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giovedì 7 marzo 2024

Restauro, Recupero, Ristrutturazione, Risanamento... e poi?

 

 CENTRO STORICO? PARLIAMONE...


Se non ricordo male, il centro storico di Caltanissetta nel PRG di oltre un ventennio fa, veniva definito dallo zoning come centro direzionale, commerciale e residenziale. A distanza di non poco tempo la complessità che riguarda i molti aspetti della vita sociale, economica e culturale delle città italiane è aumentata. La crisi del commercio tradizionale per prima, è stata una delle cause principali che ha fatto iniziare lo svuotamento dei centri storici e portato alla chiusura di molti negozi e attività.
Secondo una recente indagine di Confcommercio, in dieci anni sono spariti in Italia quasi centomila negozi nei salotti buoni delle città, sostituiti da ristoranti, alloggi e servizi per il turismo. L’attrattiva e la vivibilità dei centri storici per i residenti, si sono spostati verso le periferie o le piattaforme on-line per i loro acquisti. Per Caltanissetta però questo, forse, è accaduto solo in minima parte.
Altro fattore che contribuisce non poco allo svuotamento del nostro centro storico come per tutti gli altri è la mobilità, compresa la difficoltà di accesso, sia per i residenti che per gli eventuali visitatori. La circolazione a causa delle strade strette, aree pedonali condivise con il traffico, e scarsità o problematicità dei parcheggi e del trasporto pubblico contribuisce all'abbandono.
Per contrastare questo fenomeno, si potrebbe pensare a politiche di sostegno e incentivazione al commercio di prossimità, che valorizzino la qualità, la diversità e l’identità dei prodotti locali.
Si potrebbe anche favorire la collaborazione tra i commercianti e le altre realtà del territorio, come le associazioni culturali, le scuole e le istituzioni, per creare eventi, iniziative e sinergie che rendano i centri storici più vivi e attrattivi.
Per migliorare la situazione, si potrebbe investire in soluzioni di mobilità sostenibile, ove possibile, come piste ciclabili, mezzi elettrici, parcheggi interrati, servizi di car-sharing e di bike-sharing. Si potrebbe anche promuovere una maggiore integrazione tra i vari modi di trasporto, per facilitare gli spostamenti tra il centro e la periferia.
Il patrimonio architettonico e culturale del centro storico, per essere maggiormente attrattivo, lo si potrebbe rendere più accessibile installando ascensori, rampe, passerelle e altri dispositivi allo scopo di superare le esistenti barriere architettoniche.
In ultimo, ma non l'ultimo degli aspetti più da riqualificare in centro storico, è quello di rafforzare il senso di comunità e di appartenenza dei residenti e dei visitatori.
Ma tutto questo ha bisogno prima di tutto che vi sia tra Comune Provincia e Regione una sinergia istituzionale non senza il coinvolgimento dell'economia locale (Confcommercio, Confartigianato e Confindustria) e delle organizzazioni sindacali. Un progetto comune di rinascita socio-economica.
Il nostro centro storico viene oramai vissuto come luogo estraneo e, forse anche, anonimo, deserto, insicuro, privo di identità e di valore. Per invertire questa tendenza, si potrebbe stimolare la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni e nelle azioni che riguardano il loro territorio. Si potrebbe anche valorizzare la storia, la cultura, la tradizione e la creatività dei centri storici, attraverso progetti di recupero, restauro, riutilizzo e innovazione degli spazi e dei beni.
Non senza, una necessaria, incentivazione della convivenza e della solidarietà tra le diverse generazioni, culture e categorie sociali che abitano/frequentano il centro storico, promuovendo iniziative di inclusione, integrazione e cooperazione.
Giuseppe Cancemi

mercoledì 6 marzo 2024

Abitare in C. S. a C/ssetta


 CENTRO STORICO DI CALTANISSETTA. QUALE FUTURO?

(di Giuseppe Cancemi)

La questione centrale che emerge dal tema di quest'incontro, fa parte di ciò che affligge gran parte del Paese Italia in questo momento storico. il pesante bilancio del commercio, lo spopolamento e una presenza fluttuante di popolazione alloctona “invisibile”, fanno tutti parte di uno stesso fenomeno abitativo in città stranamente contraddittorio.

Non si trovano case in affitto nei centri storici, pur in un mercato di vuoti edilizio-abitativi relativamente in abbondanza.

Da parte dell'economia si sa, che tra il 2012 e il 2023 il commercio ha perso oltre 111mila negozi al dettaglio ed è cessata l'attività di 24mila unità nel commercio ambulante. Fattori non indifferenti, che hanno contribuito e contribuiscono alla desertificazione dei centri urbani, con calo e/o riduzione dei servizi ai cittadini. Il commercio di vicinato, pur anch'esso colpito, sopravvive in alcuni casi, a fatica, anche se per limitati consumi non serviti da internet. Di questi epocali mutamenti in ambiente cittadino, ne è responsabile in gran parte l'e-commerce.

Ma l'Italia non si arrende, anzi, prova e riprova ad attrezzarsi per andare avanti! Secondo alcuni studi e ricerche, i centri storici in Italia sono diventati sempre più una realtà variegata e polarizzata, in cui convivono situazioni di vitalità e di crisi, di conservazione e di rinnovamento, di attrazione e di abbandono. Alcuni centri storici sono diventati dei poli di sviluppo e di innovazione, grazie alla presenza di attività economiche, culturali e turistiche, mentre altri sono rimasti marginali e degradati, come causa/effetto della perdita di servizi, della popolazione e della qualità urbana.

Il panorama è assai vario ed aiuta poco, ai fini di una eventuale scelta modellistica, nell'eventualità che se ne volesse mutuare qualcuna.

Sappiamo comunque, che non è facile dare una risposta univoca al futuro del nostro centro storico, perché ogni scelta dipende da tanti diversi fattori e tra questi, per esempio, il complesso delle dinamiche socio-economiche, la valorizzazione del patrimonio culturale e ultimamente anche, la sostenibilità ambientale e con quale tasso di partecipazione i cittadini affrontano le problematiche.

In Sicilia e non solo in Sicilia, con la cosiddetta Autonomia differenziata, bisogna anche dire che l'incognita maggiore sta principalmente nelle politiche ondivaghe delle leggi esitate e/o in corso, in materia di edilizia e di urbanistica. Secondo il Consiglio dei Ministri, recentemente, la legge regionale n. 2/2022 della Regione Siciliana “eccederebbe dalle competenze statutarie presentando profili di illegittimità costituzionale”.

Purtroppo, ci si deve barcamenare anche tra vecchi e nuovi orientamenti che contraddicono la sostenibilità e il consumo di suolo. Nella nostra Sicilia per esempio, siamo ancora combattuti se riesumare o meno, la sanatoria edilizia e/o mettere in soffitta lo Zoning e gli standard residenziali: “per attrezzature ed impianti di interesse generale” che nel tempo, per quest'ultimi, siamo riusciti a mantenerli non negoziabili.

Al Teatro Margherita domani (7 marzo 2024) il Comune di Caltanissetta

presenterà due casi di studio, sulle nuove procedure attuative del Piano Urbanistico Generale, che provengono dalla Legge Regione Sicilia n.19/2020.

Un qualcosa di accademico, dal titolo: “Status del P.U.G.” più di attività culturale, molto interessante, ma che fa sorgere una qualche perplessità in un momento in cui preme di più la crisi urbana, diventata endemica, che attanaglia la città nissena. Argomento, sicuramente utile per le procedure di Piano Urbanistico Generale, che può interessare di più ad un ordine professionale di riferimento che non all'interesse comune dei cittadini.

Il nostro centro storico, tra sfide e opportunità del futuro, nel suo insieme e non diversamente da tanti altri centri storici in difficoltà, va visto come bene comune da tutelare e valorizzare, nell'ottica di recupero di una maggiore vivibilità e funzionalità dei luoghi, nell'interesse generale di poter soddisfare le varie esigenze dei residenti e dei visitatori.

L’UNESCO in questo senso, ha elaborato delle linee guida per integrare la conservazione del patrimonio urbano, nelle strategie di sviluppo socioeconomico, basate sul concetto di Historic Urban Landscape, ovvero di paesaggio urbano storico.

Un classico esempio di progetto pilota, lo ha realizzato Mozia, cuore delle saline di Marsala nella Riserva Naturale Orientata.

Lo si ritrova in una tesi accademica applicata (e realizzata) sulla musealizzazione dell’isola, che muovendo dal sito archeologico dell’isola ne preconizza una rinascita all’interno dell’immenso suo patrimonio artistico. Un approccio olistico e dinamico, che tiene conto non solo degli aspetti materiali e immateriali del luogo, ma anche delle sue trasformazioni e delle sue relazioni con il contesto naturale e sociale.

Non è convinta di una medesima interpretazione di “Città museo” , Cecilie Hollberg direttrice dell'Accademia di Firenze. Esprime una grande preoccupazione a suo dire, per quella città, schiacciata dal turismo, esprimendosi testualmente con: “Non troviamo più un negozio, una bottega normale ma solo oggetti esclusivamente per turisti come gadget e souvenir..”

Per Caltanissetta, al punto in cui siamo, non saranno certo le strade che conducono al centro, immaginate da qualcuno innovate al massimo: dal volume di traffico alleggerito, con tanti parcheggi e senza limiti per la circolazione a risollevare la città, dalla crisi socio-economica del momento attraversata.

Dai progetti annunciati con qualcuno realizzato, di cui si è visto e si sente parlare, si avverte però un gran distacco tra il bisogno e le risposte.

Non esiste un raccordo progettuale tra il “materiale e l'immateriale”.

Il progetto di Via Mazzini “social home”, la Caserma Capitano Franco, la scala mobile della scalinata Silvio Pellico e forse altro ancora, ne sono un esempio. Non sembrano esprimere un concorde indirizzo di scopo ma una produzione di volume edilizio in opere a sé stanti.

Sono interventi che non hanno un nesso con una progettualità che proviene da analisi multicriteria, di recupero funzionale tra domanda e offerta, di opere avvertite dalla cittadinanza come bisogni reali e non indotti.

Sono solo segnali di operazioni occasionali, che provengono da realizzazioni fatte o da fare in totale assenza di un dialogo tra progetti e reali interessi della comunità nissena. Scelte “senza anima”, che appartengono ad una casualità distratta da piccoli interessi, non coincidenti col bisogno di una città in crisi profonda e non da ora.

Il centro storico, a fini di un'investimento nel “mattone” per gran parte dei nisseni, lo sappiamo, non è appetibile da un punto di vista edilizio. La conservazione storica e urbanistica, sia pure non eccessiva, non interessa a nessuno. Lo stock edilizio ha scarse possibilità di incremento, e dunque non consente abbuffate speculative.

Cosa fare allora per iniziare con qualcosa per il centro storico, diciamo “a mani nude”?

Come attività in campo, un primo suggerimento di incipit lasciato alla fantasia umana/urbana si può dare.

Si provi ad immaginare un giardino di pietra in quelle aree costituite da muri crollati, blocchi, ruderi in generale e superfici orizzontali, tutti ripuliti, messi in sicurezza e ricoperti da piante spontanee di vario tipo, specie e colori.

Quel luogo non più com'è adesso, si ritroverà “ingentilito” da tanti piccoli interventi “verdi”.

si può cominciare anche da subito nella trasformazione, Non appena anche pochi interessati, cittadini di buona volontà, daranno la loro adesione.

Si sa già in partenza, che molti nisseni sono già abituati a dare un tocco verde al proprio balcone. I tanti, a pensarci bene, potrebbero abilmente diventare quel popolo non solo che può dare l'avvio all'operazione: GIARDINO DI PIETRA, ma anche parte di quella risorsa corale che serve di più per un inizio di progetto condiviso.




giovedì 22 febbraio 2024

I CASOTTI DI BELLUNO

Nuova vita ai casotti, pardon, 'casòt' di Belluno

Riconducibile all’attività 'edilizia libera' di cui all’art. 6 del D.P.R. 380/2001

Suvvia! Mi pare giusto che il Consiglio comunale di Belluno si occupi di casotti. Anche, perché la Regione Veneto sta mettendo ancora le mani, su una riforma urbanistica regionale assieme ad altre buone intenzioni, come la semplificazione urbanistica (progetto di legge n. 513) e la differenziata compresa. Non quest'ultima per la raccolta ma per l'Autonomia. 

Forse con questa modifica, si vuole aggiungere una nota locale alla transizione di potestà urbanistica tutta veneta, finora però prerogativa esclusiva dello Stato.

Per carità, comunque, non senza tutte le premesse di intervenire sul territorio, in termini di sostenibilità ambientale a livello regionale e con imperituro impegno volto al contenimento nel consumo di suolo.

Per la stampa locale di qualche giorno fa, infatti, le “ Buone notizie” del tanto atteso (sic!) “rinnovo dei ricoveri attrezzi” narrano di una deliberazione comunale, intesa a modificare il Regolamento Edilizio a favore un atteso decoro urbano. I cittadini ora potranno rimettere a posto i famosi 'casòt' di Belluno, rendendo giustizia alla identità bellunese.

La città vuole essere pronta, per una prevista rigenerazione dell'urbanesimo veneto che circola. E per questo, anche Belluno ha inteso mettere il suo 'carico', sicuramente assai utile e necessario, per un nuovo corso dell'urbanistica cittadina.

In effetti si sa che la modifica ultima del R. E. pubblicata sul sito comunale, risale a fine dicembre 2023 e l'ampliamento è già vigente.

Comunque, udite... udite, l'operazione casotti, per gli “addetti ai lavori”, consentirà di ampliare e forse anche modificare il “casotto” che negli ultimi anni era nei desiderata dei cittadini. E ora diciamo, col solo 'fastidio' dell'accatastamento, finalmente diventa realtà. L'incognita resta per l'eventuale riconfigurazione di questi “edifici a scopo di ricovero”, autorizzati a possibili ritocchi e/o a nuovi interventi di edilizia. Quanto impattanti possano rivelarsi da ora in poi, non sfiora l'idea e l'immagine di una probabile diversa identità urbana di Belluno. Ma quello che vale da ora in poi, è più che il tutto vada sotto la 'rivoluzionaria' etichetta di “libera edilizia”.

Dagli indicati 8 metri al quadrato, massimo (senza accatastamento), consentiti dal Decreto del Ministero delle Finanze di: tettoie per porcili, pollai, casotti, concimaie, pozzi e simili, con quest'ultima modifica al Regolamento Edilizio (forse) i 9 m al quadrato sono un'affermazione di principio locale. Con questa nuova norma nel R. E., varia il volume da 8 a 9 metri quadrati, ferma restando l'altezza utile di non oltre 1,80 m e il volume massimo di 150 mc.

Intanto, si registra che nel R.E. pubblicato sul sito comunale: DELIBERAZIONE DI C.C.N.114 del 28/12/2023 nel : QUADRO DELLE DEFINIZIONI DEGLI ELEMENTI DI ARREDO DELLE AREE DI PERTINENZA riconducibili all’attività edilizia libera, il significato: “Casotto” o “Casòt” usato dall'articolo di stampa corrisponde ad un eufemismo: 'Ripostiglio per attrezzi'. Sarà perché si vuole sottolineare che il “ritocco” aderisce più al R.E. : AREE DI PERTINENZA riconducibili all’attività edilizia libera art. 6 del D.P.R. 380/2001 ?

Peccato che di questa importante e cogente modifica al R. E. passata in Consiglio comunale, non si sia potuta leggere alcuna riflessione sulla risultante di un eventuale rinnovo, che possa ferire il decoro urbano esistente.

O magari, senza malizia alcuna, che si possa favorire la comune voglia di allargarsi verso un suolo agricolo limitrofo alla propria abitazione, al di là dell'interesse di comunità.

Qualcuno diceva in passato, che a pensar male ci si azzecca, e qualcun altro riferendosi al medesimo motivo, invece: che si fa peccato. Nel nostro caso, della modifica al R.E., il passaggio da 8 a 9 mq e una silente approvazione, sembrano quasi più aderire al pensare male e che no, non si fa peccato.

Aspetteremo in seguito e si vedrà, a quali obiettivi della transizione ecologica si è voluto aderire tra consumo di suolo zero e sostenibilità con la detta modifica di R.E..

Intanto, è quanto meno bizzarro, in tempi di transizione ecologica non occuparsi prioritariamente delle risorse vitali. Acqua per prima!

I ghiacciai che scompaiono, i fiumi che esondano, le acque salmastre che risalgono dalle foci non bastano forse per sollecitare agli umani che bisogna fare qualcosa per il clima, la temperatura del pianeta e al fine di difendersi oramai, dalle disastrose conseguenze.

Non sfiora l'idea che a fronte di una scarsità delle risorse idriche, a partire dal Regolamento Edilizio, un cambio di paradigma nell'uso  dell'essenziale risorsa 'acqua', per gli esseri viventi, è un grande passo di conservazione delle specie tutte, umanità compresa, per prima.

Tutto il mondo si aspetta che oltre una “green economy” vi sia anche un nuovo modo di governare il territorio, nel quale, negli ultimi tempi, l’assetto locale vive tutte le problematiche che minacciano il futuro. L'agricoltura per esempio, ha lanciato e continua a lanciare segnali importanti per la sete dei campi che producono cibo. E non solo in Italia ma anche in altre parti del nostro pianeta.

Ma anche le città sono colpite dalla “sete”. Ciclicamente, alcune debbono rivedere la tempistica dell'erogazione idrica alle loro popolazioni, mentre per altre per la carenza del prezioso liquido è in aumento. Intanto questo, solo così per ricordare uno dei problemi che dovrebbe farci riflettere.

Nel caso nostro, a proposito di Regolamento Edilizio, per essere anche propositivi, viene in mente che la Belluno operosa si può attrezzare meglio e di più, nel risparmio idrico con alcune soluzioni.

Il tema delle acque è vario. L'uso umano ha bisogno necessariamente di una potabilizzazione spinta, diversamente da quelle strettamente irrigue agricole e per le produzioni industriali, le quali, necessitano di purificazione sì ma di convenienza. E già questo semplifica e indica ciò che si può fare per un inderogabile riutilizzo delle acque in un territorio.

Trattenere le acque il più a lungo possibile sulla terraferma,  pluviali comprese, è l'imperativo per una esigenza indifferibile. Un possibile rallentamento dei corsi d'acqua anche per evitare piene distruttrici, si ottiene mantenendo in ordine le aree golenali (Lambioi per fare un esempio). Altrettanto utile è anche il ricircolo delle acque potabili già utilizzate, per usi vari come acque grigie, attraverso un'apposita ulteriore circolazione. Sapendo che si può fare tanto altro, capillarmente, per famiglia.

Anche nella nostra città si può pensare ad una scelta urbanistico-edilizia, per esempio, che affronti attraverso un nuovo Regolamento Edilizio un percorso fattibile, di nuove scelte applicabili alle future ristrutturazioni e/o nuove costruzioni edilizie.

L'introduzione di una seconda circuitazione idrica (ad esempio) con raccolta o meno anche delle acque meteoriche, è l'uovo di Colombo.


Intraprendere la via del risparmio idrico significa, mettere in campo un sostanziale elemento d'approvvigionamento d'acqua. Un qualcosa che con l'innovativa economia circolare apre anche a nuovi spazi di lavoro, specializzazioni e favorisce le condizioni per un know-how che sicuramente si presta a diventare esportabile.

Giuseppe Cancemi 

sabato 10 febbraio 2024

BELLUNO: RISPARMIO IDRICO E NON SOLO...

 Il bisogno dell'acqua si fa sempre più pressante per la nota crisi dovuta al riscaldamento globale.

Iniziare a considerare le acque per il loro effettivo uso: agricolo, industriale e civile è il primo passo che bisogna fare verso la riduzione degli sprechi in termini quantitativi e non senza un'attenzione verso i riflessi economici.

Sappiamo che nel mondo 3,6 miliardi di persone non hanno accesso all'acqua per almeno un mese all'anno e si prevede che questa cifra aumenterà a più di 5 miliardi entro il 2050. 

Il consumo delle acque è vario. L'uso umano ha bisogno necessariamente di una potabilizzazione spinta, diversamente da quelle strettamente irrigue agricole e per le produzioni industriali, le quali, necessitano di purificazione sì ma di convenienza. E già questo semplifica e indica ciò che si può fare per un inderogabile riutilizzo delle acque di un territorio.

Trattenere il più a lungo possibile le acque in generale sulla terraferma, pluviali comprese, è diventata un'esigenza indifferibile. Un possibile rallentamento dei corsi d'acqua anche per evitare piene distruttrici, si ottiene mantenendo in ordine le aree golenali (Lambioi per fare un esempio). Altrettanto utile è anche il ricircolo delle acque potabili già utilizzate, attraverso un'apposita ulteriore circolazione come acque grigie.

Tutti contributi per un avvio verso una ricercata soluzione razionale e valoriale del risparmio idrico.

Per avere un'idea, i Comuni che affrontano i temi legati ai cambiamenti climatici, con l’adattamento dei propri Regolamenti Edilizi, in Italia sono 298.

Anche nella nostra città si può pensare ad una scelta urbanistico-edilizia, per esempio, che affronti attraverso un nuovo Regolamento Edilizio un percorso fattibile, che scelga di applicare alle future ristrutturazioni e nuove costruzioni edilizie. L'introduzione di una seconda circuitazione idrica con raccolta o meno anche delle acque meteoriche è l'uovo di Colombo. Un sistema misto di circolazione dell'acqua potabile la quale, successivamente depurata, si usa come acqua grigia che viene ulteriormente impiegata per altri appositi consumi d'uso civile. Un inizio virtuoso di risparmio idrico che fa bene all'ecologia e all'economia.

Nella scelta del risparmio idrico, fattibile, Belluno ha anche un suo ulteriore vantaggio orografico oltre che panoramico. Nell'affaccio della parte storica della città verso il Fiume Piave, una diversità di quota tra abitato e corso d'acqua, rende immaginabile che si possa ricavare elettricità dalla trasformazione dell'energia cinetica potenziale, posseduta delle acque reflue che si riversano perennemente in quel Fiume.

Altri vantaggi che può apportare il risparmio idrico sono notevoli. Basti pensare che già il trattenere a lungo le acque sulla terraferma solo mediante il riutilizzo, fa diminuire la necessità delle consistenti scorte idriche e produce un indotto economico. Ma più di tutto, vale la pena ricordare che intraprendere la via del risparmio idrico significa, mettere in campo un sostanziale elemento d'approvvigionamento d'acqua. Un qualcosa che con l'innovativa economia circolare apre a nuovi spazi di lavoro, specializzazioni e favorisce le condizioni per un know-how sicuramente anche esportabile.

Giuseppe Cancemi

martedì 2 gennaio 2024

La Pista per il Bob a Cortina

UNA STORIA SENZA FINE


La foto alberata rappresenta quello che è il luogo: lo stato di fatto.

Il progetto fa 'sparire' gli alberi, facendo illudere su una 'immaginata' neve che non si vede da anni.


 Gira e rigira dopo più volte avere letto e sentito dire che la pista di bob a Cortina non si può e non si deve fare, torna ancora arrogantemente riproposta da un potere politico dal volto sovranista che vuole imporre ciò che in democrazia si respira come, non si sa, se logica autoritaria o abuso di potere.

Il binomio Comitato Olimpico Italiano e Regione Veneto continuano ad insistere nel volere realizzare questo 'prestigioso oggetto' di rivalsa politica, forse, per rassicurare i “tycoon de noantri” su chi “comanda” in Italia.

Tutti in Italia e fuori però sanno, a vari livelli, che una nuova pista sportiva per pochissimi interessati: atleti e tifosi, economicamente esosa e dannosa per l'ambiente naturale, non è e non può essere un irrefrenabile oggetto del desiderio, neanche per gli stessi veneti.

Il bob in Italia ha due squadre di 9 uomini e una donna. Complessivamente, non si sa neppure quanti siano i praticanti di questo sport. Si stima, che possano essere da venti a trentotto persone in tutto. I bob club presenti in Italia, infatti, sono solo in poche località montane come Cortina, Cesana Pariol, Lorenzago, Pelos e Mottarone34.

Diciamo che è uno sport che non può dirsi neanche di élite, per la sua presenza numericamente insignificante sul territorio. Se per tale sport da 'gruppo esclusivo' si discute da qualche anno per una sua apposita pista, costosissima in termini soprattutto ambientali, viene da chiedersi se c'è un perché. Sfugge, una tale aberrazione a moltissimi italiani, i quali, lontani e contrari al solo pensiero che tale costo (superiore ai 100 milioni) possa gravare su tutti e, ironia, anche su quelli che forse nella loro vita, hanno visto la neve solo qualche volta in televisione.

A parte ogni altra considerazione, la realizzazione di un simile obbrobrio in ambiente naturale, se realizzato, costerebbe il sacrificio di centinaia di alberi ed una forte compromissione dell'ecosistema montagna, che finora ha contribuito al mantenimento dell'alta biodiversità italiana nel mondo.

Da un punto di vista pragmatico, facendo un po' i conti della serva, intanto, il costo non sarà di 100 milioni come dicono, ma ancora di più. Se non ricordiamo male, per quello di Cesana Pariol (TO) di qualche tempo fa, utilizzato per una ventina di eventi e 6 anni di vita, è costato oltre i 100 milioni.

Nel nostro caso, anche con solo 100 e passa milioni per 38 utilizzatori, la spesa di quasi 3 milioni per ogni atleta rimane sempre esagerata, anche se si escludono i costi annuali di gestione.

Domanda: con un finanziamento pubblico, si può creare una struttura sportiva, il cui costo elevato non considera il suo risaputo scarso impiego per i pochi atleti, e un quasi inesistente potenziale di eventuale pubblico?

Una simile spesa, se non è paragonabile a quella fatta singolarmente per tutte le altre specialità agonistiche per atleti e pubblico assai numerosi (di élite e di massa), non è solo una ingiustizia sociale, ma un discrimine, uno schiaffo morale a tanti altri atleti e a chi ha scelto di seguire altre specialità competitive.

L'artificio che la cifra comunque, per qualcuno, è giustificabile per una qualche ulteriore primato mondiale conseguibile, è una falsa misera aspettativa. Nelle competizioni agonistiche, i primati conseguibili sono tanti, e numerosi gli atleti che li ambiscono. Nella competizione di Milano-Cortina di cui parliamo, si contano 16 discipline olimpiche, e le loro strutture olimpiche dai costi ed oneri generalmente più conternuti, praticate da pattuglie di atleti che vi competono, non sono considerate certo inferiori sia nel prestigio che nell'immagine agonistica.

La giusta rinuncia alla pista di bob che aveva placato gli animi fino all'altro ieri, sembra essere ritornata nuovamente in questi giorni alla ribalta. Una nuova accensione dei riflettori su un progetto ch'era stato accantonato, smentendo l'esistenza di un piano B  rimette in gioco il progetto originario, dandolo in corso di affidamento. 

Ma la telenovela non finisce qui. 

Il nuovo appuntamento per quando si potrà avere un responso definitivo, però, viene rinviato alla fine di gennaio. 

Chi è a capo della commissione che si occupa dei Giochi italiani, fa sapere da parte sua che per il CIO la pista a Cortina di cui si discute non è essenziale per le gare di bob, slittino e skeleton di Milano Cortina. Si resta dunque in attesa di un, diciamo, ultimo responso del CIO. Quest'ultimo sottolinea che, pur rimanendo coerente con quanto anzi detto, riconferma la dipendenza del progetto dai tempi e dai bandi di gara e, comunque, che a decidere sarà la Fondazione Milano-Cortina. Una storia ambigua senza fine con una ancora pilatesca decisione finale la cui eco si protrarrà nel tempo.

Pervicacemente Regione e Comitato Olimpico (?) non rinunciano, e si ritorna a parlare di “piano A” pur se i costi già elevati lieviteranno ancora, la manutenzione per il mantenimento dovrà essere iscritta annualmente a bilancio. Insomma l'operazione 'pista da bob' fa a pugni con il consumo di suolo, la transizione ecologica e il riscaldamento globale o cambiamento climatico mondiale che con questo eventuale intervento vengono dimenticati.

La preoccupazione del Sindaco di Cortina che teme per il Comune amministrato un rischio “default” non viene minimamente considerata. Nelle more di questa storia senza fine, non manca un certo risentimento del neosindaco che taccia il suo predecessore di avere firmato gli accordi olimpici con superficialità.


Stupisce particolarmente il Presidente della Regione, che in questa opera assurda riesca a vedere un business economico favorevole allo sviluppo per le terre alte menzionano la costruzione di nuove strade. Un'ottica tutta diversa, specie per le aree montane dove andrebbero rivisitati gli spostamenti per: servizi, mezzi di locomozione, tempi e logistica a favore di un trasporto pubblico, e una esclusione totale dell'occupazione di suolo con nuove strade, in ragione di una lentezza che è sempre stata propria della vita di montagna. Il turismo ricerca quella tranquillità della montagna che non trova tutti i giorni nelle città di pianura.

Evviva, negli anni 60 con uno slogan si invocava la fantasia al potere, oggi cosa possiamo dire? Che gratuitamente, senza 'colpo ferire' abbiamo ottenuto qualcos'altro che si potrà celebrare come: la tronfiezza del potere!

Giuseppe Cancemi