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giovedì 10 novembre 2011

Riporto volentieri quanto ha già pubblicato attraverso la stampa l'amico Leandro, in merito alla fragilità del territorio italiano e alla non "sostenibile" condotta di chi lo ha amministrato
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Opere faraoniche e tragedie annunciate
1 / Leandro Janni / SICILIA, 5/10/2009
 
    



  
Ha senso parlare di “tragedie annunciate” in un paese come l’Italia che, negli ultimi novant’anni, ha registrato oltre 5.000 grandi alluvioni e 12.000 frane? In media, un episodio ogni giorno e mezzo. In soli cinquant’anni, i fenomeni naturali hanno provocato circa 3.500 morti, mediamente 7 morti al mese. Così stima una recente ricerca dell’Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni. In Sicilia, il 70 per cento del territorio è ad alto rischio. Certo è che la prima e più importante opera da realizzare per il Paese, per l’Isola, è la messa in sicurezza del territorio. E invece, si continuano a concepire e a realizzare opere faraoniche e insostenibili. Spesso inutili. Si concepiscono e si tramutano in legge sconcertanti “piani casa”. Proprio in questi giorni l’Assemblea regionale sta esaminando il testo del Piano casa siciliano proposto dal Governo. In conseguenza di quanto accaduto, non possiamo non chiedere al Governo regionale un atto di responsabilità. La Sicilia rinunci ad approvare una norma che prevede un rilevante aumento delle cubature edilizie e di consumo di suolo in una realtà già pesantemente pregiudicata. Una realtà in cui l’80 per cento dei comuni è a rischio di dissesto idrogeologico. La Sicilia, invece, decida di trasformare il Piano casa in un grande progetto di riqualificazione del territorio. Ad esempio, liberando le aste fluviali e le foci dal troppo cemento che le ha invase, delocalizzando gli edifici e le infrastrutture dalle aree più vulnerabili, consolidando i versanti delle montagne e delle colline con interventi di rinaturazione e rimboschimento.
A Giampilieri (Messina) si è ripetuto in modo più eclatante, con risultati più tragici di quello che era accaduto due anni fa, quando, fortunatamente, non ci furono morti. Inesorabilmente, alla prime piogge autunnali di quest’anno, il territorio messinese ha mostrato tutta la sua fragilità con conseguenze pesantissime, stavolta anche in termini di vite umane. Negli ultimi anni questo territorio è stato offeso, violentato da un’urbanizzazione aggressiva e dissennata, che ha stravolto i delicati equilibri ambientali e paesaggistici. Numerose sono le inchieste della magistratura che riguardano abusi e speculazioni edilizie perpetrate in aree torrentizie. Ribadisco quanto detto in altre occasioni. È necessaria una svolta seria, concreta, efficace nella gestione del territorio, che ridia ruolo e valore agli strumenti di pianificazione urbanistica e paesaggistica e li impronti a criteri di tutela, equilibrio, sostenibilità ambientale. E’ necessaria una svolta anche nelle politiche di protezione civile, che devono prevedere anche efficaci e tempestive azioni di prevenzione, laddove è necessario.
Infine, sento di esprimere viva approvazione alle parole semplici e nettissime, pronunciate dal Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano, subito dopo la tragedia di Giampilieri: “O si avvia un piano serio che investa, piuttosto che su opere faraoniche, sulla garanzia e la sicurezza, oppure queste zone del paese potranno essere afflitte da altre sciagure”. Di contro, le immediate, ineffabili affermazioni del ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli a proposito del ponte sullo Stretto: “Spero che al massimo per gennaio i primi lavori a terra possano partire, spero anzi che il via possa esserci già a dicembre”.  

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Opere faraoniche e tragedie annunciate
   2 / Leandro Janni / SICILIA, 12/10/2009
L’ennesimo, tragico, paradossale gioco delle parti. Alle prime dichiarazioni dei sopravvissuti della frana che tutto ha travolto, portandosi dietro fango e distruzione lungo le fiumare dei centri abitati del Messinese, di quei poveri sopravvissuti che parlavano di “disastro annunciato”, si sono, ora dopo ora, aggiunte quelle di politici, amministratori e tecnici che ripropongono lo stesso tema: “Si sapeva, la strage si poteva evitare”. Lo confermano i resoconti che, dopo l’alluvione di due anni fa, passata senza vittime, i tecnici della protezione civile avevano presentato alla Procura della Repubblica: “La causa scatenante le forti alluvioni è stata certamente l’elevata intensità di eventi meteorici, ma non può non essere presa in considerazione la leggerezza di alcune scelte territoriali, che si sono rilevate determinanti negli effetti provocati dal dissesto idrogeologico. Scelte che hanno fatto sì che il degrado dei corsi idrici del Messinese diventasse un fenomeno ormai generalizzato e diffuso, capace di provocare un vero e proprio disastro”. Ciò che sconcerta, allora, è il fatto che gli stessi artefici e in qualche modo responsabili di questo disastro annunciato, scarichino adesso le responsabilità l’un l’altro, come se nel frattempo fossero stati da qualche altra parte a fare altro, anziché gli amministratori. Il sindaco dei Messina, Giuseppe Buzzanca, che ricorda di essere da appena quindici mesi a capo dell’Amministrazione comunale, e dimentica che per dieci anni ha ricoperto la poltrona di presidente della Provincia. Il governatore della Regione, Raffaele Lombardo, che soltanto ora parla di “crimini per demolizioni mancate” e che è il primo firmatario di uno sconcertante disegno di legge sul Piano casa siciliano, adesso velocemente ritirato, “congelato”. Non un “piano casa”, ma un “condono preventivo” – diciamo noi di Italia Nostra – che viola il diritto comunitario ed è costituzionalmente illegittimo. Il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, che lamenta il ricorso ai condoni edilizi e i tagli ai fondi per la difesa del suolo, avendo in entrambi i casi preso parte alle riunioni di Consiglio dei ministri che li ha permessi. Sino ad arrivare al premier Silvio Berlusconi che, scaricando di fatto la responsabilità su chi non ha agito di conseguenza, candidamente ammette: “Era stato previsto con anticipo: tutto era stato previsto, era stato previsto che si sarebbero verificate delle situazioni critiche in queste zone. Avevamo dato avviso per tempo”. Tutte affermazioni che, in un Paese normale, sarebbero seguite da immediate dimissioni da parte dei responsabili. A tutti i livelli.
Ma, noi non abitiamo in un Paese normale: tanto che, nonostante vi siano ancora alcuni dispersi sotto il fango e le macerie, si afferma senza alcun pudore che, nonostante sia nota la situazione di gravità che affligge non solo la Sicilia ma tutto il territorio italiano, non ci sono risorse economico-finanziarie per metterlo in sicurezza. Mentre non mancano, a quanto pare, risorse economico-finanziarie, per mandare avanti opere faraoniche come il ponte sullo Stretto. Lo ha affermato il ministro delle Infrastrutture e trasporti, Altero Matteoli: “Conosco abbastanza bene il problema dell’assetto idrogeologico del nostro Paese – ha detto Matteoli. “Per metterlo in sicurezza ci vogliono 35 miliardi, ma non ce li abbiamo”. Però, ha assicurato che il ponte sullo Stretto si farà, asserendo che se le opere collaterali alla realizzazione del ponte vero e proprio fossero già avviate, con le “migliorie al territorio previste” forse “il disastro del Messinese sarebbe stato inferiore”. Una dichiarazione, quella del ministro Matteoli, seguita alle parole del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che aveva sollecitato “un piano serio che investa, piuttosto che su opere faraoniche, sulla garanzia e sicurezza”, rilevando come vi sia “una situazione di diffuso disseto idrogeologico in parte causato dall’abusivismo, a Messina e in molte altre parti d’Italia”. L’attuale ministro delle Infrastrutture ha ineffabilmente commentato, dicendo: “Io non mi permetto di polemizzare col capo dello Stato, però voglio chiedere: cosa c’entra il ponte di Messina?”. Certo è – diciamo noi – che di vero e di concreto, per la realizzazione di questa inutile e faraonica opera, ci sono solo i finanziamenti pubblici di 1,3 miliardi di euro stanziati dal Cipe. Fondi che, invece, dovrebbero immediatamente essere destinati alle necessarie opere di messa in sicurezza delle due aree dello Stretto. Così come altre risorse dello Stato destinate ad opere infrastrutturali, considerate prioritarie, potrebbero andare a costituire un fondo per mettere mano a quella che si palesa davvero come la vera priorità del Paese: la tutela, la messa in sicurezza del territorio. Forse non si arriverà ai 35 miliardi ritenuti necessari da Matteoli, o ai 25 richiesti da Guido Bertolaso (considerati una “provocazione” dal premier Berlusconi) ma, senza dubbio, saranno meno dello “zero euro in cassa”, che ha confermato il ministro Prestigiacomo per il 2010. Tra l’altro, il parere che il ponte sullo Stretto rimanga una priorità, sembra sostenuto ormai dal solo ministro Matteoli, considerato che anche da Confindustria arriva un ulteriore no alla mega infrastruttura: “Secondo noi non è la priorità” – ha dichiarato la presidente Emma Marcegaglia. “Abbiamo bisogno prima di tutto di mettere in sicurezza il territorio – ha osservato la Marcegaglia a margine dell'Assemblea annuale degli industriali di Pavia – perché ci sono continui e preoccupanti casi ambientali, ma occorrono anche piccole opere, necessarie per dare più efficienza al sistema infrastrutturale e logistico italiano”.
Ci chiediamo: ha senso parlare di “tragedie annunciate” in un Paese come l’Italia che, negli ultimi novant’anni, ha registrato oltre 5.000 grandi alluvioni e 12.000 frane? In media, un episodio ogni giorno e mezzo. In soli cinquant’anni, i fenomeni naturali hanno provocato circa 3.500 morti, mediamente 7 morti al mese. Così stima una recente ricerca dell’Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni. In Sicilia, il 70 per cento del territorio è ad alto rischio. Il presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo, a seguito dei drammatici eventi dei giorni scorsi, ha espresso l’intenzione di adottare un atteggiamento intransigente verso l’abusivismo e di porre in essere interventi seri ed efficaci per ridurre il dissesto idrogeologico. Lombardo ha anche proclamato che intende “congelare” il Piano casa siciliano. Ma che vuol dire “congelare”? La consueta, sconcertante ambiguità del potere politico, in attesa di tempi migliori? E comunque, non pochi malumori hanno manifestato i deputati regionali di Palazzo dei Normanni, a seguito delle recenti dichiarazioni del governatore della Sicilia. Noi, in conseguenza di quanto accaduto, non solo di recente, non possiamo non chiedere al Governo regionale un atto di responsabilità: la Sicilia rinunci ad approvare un Piano casa che prevede un rilevantissimo e scriteriato aumento delle cubature edilizie e di consumo di suolo, in una realtà già pesantemente pregiudicata. Una realtà in cui l’80 per cento dei comuni è a rischio di dissesto idrogeologico. La Sicilia non ha certo bisogno di un ulteriori costruzioni, ma di un grande progetto di riqualificazione del territorio, che preveda la liberazione delle aste e delle foci fluviali dal troppo cemento che le ha invase, delocalizzando – laddove è necessario – gli edifici e le infrastrutture dalle aree più vulnerabili, consolidando i versanti delle montagne e delle colline con interventi di rinaturazione e rimboschimento. Tutto questo si può fare. Deve essere fatto. Senza perdere altro tempo.
A Giampilieri (Messina) si è ripetuto – in modo più eclatante, con risultati più tragici – quello che era accaduto due anni fa, quando, fortunatamente, non ci furono morti. Inesorabilmente, alla prime piogge autunnali di quest’anno, il territorio messinese ha mostrato tutta la sua fragilità con conseguenze pesantissime, stavolta anche in termini di vite umane. Negli ultimi anni questo territorio è stato offeso, violentato da un’urbanizzazione aggressiva e dissennata, che ha stravolto i delicati equilibri ambientali e paesaggistici. Numerose sono le inchieste della magistratura che riguardano abusi e speculazioni edilizie perpetrate in aree torrentizie. Noi di Italia Nostra ribadiamo quanto detto in altre occasioni. È necessaria una svolta – seria, concreta, efficace – nella gestione del territorio, che ridia ruolo e valore agli strumenti di pianificazione urbanistica e paesaggistica e li impronti a criteri di tutela, equilibrio, sostenibilità ambientale. E’ necessaria una svolta anche nelle politiche di protezione civile, che devono prevedere anche efficaci e tempestive azioni di prevenzione. Ovviamente, per realizzare tutto questo, occorrono politici e amministratori seri e responsabili, capaci di gestire, governare la complessità. Capaci di pensare, programmare e attuare uno sviluppo equo e sostenibile dell’Isola. Politici e amministratori capaci di coniugare passato, presente e futuro; tutela e innovazione.
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Opere faraoniche e tragedie annunciate 
Ovvero: nella mente dei nuovi tiranni

 3 / Leandro Janni / SICILIA, 19/10/2009
                                                                                               
Sicilia. Piove e fa freddo. Continua a piovere, in questo autunno grigio e minaccioso. In questo autunno confuso e paradossale. Sconcertante. La terra continua a sbriciolarsi, a liquefarsi: nel Messinese, nel Catanese, nel Palermitano, nell’Agrigentino, nel Nisseno, nel Siracusano. Insomma: una situazione assai preoccupante, grave. Una stato di cose che desta angoscia e avvilimento nelle popolazioni già colpite, nelle popolazioni più a rischio. Nei cittadini più consapevoli.
Una situazione evidentissima, chiarissima. Uno stato di cose a cui bisognerebbe porre rimedio. Subito. Con interventi adeguati, efficaci. Senza perdere altro tempo.
Ma, agli italici mestieranti del facile ottimismo non interessa tutto questo. Non può interessare tutto questo. Anzi! Essi hanno ben altro per la testa.
E poi, questo sciagurato, implacabile riferimento alla terra, ai luoghi, alle storie di uomini e donne in carne e ossa, non è proprio il loro campo di azione, di movimento. Non è il loro spazio di consenso. E poi, ci sono cose ben più importanti, più eclatanti, irrinunciabili: le grandi opere infrastrutturali, il famoso ponte sullo Stretto. La Banca del Meridione.
Dunque, è chiaro. Deve essere chiaro, come un ordine, come un comandamento: la realizzazione del ponte sullo Stretto non è più rinviabile, procrastinabile. E poi, sarebbe una deleteria dimostrazione di debolezza. Forse, persino la dimostrazione di umano, ragionevole sentire. No, non è possibile: “Il ponte ha da farsi e si farà”. Subito. A cominciare dal prossimo dicembre 2009.
Che si debba costruire in zona sismica, che si preveda di poggiare i due piloni portanti e la campata centrale di 3.300 metri su faglie mobili, non è importante. Che l’eventuale realizzazione della mega-infrastruttura andrà a sconvolgere il paesaggio di uno dei luoghi più belli e delicati del nostro Paese, non è considerato degno di attenzione. Che ci sia, o no, uno studio vero, fondato, un progetto esecutivo non è cosa rilevante. E d’altronde, questi sono soltanto i soliti, vacui intellettualismi dei soliti oppositori al governo. Ai quali si risponde affermando – con faraonica faccia tosta – che “la realizzazione del ponte servirà anche a mettere in sicurezza le due sponde dello Stretto”.
Nella mente dei nuovi tiranni tutto è certo, perentorio, inconfutabile. Nella mente dei nuovi tiranni tutto accade lontano dalla realtà. Nella mente dei nuovi tiranni tutto accade sulla pelle di uomini e donne che abitano povere case, poveri luoghi, poveri territori. Essi vanno proclamando che il ponte, il mega-ponte li nobiliterà. Darà loro un futuro. Forse, persino la felicità che non hanno mai posseduto.