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domenica 30 agosto 2020

NUOVA LEGGE URBANISTICA IN SICILIA

La Regione Sicilia ha esitato nei giorni scorsi la sua ultima legge urbanistica. Rientra nella prevista autonomia delle Regioni a statuto speciale, che hanno potestà legislativa in materia, riconosciuta dalla Costituzione italiana. 


E’ composta da 55 articoli in tutto. Vuole essere una legge con il dichiarato scopo di frenare l’intenso consumo di suolo inarrestabile di questi ultimi lustri, fino ad annullarlo entro il 2050 così come deciso in ambito europeo. Si annuncia complessa nella sua articolazione e poco “amichevole” nella traduzione in attività realizzative. 

Sembra più favorevole alla burocrazia, che si vorrebbe alleggerire (a parole da parte di tutti), che non per facilitare, semplificando, le modalità operative degli interventi sul territorio. Nell’articolato, appaiono norme che spaziano e si “allargano” verso ambiti e competenze storicamente appartenenti ad altri assessorati. Si profilano all’orizzonte della legittimità costituzionale e del diritto, impugnazioni per quelle norme che sembrano contraddittorie. 

Tali appaiono quelle previsioni del Piano urbanistico generale (PUG) che hanno efficacia a tempo indeterminato, a fronte di vincoli espropriativi che decadono dopo cinque anni. Una confusionaria “Perequazione urbanistica”, rappresenta la ciliegina sulla torta, per l'inevitabile contenzioso che si paleserà ai primi confronti d’interesse pubblico/privato tra diritti edificatori e diritto di attuazione delle previsioni urbanistiche. Non si comprende come mai, specifici professionisti in materia di urbanistica, presenti sul “mercato”, siano stati ignorati. 

Infatti questa legge, prevede un apposito Comitato Tecnico Scientifico dell’Urbanistica, come organo di riferimento, la cui formazione non prevede un solo rappresentante, uscito da un corso di laurea in urbanistica o scienze della pianificazione territoriale e ambientale. D'accordo sulle varie figure professionali per una metodologia olistica ma non va bene che siano stati trascurati quei professionisti che provengono da studi accademici specifici in materia di pianificazione territoriale.

 Una mia valutazione per questa diciamo "disattenzione" mi fa pensare che i corrispondenti atenei, scarsamente si occupano del rapporto tra formazione e mercato delle professioni, e che gli ordini professionali, con scarso numero di iscritti, hanno poco" peso" nel reclamare. Forse oramai, è tempo che gli atenei facciano una revisione dei corsi di laurea, in materia di territorio, e per gli ordini professionali tutti, inattuali, si pensi ad una riforma o ad abolirli completamente. 

Con l’occasione, voglio comunque ricordare che esiste da tempo la classe L-21 delle Lauree in Urbanistica e Scienze della Pianificazione Territoriale e Ambientale. Oltre 20 corsi di laurea presenti in svariati Atenei italiani, che hanno “sfornato” un folto numero di professionisti. 

Per dare una delle tante motivazioni che suscitano non poche perplessità sulla legge urbanistica regionale, l’art. 25 mi fa pensare alla gattopardesca mossa del cambiare tutto per non cambiare nulla. Là dove regola i contenuti di piano, nel comma 2, si stabilisce che le “previsioni hanno efficacia a tempo indeterminato”, fatta “eccezione per i vincoli preordinati all’espropriazione, la cui efficacia è di cinque anni”. 

Un semplice “rivoluzionario” cambiamento che riconferma una legittimità, che ora diventa ricorsiva automaticamente ad ogni lustro. Nella passata legislazione si inventavano le cosiddette “zone bianche”. Cioè aree titolate magari pubbliche nelle previsioni urbanistiche (Scuole, parchi, etc.), che perdendo la loro efficacia realizzativa dopo 5 anni, ritornavano con una qualche difficoltà sì, ma si rendevano libere sul mercato edilizio.

 Ora, nel Piano urbanistico generale comunale (PUG), le previsioni urbanistiche di alcune aree per opere pubbliche, in funzione di calcolate proporzioni tra standard residenziali e popolazione, come prima se non realizzate, allo scadere del vincolo dei 5 anni, diventeranno ancora più facilmente "zone bianche”, cioè aree da barattare e/o vendere. Non di rado queste aree, massimamente pubbliche, si ritrovano nelle parti interstiziali dello zoning, nelle cosiddette zone di espansione. Insomma sono “scampoli” di territorio che per la loro rendita di posizione sono molto ricercati per fini speculativi. 

Ecco, questo viene riconfermato, ma con la probabilità di diventare un contenzioso senza fine. Ad essere sinceri, non mi pare che la nuova legge urbanistica esitata dalla Regione Sicilia, sia realmente una innovazione normativa che dovrebbe azzerare il consumo di suolo entro trent'anni. Un tempo che tra l'altro, per i provati eventi accelerati che accompagnano l’uomo, è apparso assai lungo. 

 Si sa, recuperare suolo oramai è una necessità non solo europea ma di tutto il Pianeta. Contribuire al mantenimento del suolo, nel panorama mondiale è un dovere morale e più drasticamente di sopravvivenza per le generazioni future. La sostenibilità, in senso generale, è diventata un mantra. Ci indica già, estremizzando, cosa bisogna fare in fretta per il mantenimento e la continuità delle specie. E gli umani, con il loro antropocentrismo, se ne sono assunti nei millenni tutta la responsabilità che oggi avvertiamo. 

Un solo dato dovrebbe farci riflettere. Dalla metà degli anni ’50 la superficie totale delle aree urbane nell’UE è aumentato del 78% mentre la crescita demografica è stata di appena il 33%. 

Giuseppe Cancemi