Finora i problemi della siccità, del cambiamento
climatico il territorio bellunese non se l’era mai posti, appartenevano ad
altri, al Sud nella fattispecie. Per il passato la meteorologia è sempre stata
più o meno generosa. Quasi ogni anno, con le sue precipitazioni ha consentito senza tanti problemi al turismo
bianco di svolgere le sue attività ed ha regolarmente fatto accumulare le acque
nelle falde e in superficie. Quest’anno
l’inverno non è stato generoso. In molti Comuni, dall’agordino in giù, ha messo
in crisi sia la stagione turistica che l’approvvigionamento idrico. Per
quest’ultimo, si sono dovuti attivare interventi d’emergenza per la gestione
della crisi, che appare non facile, specie per la stagione estiva, se le
precipitazioni continueranno ad essere scarse.
Bisogna rendersi conto che questa crisi è un
campanello d’allarme che deve farci andare ben oltre gli interventi
tampone. Pur sapendo che la difficoltà, in un territorio dove l’abbondanza idrica
da sempre ha impresso una “cultura” del consumo illimitato, non è facilmente
superabile.
Un evento apparentemente sporadico di siccità
imputabile ai cambiamenti climatici, effettivamente, non si riconosce
semplicemente se non viene inquadrato in
una cultura stocastica degli eventi.
Eppure, il lento cambiamento climatico con
la diminuzione di neve e acqua, la siccità e
le alluvioni da precipitazioni copiose fuori dalle medie annuali,
avrebbero dovuto insegnarci qualcosa in termini economici e di disastri. Predisporre una risposta anche di medio e lungo
termine diventa allora cogente, specie per quei Comuni che stanno affrontando
la crisi in questo periodo, i quali hanno un qualche motivo in più per
riflettere a partire dall’uso del prezioso liquido come motivo di opportunità.
Non è fuori luogo il cominciare a pensare che l’occasione è buona per aderire
all' ambizioso progetto europeo in tema di emissioni, clima ed energia
mediante il “pacchetto: 20-20-20”. Per
la cronaca, 20-20-20 significa impegnarsi per raggiungere nell’anno 2020 il 20%
in più di efficienza energetica, il 20% di riduzione delle emissioni
di CO2 e il 20% d’incremento nell’utilizzo di energia
rinnovabile. Trattasi del “Patto dei Sindaci” che in Europa e in Italia sta
raccogliendo varie adesioni tra i singoli Comuni.
Inoltre, localmente è
possibile rivisitare da una parte
quali prospettive progettuali e di
gestione ha il bacino idrico del territorio, e dall’altra, iniziare a
porre in essere tutte quelle misure che orientino al risparmio idrico. Va
rivisto il bilancio idrico di bacino. Tutte le incisioni che convogliano le
acque territoriali verso i grandi affluenti del Piave e il Piave stesso possono
essere occasione di occupazione per quei lavori di ingegneria naturalistica
necessari per la messa in sicurezza da eventi calamitosi di precipitazioni
eccezionali e per mantenere il più a lungo possibile le acque sulla terraferma.
Anche gli abitanti dei vari Comuni bellunesi possono
cominciare a recitare la loro piccola parte. Una diffusa campagna di
sensibilizzazione del problema idrico può avviare semplici contributi a livello
familiare. I riduttori di flusso e le buone pratiche per un consumo consapevole
possono propagarsi senza l’impiego di grandi mezzi.
I Comuni
dovranno cominciare ad attrezzarsi con
norme incentivanti per un uso differenziato dell’acqua (agricolo,
industriale e civile) dunque distinguendo gli usi non potabili da quelli
potabili.
Nell’approvvigionamento idrico si dovrà
avviare anche la raccolta e l’uso delle acque meteoriche e il riciclaggio delle
acque grigie. I tempi per muoversi in questa direzione potranno essere lunghi
ma bisogna pur incominciare, sapendo che acquisire un know how in materia di risparmio idrico, se in tempi relativamente
brevi, può essere utile come abilità, business da esportare a tutto vantaggio
dell’occupazione e dello sviluppo.