L'ANNUNCIATO DEPOTENZIAMENTO DELLA RETE INTEGRATA DEI SERVIZI SANITARI, RIDUCE L'APPEAL DI BELLUNO CAPITALE DELLE DOLOMITI
Il paventato riassetto del
presidio ospedaliero della montagna, in questi giorni ha messo
giustamente in allarme tutta l'area dolomitica del Veneto, per
un'annunciata relativa riduzione di posti letto. Belluno capitale
delle Dolomiti, rischia un ulteriore depauperamento di attività
specialistiche per consunzione numerica del personale medico e
paramedico ma anche per un complessivo declassamento funzionale.
La “brutalità” dei
numeri (posti letto x abitante), sembra prendere piede nel
ragionamento politico di chi governa. Si pensa di ricondurre
all'artificiosa sterile relazione tra gli insediati dell'area montana
e i posti letto in ospedale, ad un rigido rapporto numerico. E' legittimo credere che un simile criterio, più o meno opinabile, per non uguali
situazioni territoriali (montagna e pianura) che comportano linee
cinematiche, circolazione e mobilità non confrontabili, non sia equo
per le varie istanze territoriali. Le isocrone (dei tempi di
percorrenza a pari distanze), per fare un esempio, e la dispersione
dei nuclei abitati del bellunese, rispetto i presidi sanitari, fanno
una grande differenza tra il territorio pianeggiante e la montagna.
Già dunque, i 3,7 posti letto per ogni 1000 abitanti non è un
criterio spalmabile su tutto il Veneto. Per la verità ancora nel
bellunese il rapporto tra abitanti e posti letto in ospedale è 4 e
non 3,7. Una differenziazione da tempo riconosciuta. Ora, si vogliono
rifare i “conti” forse in relazione ad uno spopolamento in atto,
che colpisce maggiormente la montagna. La chiusura o riconversione di
alcune strutture ospedaliere, riconducibile ad una disposizione (D.
L. 70/2015) non è una soluzione, ma appare come una mera questione
economica che si rifà a rigidi standard, i quali non differenziano
alcuna realtà territoriale.
La strategia regionale
comunque, che non vuole levate di scudi, è iniziata in modo soft.
Ha messo in moto una sottile sfiducia rivelata dall'annuncio letto in
questi giorni, di un riassetto delle strutture sanitarie lasciato
“casualmente” filtrare, il quale però, inconsciamente o meno,
incide sempre più sull'appeal in caduta per i posti di
medicina specialistica da hub, che il territorio ha da
coprire. È noto a tutti che la fiducia rimane l'elemento primario di
un qualsiasi rapporto. Per fare un esempio, se prendiamo uno Stato
africano qualsiasi, pur se ricco di risorse (materie prime e umane),
non riesce solitamente a vivere all'altezza del suo potenziale
economico, perché ritenuto poco affidabile in genere, per la sua
stabilità politica per prima, e dunque ignorato dai mercati
finanziari. Ecco, nel nostro caso, il venir meno della fiducia verso
un luogo di lavoro depauperato nelle sue strutture, ha l'effetto di
accelerare le uscite degli specialisti verso la medicina privata e la
fatica di trovarne nuovi. La risultante di un depotenziamento degli
ospedali come di Belluno ma anche di Feltre, assimilabili ad hub
per la rete territoriale, in qualche modo, aumenta il disagio di chi
vive in montagna e contribuisce allo spopolamento. In buona sostanza
è bene ricordare che l'area Bellunese, per la diversità, in
attuazione della legge regionale 25/2014, ha un suo riconoscimento
che non può essere soltanto un fatto burocratico di attribuzioni
trasferite o da trasferire, senza la sostanza di una sostenibilità.
Sostenibilità che non deve prescindere da una sanità intesa come
rete integrata di servizi che, anziché essere potenziata, con la
ventilata riorganizzazione, corra il rischio di essere svuotata dai
contenuti di ciò che può significare nel complesso di una
specificità territoriale.
Così per ricordare, la
legge 833/78, quella del Servizio Sanitario Nazionale, in attuazione
di uno dei principi della repubblica rivolto alla “tutela
la salute come fondamentale diritto dell'individuo” non può essere
mortificata da una contabilità
ragioneristica, che perde di vista la sua finalità principale che è
la salute dell'individuo. Non a caso l'antico progetto quadro del
1973 suggeriva un parametro addirittura di 7,3 letti per ogni 1000
abitanti, forse meno realistico di quello di oggi (3,7x1000 ab.), ma
certo indicativo di un rapporto meno avaro per tutti.
I disagi nella fruizione
di servizi essenziali, sposta l'inurbamento verso le città più
attrezzate, le città cosiddette metropolitane e, per chi può
permetterselo, verso una sanità privata.
Con la cosiddetta
riorganizzazioni dei servizi sanitari in Veneto, senza aspettare che
nessuno venga a dircelo, è facile rendersi conto che in zona
montana, il declassamento delle strutture esistenti, non solo aumenta
il disagio ma dà anche una mano allo spopolamento.
In un'analisi SWOT, la
rete integrata di servizi sanitari, di buon livello come quella di
Belluno, in una prospettiva di sviluppo socio-economico se mantenuta
e anzi integrata, fa la differenza (come punto di forza) e il piano
strategico, in progress, di cui la Provincia è in attesa, ne
ha necessità.
Sparigliare la rete
sanitaria dolomitica non è solo un danno alla sanità ma più
complessivamente è anche un danno che ha riflessi sulle prospettive
socio-economiche di tutto il territorio bellunese.
Giuseppe Cancemi