essere accertato perché non si verifichi più in futuro. Sommessamente, potrei suggerire: o di controllare meglio il ripristino dei luoghi a lavori effettuati, o di prevedere un tempo per l’intero rinnovo di quel marciapiede dopo un certo numero di allacci e/o lavori vari, e quindi trattenersi per ogni intervento un apposito contributo per quel preciso scopo. Il dissesto dei marciapiedi in alcuni casi è anche causato dalle radici degli alberi. Qui si può solo pensare di intervenire per il futuro, con essenze in caso di ricambio, le cui radici, ad esempio, siano fittonanti.
L’accoglienza turistica muove dalla prima impressione. Il centro storico per fortuna, grazie all’eredità lasciata dall’umanità che lo ha attraversato, testimonia con i suoi manufatti un’edilizia ricercata che segna la cronologia storica del vissuto urbano.  
Nel linguaggio corrente di politici e tecnici locali, aleggiano di tanto in tanto un paio di vocaboli che dovrebbero coniugare il turismo con l’economia. Mi riferisco ai termini: bioarchitettura e sostenibilità. Peccato che ancora siano solo dei pronunciamenti. Nel regolamento edilizio della città di Belluno ad esempio, non si trovano. Altrettanto assente è un qualche cenno al protocollo di Itaca che riguarda i criteri per  nuove costruzioni o ristrutturazioni in termini di bioarchitettura.
La Repubblica riconosce al turismo un'importanza strategica nello sviluppo economico del Paese. In termini locali l’immagine turistica si esalta quando il centro di un Comune oltre ad essere un luogo rinomato per storia e cultura si mostra efficiente e viene percepito come amico appunto della sostenibilità.
Qualche Comune del bellunese è sulla buona strada; Feltre qualche tempo fa si è prodigata per diffondere la conoscenza dei beni culturali tramite internet in modo nuovo e proprio in questi giorni si sta occupando di edilizia sostenibile. Il capoluogo di provincia, faccia conoscere meglio agli ignari cittadini come me quali vie ha intrapreso per migliorare l’immagine della città e cosa sta facendo per la sostenibilità. Penso che con un gesto simbolico minimo, nel quadro di una strategia globale di immagine, di valorizzazione e razionalizzazione delle risorse e di scelte sostenibili, si potrebbe  cominciare col  risanare marciapiedi, gradini, recinti (vedi “Gabelli), etc., e allo stesso tempo esaminare la possibilità di adottare nello strumento urbanistico, i nuovi criteri di sostenibilità aderendo al “protocollo Itaca” del Veneto.

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N.B. - Oggi, 7 novembre 2011, annoto volentieri che da un mese circa le riparazioni ai gradini segnalate in questo pezzo sono state fatte.