Aggiungi...


Condividi questo articolo

lunedì 21 maggio 2018

In favore di Belluno capitale delle Dolomiti

L'ANNUNCIATO DEPOTENZIAMENTO DELLA RETE INTEGRATA DEI SERVIZI SANITARI, RIDUCE L'APPEAL DI BELLUNO CAPITALE DELLE DOLOMITI


Il paventato riassetto del presidio ospedaliero della montagna, in questi giorni ha messo giustamente in allarme tutta l'area dolomitica del Veneto, per un'annunciata relativa riduzione di posti letto. Belluno capitale delle Dolomiti, rischia un ulteriore depauperamento di attività specialistiche per consunzione numerica del personale medico e paramedico ma anche per un complessivo declassamento funzionale.
La “brutalità” dei numeri (posti letto x abitante), sembra prendere piede nel ragionamento politico di chi governa. Si pensa di ricondurre all'artificiosa sterile relazione tra gli insediati dell'area montana e i posti letto in ospedale, ad un rigido rapporto numerico. E' legittimo credere che un simile criterio, più o meno opinabile, per non uguali situazioni territoriali (montagna e pianura) che comportano linee cinematiche, circolazione e mobilità non confrontabili, non sia equo per le varie istanze territoriali. Le isocrone (dei tempi di percorrenza a pari distanze), per fare un esempio, e la dispersione dei nuclei abitati del bellunese, rispetto i presidi sanitari, fanno una grande differenza tra il territorio pianeggiante e la montagna. Già dunque, i 3,7 posti letto per ogni 1000 abitanti non è un criterio spalmabile su tutto il Veneto. Per la verità ancora nel bellunese il rapporto tra abitanti e posti letto in ospedale è 4 e non 3,7. Una differenziazione da tempo riconosciuta. Ora, si vogliono rifare i “conti” forse in relazione ad uno spopolamento in atto, che colpisce maggiormente la montagna. La chiusura o riconversione di alcune strutture ospedaliere, riconducibile ad una disposizione (D. L. 70/2015) non è una soluzione, ma appare come una mera questione economica che si rifà a rigidi standard, i quali non differenziano alcuna realtà territoriale.
La strategia regionale comunque, che non vuole levate di scudi, è iniziata in modo soft. Ha messo in moto una sottile sfiducia rivelata dall'annuncio letto in questi giorni, di un riassetto delle strutture sanitarie lasciato “casualmente” filtrare, il quale però, inconsciamente o meno, incide sempre più sull'appeal in caduta per i posti di medicina specialistica da hub, che il territorio ha da coprire. È noto a tutti che la fiducia rimane l'elemento primario di un qualsiasi rapporto. Per fare un esempio, se prendiamo uno Stato africano qualsiasi, pur se ricco di risorse (materie prime e umane), non riesce solitamente a vivere all'altezza del suo potenziale economico, perché ritenuto poco affidabile in genere, per la sua stabilità politica per prima, e dunque ignorato dai mercati finanziari. Ecco, nel nostro caso, il venir meno della fiducia verso un luogo di lavoro depauperato nelle sue strutture, ha l'effetto di accelerare le uscite degli specialisti verso la medicina privata e la fatica di trovarne nuovi. La risultante di un depotenziamento degli ospedali come di Belluno ma anche di Feltre, assimilabili ad hub per la rete territoriale, in qualche modo, aumenta il disagio di chi vive in montagna e contribuisce allo spopolamento. In buona sostanza è bene ricordare che l'area Bellunese, per la diversità, in attuazione della legge regionale 25/2014, ha un suo riconoscimento che non può essere soltanto un fatto burocratico di attribuzioni trasferite o da trasferire, senza la sostanza di una sostenibilità. Sostenibilità che non deve prescindere da una sanità intesa come rete integrata di servizi che, anziché essere potenziata, con la ventilata riorganizzazione, corra il rischio di essere svuotata dai contenuti di ciò che può significare nel complesso di una specificità territoriale.

Così per ricordare, la legge 833/78, quella del Servizio Sanitario Nazionale, in attuazione di uno dei principi della repubblica rivolto alla “tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo” non può essere mortificata da una contabilità ragioneristica, che perde di vista la sua finalità principale che è la salute dell'individuo. Non a caso l'antico progetto quadro del 1973 suggeriva un parametro addirittura di 7,3 letti per ogni 1000 abitanti, forse meno realistico di quello di oggi (3,7x1000 ab.), ma certo indicativo di un rapporto meno avaro per tutti.
I disagi nella fruizione di servizi essenziali, sposta l'inurbamento verso le città più attrezzate, le città cosiddette metropolitane e, per chi può permetterselo, verso una sanità privata.
Con la cosiddetta riorganizzazioni dei servizi sanitari in Veneto, senza aspettare che nessuno venga a dircelo, è facile rendersi conto che in zona montana, il declassamento delle strutture esistenti, non solo aumenta il disagio ma dà anche una mano allo spopolamento.
In un'analisi SWOT, la rete integrata di servizi sanitari, di buon livello come quella di Belluno, in una prospettiva di sviluppo socio-economico se mantenuta e anzi integrata, fa la differenza (come punto di forza) e il piano strategico, in progress, di cui la Provincia è in attesa, ne ha necessità.
Sparigliare la rete sanitaria dolomitica non è solo un danno alla sanità ma più complessivamente è anche un danno che ha riflessi sulle prospettive socio-economiche di tutto il territorio bellunese.


Giuseppe Cancemi