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giovedì 7 marzo 2024

Restauro, Recupero, Ristrutturazione, Risanamento... e poi?

 

 CENTRO STORICO? PARLIAMONE...


Se non ricordo male, il centro storico di Caltanissetta nel PRG di oltre un ventennio fa, veniva definito dallo zoning come centro direzionale, commerciale e residenziale. A distanza di non poco tempo la complessità che riguarda i molti aspetti della vita sociale, economica e culturale delle città italiane è aumentata. La crisi del commercio tradizionale per prima, è stata una delle cause principali che ha fatto iniziare lo svuotamento dei centri storici e portato alla chiusura di molti negozi e attività.
Secondo una recente indagine di Confcommercio, in dieci anni sono spariti in Italia quasi centomila negozi nei salotti buoni delle città, sostituiti da ristoranti, alloggi e servizi per il turismo. L’attrattiva e la vivibilità dei centri storici per i residenti, si sono spostati verso le periferie o le piattaforme on-line per i loro acquisti. Per Caltanissetta però questo, forse, è accaduto solo in minima parte.
Altro fattore che contribuisce non poco allo svuotamento del nostro centro storico come per tutti gli altri è la mobilità, compresa la difficoltà di accesso, sia per i residenti che per gli eventuali visitatori. La circolazione a causa delle strade strette, aree pedonali condivise con il traffico, e scarsità o problematicità dei parcheggi e del trasporto pubblico contribuisce all'abbandono.
Per contrastare questo fenomeno, si potrebbe pensare a politiche di sostegno e incentivazione al commercio di prossimità, che valorizzino la qualità, la diversità e l’identità dei prodotti locali.
Si potrebbe anche favorire la collaborazione tra i commercianti e le altre realtà del territorio, come le associazioni culturali, le scuole e le istituzioni, per creare eventi, iniziative e sinergie che rendano i centri storici più vivi e attrattivi.
Per migliorare la situazione, si potrebbe investire in soluzioni di mobilità sostenibile, ove possibile, come piste ciclabili, mezzi elettrici, parcheggi interrati, servizi di car-sharing e di bike-sharing. Si potrebbe anche promuovere una maggiore integrazione tra i vari modi di trasporto, per facilitare gli spostamenti tra il centro e la periferia.
Il patrimonio architettonico e culturale del centro storico, per essere maggiormente attrattivo, lo si potrebbe rendere più accessibile installando ascensori, rampe, passerelle e altri dispositivi allo scopo di superare le esistenti barriere architettoniche.
In ultimo, ma non l'ultimo degli aspetti più da riqualificare in centro storico, è quello di rafforzare il senso di comunità e di appartenenza dei residenti e dei visitatori.
Ma tutto questo ha bisogno prima di tutto che vi sia tra Comune Provincia e Regione una sinergia istituzionale non senza il coinvolgimento dell'economia locale (Confcommercio, Confartigianato e Confindustria) e delle organizzazioni sindacali. Un progetto comune di rinascita socio-economica.
Il nostro centro storico viene oramai vissuto come luogo estraneo e, forse anche, anonimo, deserto, insicuro, privo di identità e di valore. Per invertire questa tendenza, si potrebbe stimolare la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni e nelle azioni che riguardano il loro territorio. Si potrebbe anche valorizzare la storia, la cultura, la tradizione e la creatività dei centri storici, attraverso progetti di recupero, restauro, riutilizzo e innovazione degli spazi e dei beni.
Non senza, una necessaria, incentivazione della convivenza e della solidarietà tra le diverse generazioni, culture e categorie sociali che abitano/frequentano il centro storico, promuovendo iniziative di inclusione, integrazione e cooperazione.
Giuseppe Cancemi

mercoledì 6 marzo 2024

Abitare in C. S. a C/ssetta


 CENTRO STORICO DI CALTANISSETTA. QUALE FUTURO?

(di Giuseppe Cancemi)

La questione centrale che emerge dal tema di quest'incontro, fa parte di ciò che affligge gran parte del Paese Italia in questo momento storico. il pesante bilancio del commercio, lo spopolamento e una presenza fluttuante di popolazione alloctona “invisibile”, fanno tutti parte di uno stesso fenomeno abitativo in città stranamente contraddittorio.

Non si trovano case in affitto nei centri storici, pur in un mercato di vuoti edilizio-abitativi relativamente in abbondanza.

Da parte dell'economia si sa, che tra il 2012 e il 2023 il commercio ha perso oltre 111mila negozi al dettaglio ed è cessata l'attività di 24mila unità nel commercio ambulante. Fattori non indifferenti, che hanno contribuito e contribuiscono alla desertificazione dei centri urbani, con calo e/o riduzione dei servizi ai cittadini. Il commercio di vicinato, pur anch'esso colpito, sopravvive in alcuni casi, a fatica, anche se per limitati consumi non serviti da internet. Di questi epocali mutamenti in ambiente cittadino, ne è responsabile in gran parte l'e-commerce.

Ma l'Italia non si arrende, anzi, prova e riprova ad attrezzarsi per andare avanti! Secondo alcuni studi e ricerche, i centri storici in Italia sono diventati sempre più una realtà variegata e polarizzata, in cui convivono situazioni di vitalità e di crisi, di conservazione e di rinnovamento, di attrazione e di abbandono. Alcuni centri storici sono diventati dei poli di sviluppo e di innovazione, grazie alla presenza di attività economiche, culturali e turistiche, mentre altri sono rimasti marginali e degradati, come causa/effetto della perdita di servizi, della popolazione e della qualità urbana.

Il panorama è assai vario ed aiuta poco, ai fini di una eventuale scelta modellistica, nell'eventualità che se ne volesse mutuare qualcuna.

Sappiamo comunque, che non è facile dare una risposta univoca al futuro del nostro centro storico, perché ogni scelta dipende da tanti diversi fattori e tra questi, per esempio, il complesso delle dinamiche socio-economiche, la valorizzazione del patrimonio culturale e ultimamente anche, la sostenibilità ambientale e con quale tasso di partecipazione i cittadini affrontano le problematiche.

In Sicilia e non solo in Sicilia, con la cosiddetta Autonomia differenziata, bisogna anche dire che l'incognita maggiore sta principalmente nelle politiche ondivaghe delle leggi esitate e/o in corso, in materia di edilizia e di urbanistica. Secondo il Consiglio dei Ministri, recentemente, la legge regionale n. 2/2022 della Regione Siciliana “eccederebbe dalle competenze statutarie presentando profili di illegittimità costituzionale”.

Purtroppo, ci si deve barcamenare anche tra vecchi e nuovi orientamenti che contraddicono la sostenibilità e il consumo di suolo. Nella nostra Sicilia per esempio, siamo ancora combattuti se riesumare o meno, la sanatoria edilizia e/o mettere in soffitta lo Zoning e gli standard residenziali: “per attrezzature ed impianti di interesse generale” che nel tempo, per quest'ultimi, siamo riusciti a mantenerli non negoziabili.

Al Teatro Margherita domani (7 marzo 2024) il Comune di Caltanissetta

presenterà due casi di studio, sulle nuove procedure attuative del Piano Urbanistico Generale, che provengono dalla Legge Regione Sicilia n.19/2020.

Un qualcosa di accademico, dal titolo: “Status del P.U.G.” più di attività culturale, molto interessante, ma che fa sorgere una qualche perplessità in un momento in cui preme di più la crisi urbana, diventata endemica, che attanaglia la città nissena. Argomento, sicuramente utile per le procedure di Piano Urbanistico Generale, che può interessare di più ad un ordine professionale di riferimento che non all'interesse comune dei cittadini.

Il nostro centro storico, tra sfide e opportunità del futuro, nel suo insieme e non diversamente da tanti altri centri storici in difficoltà, va visto come bene comune da tutelare e valorizzare, nell'ottica di recupero di una maggiore vivibilità e funzionalità dei luoghi, nell'interesse generale di poter soddisfare le varie esigenze dei residenti e dei visitatori.

L’UNESCO in questo senso, ha elaborato delle linee guida per integrare la conservazione del patrimonio urbano, nelle strategie di sviluppo socioeconomico, basate sul concetto di Historic Urban Landscape, ovvero di paesaggio urbano storico.

Un classico esempio di progetto pilota, lo ha realizzato Mozia, cuore delle saline di Marsala nella Riserva Naturale Orientata.

Lo si ritrova in una tesi accademica applicata (e realizzata) sulla musealizzazione dell’isola, che muovendo dal sito archeologico dell’isola ne preconizza una rinascita all’interno dell’immenso suo patrimonio artistico. Un approccio olistico e dinamico, che tiene conto non solo degli aspetti materiali e immateriali del luogo, ma anche delle sue trasformazioni e delle sue relazioni con il contesto naturale e sociale.

Non è convinta di una medesima interpretazione di “Città museo” , Cecilie Hollberg direttrice dell'Accademia di Firenze. Esprime una grande preoccupazione a suo dire, per quella città, schiacciata dal turismo, esprimendosi testualmente con: “Non troviamo più un negozio, una bottega normale ma solo oggetti esclusivamente per turisti come gadget e souvenir..”

Per Caltanissetta, al punto in cui siamo, non saranno certo le strade che conducono al centro, immaginate da qualcuno innovate al massimo: dal volume di traffico alleggerito, con tanti parcheggi e senza limiti per la circolazione a risollevare la città, dalla crisi socio-economica del momento attraversata.

Dai progetti annunciati con qualcuno realizzato, di cui si è visto e si sente parlare, si avverte però un gran distacco tra il bisogno e le risposte.

Non esiste un raccordo progettuale tra il “materiale e l'immateriale”.

Il progetto di Via Mazzini “social home”, la Caserma Capitano Franco, la scala mobile della scalinata Silvio Pellico e forse altro ancora, ne sono un esempio. Non sembrano esprimere un concorde indirizzo di scopo ma una produzione di volume edilizio in opere a sé stanti.

Sono interventi che non hanno un nesso con una progettualità che proviene da analisi multicriteria, di recupero funzionale tra domanda e offerta, di opere avvertite dalla cittadinanza come bisogni reali e non indotti.

Sono solo segnali di operazioni occasionali, che provengono da realizzazioni fatte o da fare in totale assenza di un dialogo tra progetti e reali interessi della comunità nissena. Scelte “senza anima”, che appartengono ad una casualità distratta da piccoli interessi, non coincidenti col bisogno di una città in crisi profonda e non da ora.

Il centro storico, a fini di un'investimento nel “mattone” per gran parte dei nisseni, lo sappiamo, non è appetibile da un punto di vista edilizio. La conservazione storica e urbanistica, sia pure non eccessiva, non interessa a nessuno. Lo stock edilizio ha scarse possibilità di incremento, e dunque non consente abbuffate speculative.

Cosa fare allora per iniziare con qualcosa per il centro storico, diciamo “a mani nude”?

Come attività in campo, un primo suggerimento di incipit lasciato alla fantasia umana/urbana si può dare.

Si provi ad immaginare un giardino di pietra in quelle aree costituite da muri crollati, blocchi, ruderi in generale e superfici orizzontali, tutti ripuliti, messi in sicurezza e ricoperti da piante spontanee di vario tipo, specie e colori.

Quel luogo non più com'è adesso, si ritroverà “ingentilito” da tanti piccoli interventi “verdi”.

si può cominciare anche da subito nella trasformazione, Non appena anche pochi interessati, cittadini di buona volontà, daranno la loro adesione.

Si sa già in partenza, che molti nisseni sono già abituati a dare un tocco verde al proprio balcone. I tanti, a pensarci bene, potrebbero abilmente diventare quel popolo non solo che può dare l'avvio all'operazione: GIARDINO DI PIETRA, ma anche parte di quella risorsa corale che serve di più per un inizio di progetto condiviso.




giovedì 22 febbraio 2024

I CASOTTI DI BELLUNO

Nuova vita ai casotti, pardon, 'casòt' di Belluno

Riconducibile all’attività 'edilizia libera' di cui all’art. 6 del D.P.R. 380/2001

Suvvia! Mi pare giusto che il Consiglio comunale di Belluno si occupi di casotti. Anche, perché la Regione Veneto sta mettendo ancora le mani, su una riforma urbanistica regionale assieme ad altre buone intenzioni, come la semplificazione urbanistica (progetto di legge n. 513) e la differenziata compresa. Non quest'ultima per la raccolta ma per l'Autonomia. 

Forse con questa modifica, si vuole aggiungere una nota locale alla transizione di potestà urbanistica tutta veneta, finora però prerogativa esclusiva dello Stato.

Per carità, comunque, non senza tutte le premesse di intervenire sul territorio, in termini di sostenibilità ambientale a livello regionale e con imperituro impegno volto al contenimento nel consumo di suolo.

Per la stampa locale di qualche giorno fa, infatti, le “ Buone notizie” del tanto atteso (sic!) “rinnovo dei ricoveri attrezzi” narrano di una deliberazione comunale, intesa a modificare il Regolamento Edilizio a favore un atteso decoro urbano. I cittadini ora potranno rimettere a posto i famosi 'casòt' di Belluno, rendendo giustizia alla identità bellunese.

La città vuole essere pronta, per una prevista rigenerazione dell'urbanesimo veneto che circola. E per questo, anche Belluno ha inteso mettere il suo 'carico', sicuramente assai utile e necessario, per un nuovo corso dell'urbanistica cittadina.

In effetti si sa che la modifica ultima del R. E. pubblicata sul sito comunale, risale a fine dicembre 2023 e l'ampliamento è già vigente.

Comunque, udite... udite, l'operazione casotti, per gli “addetti ai lavori”, consentirà di ampliare e forse anche modificare il “casotto” che negli ultimi anni era nei desiderata dei cittadini. E ora diciamo, col solo 'fastidio' dell'accatastamento, finalmente diventa realtà. L'incognita resta per l'eventuale riconfigurazione di questi “edifici a scopo di ricovero”, autorizzati a possibili ritocchi e/o a nuovi interventi di edilizia. Quanto impattanti possano rivelarsi da ora in poi, non sfiora l'idea e l'immagine di una probabile diversa identità urbana di Belluno. Ma quello che vale da ora in poi, è più che il tutto vada sotto la 'rivoluzionaria' etichetta di “libera edilizia”.

Dagli indicati 8 metri al quadrato, massimo (senza accatastamento), consentiti dal Decreto del Ministero delle Finanze di: tettoie per porcili, pollai, casotti, concimaie, pozzi e simili, con quest'ultima modifica al Regolamento Edilizio (forse) i 9 m al quadrato sono un'affermazione di principio locale. Con questa nuova norma nel R. E., varia il volume da 8 a 9 metri quadrati, ferma restando l'altezza utile di non oltre 1,80 m e il volume massimo di 150 mc.

Intanto, si registra che nel R.E. pubblicato sul sito comunale: DELIBERAZIONE DI C.C.N.114 del 28/12/2023 nel : QUADRO DELLE DEFINIZIONI DEGLI ELEMENTI DI ARREDO DELLE AREE DI PERTINENZA riconducibili all’attività edilizia libera, il significato: “Casotto” o “Casòt” usato dall'articolo di stampa corrisponde ad un eufemismo: 'Ripostiglio per attrezzi'. Sarà perché si vuole sottolineare che il “ritocco” aderisce più al R.E. : AREE DI PERTINENZA riconducibili all’attività edilizia libera art. 6 del D.P.R. 380/2001 ?

Peccato che di questa importante e cogente modifica al R. E. passata in Consiglio comunale, non si sia potuta leggere alcuna riflessione sulla risultante di un eventuale rinnovo, che possa ferire il decoro urbano esistente.

O magari, senza malizia alcuna, che si possa favorire la comune voglia di allargarsi verso un suolo agricolo limitrofo alla propria abitazione, al di là dell'interesse di comunità.

Qualcuno diceva in passato, che a pensar male ci si azzecca, e qualcun altro riferendosi al medesimo motivo, invece: che si fa peccato. Nel nostro caso, della modifica al R.E., il passaggio da 8 a 9 mq e una silente approvazione, sembrano quasi più aderire al pensare male e che no, non si fa peccato.

Aspetteremo in seguito e si vedrà, a quali obiettivi della transizione ecologica si è voluto aderire tra consumo di suolo zero e sostenibilità con la detta modifica di R.E..

Intanto, è quanto meno bizzarro, in tempi di transizione ecologica non occuparsi prioritariamente delle risorse vitali. Acqua per prima!

I ghiacciai che scompaiono, i fiumi che esondano, le acque salmastre che risalgono dalle foci non bastano forse per sollecitare agli umani che bisogna fare qualcosa per il clima, la temperatura del pianeta e al fine di difendersi oramai, dalle disastrose conseguenze.

Non sfiora l'idea che a fronte di una scarsità delle risorse idriche, a partire dal Regolamento Edilizio, un cambio di paradigma nell'uso  dell'essenziale risorsa 'acqua', per gli esseri viventi, è un grande passo di conservazione delle specie tutte, umanità compresa, per prima.

Tutto il mondo si aspetta che oltre una “green economy” vi sia anche un nuovo modo di governare il territorio, nel quale, negli ultimi tempi, l’assetto locale vive tutte le problematiche che minacciano il futuro. L'agricoltura per esempio, ha lanciato e continua a lanciare segnali importanti per la sete dei campi che producono cibo. E non solo in Italia ma anche in altre parti del nostro pianeta.

Ma anche le città sono colpite dalla “sete”. Ciclicamente, alcune debbono rivedere la tempistica dell'erogazione idrica alle loro popolazioni, mentre per altre per la carenza del prezioso liquido è in aumento. Intanto questo, solo così per ricordare uno dei problemi che dovrebbe farci riflettere.

Nel caso nostro, a proposito di Regolamento Edilizio, per essere anche propositivi, viene in mente che la Belluno operosa si può attrezzare meglio e di più, nel risparmio idrico con alcune soluzioni.

Il tema delle acque è vario. L'uso umano ha bisogno necessariamente di una potabilizzazione spinta, diversamente da quelle strettamente irrigue agricole e per le produzioni industriali, le quali, necessitano di purificazione sì ma di convenienza. E già questo semplifica e indica ciò che si può fare per un inderogabile riutilizzo delle acque in un territorio.

Trattenere le acque il più a lungo possibile sulla terraferma,  pluviali comprese, è l'imperativo per una esigenza indifferibile. Un possibile rallentamento dei corsi d'acqua anche per evitare piene distruttrici, si ottiene mantenendo in ordine le aree golenali (Lambioi per fare un esempio). Altrettanto utile è anche il ricircolo delle acque potabili già utilizzate, per usi vari come acque grigie, attraverso un'apposita ulteriore circolazione. Sapendo che si può fare tanto altro, capillarmente, per famiglia.

Anche nella nostra città si può pensare ad una scelta urbanistico-edilizia, per esempio, che affronti attraverso un nuovo Regolamento Edilizio un percorso fattibile, di nuove scelte applicabili alle future ristrutturazioni e/o nuove costruzioni edilizie.

L'introduzione di una seconda circuitazione idrica (ad esempio) con raccolta o meno anche delle acque meteoriche, è l'uovo di Colombo.


Intraprendere la via del risparmio idrico significa, mettere in campo un sostanziale elemento d'approvvigionamento d'acqua. Un qualcosa che con l'innovativa economia circolare apre anche a nuovi spazi di lavoro, specializzazioni e favorisce le condizioni per un know-how che sicuramente si presta a diventare esportabile.

Giuseppe Cancemi 

sabato 10 febbraio 2024

BELLUNO: RISPARMIO IDRICO E NON SOLO...

 Il bisogno dell'acqua si fa sempre più pressante per la nota crisi dovuta al riscaldamento globale.

Iniziare a considerare le acque per il loro effettivo uso: agricolo, industriale e civile è il primo passo che bisogna fare verso la riduzione degli sprechi in termini quantitativi e non senza un'attenzione verso i riflessi economici.

Sappiamo che nel mondo 3,6 miliardi di persone non hanno accesso all'acqua per almeno un mese all'anno e si prevede che questa cifra aumenterà a più di 5 miliardi entro il 2050. 

Il consumo delle acque è vario. L'uso umano ha bisogno necessariamente di una potabilizzazione spinta, diversamente da quelle strettamente irrigue agricole e per le produzioni industriali, le quali, necessitano di purificazione sì ma di convenienza. E già questo semplifica e indica ciò che si può fare per un inderogabile riutilizzo delle acque di un territorio.

Trattenere il più a lungo possibile le acque in generale sulla terraferma, pluviali comprese, è diventata un'esigenza indifferibile. Un possibile rallentamento dei corsi d'acqua anche per evitare piene distruttrici, si ottiene mantenendo in ordine le aree golenali (Lambioi per fare un esempio). Altrettanto utile è anche il ricircolo delle acque potabili già utilizzate, attraverso un'apposita ulteriore circolazione come acque grigie.

Tutti contributi per un avvio verso una ricercata soluzione razionale e valoriale del risparmio idrico.

Per avere un'idea, i Comuni che affrontano i temi legati ai cambiamenti climatici, con l’adattamento dei propri Regolamenti Edilizi, in Italia sono 298.

Anche nella nostra città si può pensare ad una scelta urbanistico-edilizia, per esempio, che affronti attraverso un nuovo Regolamento Edilizio un percorso fattibile, che scelga di applicare alle future ristrutturazioni e nuove costruzioni edilizie. L'introduzione di una seconda circuitazione idrica con raccolta o meno anche delle acque meteoriche è l'uovo di Colombo. Un sistema misto di circolazione dell'acqua potabile la quale, successivamente depurata, si usa come acqua grigia che viene ulteriormente impiegata per altri appositi consumi d'uso civile. Un inizio virtuoso di risparmio idrico che fa bene all'ecologia e all'economia.

Nella scelta del risparmio idrico, fattibile, Belluno ha anche un suo ulteriore vantaggio orografico oltre che panoramico. Nell'affaccio della parte storica della città verso il Fiume Piave, una diversità di quota tra abitato e corso d'acqua, rende immaginabile che si possa ricavare elettricità dalla trasformazione dell'energia cinetica potenziale, posseduta delle acque reflue che si riversano perennemente in quel Fiume.

Altri vantaggi che può apportare il risparmio idrico sono notevoli. Basti pensare che già il trattenere a lungo le acque sulla terraferma solo mediante il riutilizzo, fa diminuire la necessità delle consistenti scorte idriche e produce un indotto economico. Ma più di tutto, vale la pena ricordare che intraprendere la via del risparmio idrico significa, mettere in campo un sostanziale elemento d'approvvigionamento d'acqua. Un qualcosa che con l'innovativa economia circolare apre a nuovi spazi di lavoro, specializzazioni e favorisce le condizioni per un know-how sicuramente anche esportabile.

Giuseppe Cancemi

martedì 2 gennaio 2024

La Pista per il Bob a Cortina

UNA STORIA SENZA FINE


La foto alberata rappresenta quello che è il luogo: lo stato di fatto.

Il progetto fa 'sparire' gli alberi, facendo illudere su una 'immaginata' neve che non si vede da anni.


 Gira e rigira dopo più volte avere letto e sentito dire che la pista di bob a Cortina non si può e non si deve fare, torna ancora arrogantemente riproposta da un potere politico dal volto sovranista che vuole imporre ciò che in democrazia si respira come, non si sa, se logica autoritaria o abuso di potere.

Il binomio Comitato Olimpico Italiano e Regione Veneto continuano ad insistere nel volere realizzare questo 'prestigioso oggetto' di rivalsa politica, forse, per rassicurare i “tycoon de noantri” su chi “comanda” in Italia.

Tutti in Italia e fuori però sanno, a vari livelli, che una nuova pista sportiva per pochissimi interessati: atleti e tifosi, economicamente esosa e dannosa per l'ambiente naturale, non è e non può essere un irrefrenabile oggetto del desiderio, neanche per gli stessi veneti.

Il bob in Italia ha due squadre di 9 uomini e una donna. Complessivamente, non si sa neppure quanti siano i praticanti di questo sport. Si stima, che possano essere da venti a trentotto persone in tutto. I bob club presenti in Italia, infatti, sono solo in poche località montane come Cortina, Cesana Pariol, Lorenzago, Pelos e Mottarone34.

Diciamo che è uno sport che non può dirsi neanche di élite, per la sua presenza numericamente insignificante sul territorio. Se per tale sport da 'gruppo esclusivo' si discute da qualche anno per una sua apposita pista, costosissima in termini soprattutto ambientali, viene da chiedersi se c'è un perché. Sfugge, una tale aberrazione a moltissimi italiani, i quali, lontani e contrari al solo pensiero che tale costo (superiore ai 100 milioni) possa gravare su tutti e, ironia, anche su quelli che forse nella loro vita, hanno visto la neve solo qualche volta in televisione.

A parte ogni altra considerazione, la realizzazione di un simile obbrobrio in ambiente naturale, se realizzato, costerebbe il sacrificio di centinaia di alberi ed una forte compromissione dell'ecosistema montagna, che finora ha contribuito al mantenimento dell'alta biodiversità italiana nel mondo.

Da un punto di vista pragmatico, facendo un po' i conti della serva, intanto, il costo non sarà di 100 milioni come dicono, ma ancora di più. Se non ricordiamo male, per quello di Cesana Pariol (TO) di qualche tempo fa, utilizzato per una ventina di eventi e 6 anni di vita, è costato oltre i 100 milioni.

Nel nostro caso, anche con solo 100 e passa milioni per 38 utilizzatori, la spesa di quasi 3 milioni per ogni atleta rimane sempre esagerata, anche se si escludono i costi annuali di gestione.

Domanda: con un finanziamento pubblico, si può creare una struttura sportiva, il cui costo elevato non considera il suo risaputo scarso impiego per i pochi atleti, e un quasi inesistente potenziale di eventuale pubblico?

Una simile spesa, se non è paragonabile a quella fatta singolarmente per tutte le altre specialità agonistiche per atleti e pubblico assai numerosi (di élite e di massa), non è solo una ingiustizia sociale, ma un discrimine, uno schiaffo morale a tanti altri atleti e a chi ha scelto di seguire altre specialità competitive.

L'artificio che la cifra comunque, per qualcuno, è giustificabile per una qualche ulteriore primato mondiale conseguibile, è una falsa misera aspettativa. Nelle competizioni agonistiche, i primati conseguibili sono tanti, e numerosi gli atleti che li ambiscono. Nella competizione di Milano-Cortina di cui parliamo, si contano 16 discipline olimpiche, e le loro strutture olimpiche dai costi ed oneri generalmente più conternuti, praticate da pattuglie di atleti che vi competono, non sono considerate certo inferiori sia nel prestigio che nell'immagine agonistica.

La giusta rinuncia alla pista di bob che aveva placato gli animi fino all'altro ieri, sembra essere ritornata nuovamente in questi giorni alla ribalta. Una nuova accensione dei riflettori su un progetto ch'era stato accantonato, smentendo l'esistenza di un piano B  rimette in gioco il progetto originario, dandolo in corso di affidamento. 

Ma la telenovela non finisce qui. 

Il nuovo appuntamento per quando si potrà avere un responso definitivo, però, viene rinviato alla fine di gennaio. 

Chi è a capo della commissione che si occupa dei Giochi italiani, fa sapere da parte sua che per il CIO la pista a Cortina di cui si discute non è essenziale per le gare di bob, slittino e skeleton di Milano Cortina. Si resta dunque in attesa di un, diciamo, ultimo responso del CIO. Quest'ultimo sottolinea che, pur rimanendo coerente con quanto anzi detto, riconferma la dipendenza del progetto dai tempi e dai bandi di gara e, comunque, che a decidere sarà la Fondazione Milano-Cortina. Una storia ambigua senza fine con una ancora pilatesca decisione finale la cui eco si protrarrà nel tempo.

Pervicacemente Regione e Comitato Olimpico (?) non rinunciano, e si ritorna a parlare di “piano A” pur se i costi già elevati lieviteranno ancora, la manutenzione per il mantenimento dovrà essere iscritta annualmente a bilancio. Insomma l'operazione 'pista da bob' fa a pugni con il consumo di suolo, la transizione ecologica e il riscaldamento globale o cambiamento climatico mondiale che con questo eventuale intervento vengono dimenticati.

La preoccupazione del Sindaco di Cortina che teme per il Comune amministrato un rischio “default” non viene minimamente considerata. Nelle more di questa storia senza fine, non manca un certo risentimento del neosindaco che taccia il suo predecessore di avere firmato gli accordi olimpici con superficialità.


Stupisce particolarmente il Presidente della Regione, che in questa opera assurda riesca a vedere un business economico favorevole allo sviluppo per le terre alte menzionano la costruzione di nuove strade. Un'ottica tutta diversa, specie per le aree montane dove andrebbero rivisitati gli spostamenti per: servizi, mezzi di locomozione, tempi e logistica a favore di un trasporto pubblico, e una esclusione totale dell'occupazione di suolo con nuove strade, in ragione di una lentezza che è sempre stata propria della vita di montagna. Il turismo ricerca quella tranquillità della montagna che non trova tutti i giorni nelle città di pianura.

Evviva, negli anni 60 con uno slogan si invocava la fantasia al potere, oggi cosa possiamo dire? Che gratuitamente, senza 'colpo ferire' abbiamo ottenuto qualcos'altro che si potrà celebrare come: la tronfiezza del potere!

Giuseppe Cancemi



martedì 21 novembre 2023

Uomini e Carusi di miniera nell'arte

 

PITTURA CHE RICORDA "I SURFARARA"

Caltanissetta il 12 novembre 1881 all’interno della zolfara di Gessolungo persero la vita 65 minatori, tra questi 19 “carusi”: bambini tra gli 8 e i 16 anni, nove dei quali rimasero senza nome.

A quell’evento si ispirò probabilmente Onofrio Tomaselli di Bagheria realizzatore nel 1905 dell’opera “I Carusi”.

Tomaselli, è un artista il quale, come altri pittori dell’epoca, risente di esperienze pittoriche al di fuori dell’isola ed in particolare del paesaggismo e delle tendenze veriste della scuola napoletana.

Tomaselli non è comunque un semplice artista, ma è anche un uomo politico, del comitato centrale del Partito Comunista Italiano e senatore del Regno, e quindi particolarmente sensibile ai problemi sociali. Il compaesano Guttuso è allievo proprio del Tomaselli. 

Renato Guttuso  nato a Bagheria 1911, nella realizzazione de “La Zolfara”, riconosce di essersi ispirato al quadro del suo maestro. 

Nel raffrontare le due opere però, si rilevano due stili profondamente differenti: un crudo, seppure in parte “macchiaiolo” verismo di Tomaselli, ed una forte e coloratissima raffigurazione di Guttuso.

Nella pittura di Guttuso, che appare “materica” egli è solito fare, molti gialli, molti rossi in un cromatismo molto influenzato: dall’Ottocento francese al cubismo di Picasso.  Ne “la Zolfara”   non ci sono “I carusi” di Tomaselli, ma uomini adulti, fatta eccezione per un solo “Caruso” in primissimo piano.

Giuseppe Cancemi


sabato 11 novembre 2023

COMUNICAZIONE VERBALE E NON

La comunicazione non verbale che inframezza un dialogo ha in alcuni casi lo scopo di “amplificare”, sostituire o caricare maggiormente il suo significato e, non sempre ma in alcuni casi sì, serve anche per dare “colore” ad un parlato senza effetto, inefficace, monocorde. A Belluno dove le notizie di stampa relative alla politica locale si vedono con il lumicino, i social più attenti come rete diffusiva di discorsi in tempo reale, favoriscono una tendenza comunicativa come il passaparola, di cui si servivano le generazioni che ci hanno preceduto. La notizia che meglio circola, infatti, è ritornata ad essere il pettegolezzo locale, il resoconto sportivo e qualche volta su cosa si discute o deve discutere il Consiglio comunale. Il fatto che in questi giorni assurgere agli onori della cronaca anche giornalistica, nulla di nuovo sotto il sole, è per l'appunto uno “scandaloso” gesto di comunicazione non verbale che ha fatto “ciaccolare” i benpensanti bellunesi. Senza volere giustificare nulla, ricorderei a proposito del dito tra l'indice e l'anulare solo un paio di cose, che in qualche modo dovrebbero affievolire l'intendere forzoso (non reale) di quella sintesi gestuale. Prima di tutto, che questo gesto “inqualificabile”, tra gli antichi romani ma anche tra i greci non era sconosciuto. Se ne servivano ampiamente come disapprovazione verso i potenti. Un esempio per tutti, lo possiamo ricordare nella battuta di un personaggio del poeta latino Marco Valerio Marziale che volendo dire a dei medici di avere goduto sempre di buona salute e di non avere bisogno di loro cure, mostrava il suo “digitus impudicus ”. Secondo, forse quelli che si scandalizzano, non pensano che una persona ferita da parole provocatorie può perdere l'aplomb, al punto da controbattere impulsivamente con un gesto non verbale di sintesi. E non volendo poi essere moralisti solo quando ci conviene, ma umani che si “inca...no”, pardon che perdono la pazienza se provocati, bisogna fare mente locale e ricordare che anche la fisica che abbiamo studiato a scuola con Newton, con la terza legge della dinamica ci dice che: ad ogni azione, corrisponde una reazione uguale e contraria! Si smetta pure, di continuare a guardare il “dito” (figurativamente) e non la “luna indicata” (le problematiche della discussione), evitando di farsi distrarre ancora una volta da un vacuo discutere. Le risse verbali (in se, sempre stigmatizzabili) per dirla in semplici parole, si manifestano quando un sincero confronto, in senso partecipativo, tra maggioranza e opposizione di un contesto politico, amministrativo o comunque assembleare è di basso profilo e non scivola nella demagogia.

 Giuseppe Cancemi

mercoledì 25 ottobre 2023

ESISTE UN'ALTERNATIVA?

 A PROPOSITO DEL PONTE …

La ricerca di una soluzione che che possa dare un impulso allo sviluppo economico della Sicilia, si è fermata da tempo alla costruzione del Ponte di Messina. I sostenitori del Ponte sono convinti che lo sviluppo in Sicilia è frenato  dal mancato collegamento fisico con la penisola italiana. E cioè che il basso PIL della Sicilia è dovuto all'isolamento del territorio non in continuazione con quello italiano.

Nel merito di questa economia territoriale siciliana penalizzata, un testo online del prof. Guido Signorino - Ordinario di Economia presso l’Università Messina - pone in discussione la realizzazione del Ponte come soluzione unica che può dare un impulso all'economia isolana.  Avanza forti dubbi sullo sviluppo per presunte motivazioni di PIL, perché più basso rispetto ad altre regioni italiane. 

I suoi interrogativi per provare ciò che sostiene sul PIL procapite, nel grafico (vedi figura) si può leggere in un semplice confronto che mette in luce una poco significativa differenza di PIL, nelle tre regioni riportate.


Sicilia e Sardegna, isole, non differiscono per PIL granché, similmente alla Calabria che, territorialmente, è invece in continuità col resto dell'Italia.



Con questa semplice dimostrazione viene spontaneo chiedersi se escluso il ponte per vari motivi, esistano altre vie di sviluppo per la Sicilia.

L'alternativa economica e di sviluppo alternativa al Ponte c'è ed è condivisibile. La indica lo stesso prof. Guido Signorino.

Suggerisce, la semplice soluzione di puntare su settori ad alta ricaduta occupazionale come: istruzione, cultura e sanità. E cioè di investire sul 'capitale umano' ritenuto anche da altri economisti un potenziale sicuro di sviluppo primario, come nel nostro caso, per quella crescita sostenibile tanto ricercata che serve alla Sicilia.

Giuseppe Cancemi

martedì 24 ottobre 2023

Belluno: Palazzo del Monte di Pietà

 

A PROPOSITO DELLA VENDITA …

di Palazzo del Monte di Pietà, con annessa Chiesa della Beata Vergine, risulta che l'Associazione Italia Nostra di Belluno qualche settimana fa, si è mossa per manifestare una propria preoccupazione alla Soprintendenza, per la messa in vendita del suddetto immobile. Il timore segnalato, è rivolto e dovuto alle eventuali conseguenze di una riallocazione delle due biblioteche (ISBREC e Angelini).

La risposta della Soprintendenza è stata precisa e netta. Ha confermato che il bene, risultava tutelato (art. 59 del D.Lgs. 42/2004) e aggiungeva che l'immobile per altro e ulteriormente protetto da vincolo di “interesse culturale” (ex art. 12 del D.Lgs. 42/2004).

Rassicurava infine, che alcune misure apposite per la conservazione sono state previste allo scopo di preservarne la attuale destinazione d’uso. Rilevava comunque, un mancato riscontro di una eventuale donazione del diritto di proprietà della superficie di quell'immobile al Comune di Belluno, discendente dal Decreto Direttoriale Archeologia Belle Arti e Paesaggio del 05 dicembre 2019, Rep. 1683.

Dai rumors locali è circolata la voce, che il Comune ha già avuto contatti con la Fondazione Cariverona, per accordi su questo Palazzo circa un comodato d'uso, dove però non risulta ancora un'intesa tra le parti.

Al punto in cui siamo, gli istituti culturali (ISBREC e Angelini) dovranno sloggiare per trasferirsi, pare, a Palazzo Crepadona dove gli spazi assegnati, speriamo, siano idonei.

Il trasloco dell'Istituto Storico Bellunese della Resistenza e dell'Età Contemporanea e della Fondazione Angelini che si allontanano da Piazza delle Erbe, via Mezzaterra e da Porta Dojona non corrobora più quell'attrattiva funzione che ha quel nucleo storico e culturale di Belluno e forse potrebbe anche contribuire ad un latente degrado dei luoghi.

La Piazza delle Erbe (tra fontane, teatri e palazzi) non sarà più la stessa. Quell'immobile diversamente occupato, una delle 'punte' delle presenze culturali entro le mura, dove aleggia il “Genius loci” della città, è un'inaspettata caduta d'immagine anche se virtuale.

Si faccia attenzione a non stravolgere l'appeal del centro storico, per dare ulteriore spazio a un modernismo tendenziale di 'divertimentificio e/o di mercantilismo' sempre più impersonato dalle 'feste paesane'.

Il Comune ci rifletta, e cerchi di mantenere questi centri di cultura 'in loco'. Si rammenti, che i beni culturali in genere, sono quei valori non monetizzabili ritenuti spesso secondari, perché non conteggiabili nel Pil. Ma attenzione, quella porzione di 'capitale immateriale' che proviene anche dalla cultura, dalla storia dei popoli è incommensurabile, ed è quello che fa andare avanti l'umanità.

Giuseppe Cancemi

giovedì 12 ottobre 2023

PARCO URBANO O AREA DI RISERVA?

 

UNA CICLABILE NEL PARCO COMUNALE CITTA' DI BELLUNO



BELLUNO La “adorabile Belluno”, ha acquisito dal nuovo urbanesimo, un sentire innovativo, che ricorda “le mani sulla città”. Esaurita l’urbanizzazione pagata dai contribuenti utile alla speculazione edilizia e in via di esaurimento l’urbanistica contrattata, la rigenerazione urbana è diventata di fatto, il nuovo cavallo di battaglia. Questa, si serve massimamente, di risorse pubbliche, senza alcun obiettivo di effettiva risoluzione dell’aspetto immateriale, a cui dovrebbero corrispondere le opere. Nel nostro centro storico, si utilizzano gli ultimi scampoli di aree e volumi, all’insegna del consumo di suolo zero e della bandiera della sostenibilità. Il prestigioso ex Convento dei Gesuiti, il complesso edilizio dell’antico nosocomio, Piazza Piloni, la vicina via d’Incà e il Parco urbano città di Bologna, sono il focus di interventi definibili, volendo essere buoni, non generativi ma de-generativi. Siamo veramente alla paranoia. L’originario Parco COMUNALE città di Bologna (circa 14.000 mq) e tutta l’area che circonda piazza Piloni, sono diventati luoghi di riserva per tutto, in barba alla cultura urbanistica e al sentire ecologistico, che la città ha ereditato (come best practices) dai comportamenti dell’umanità che ci ha preceduti. Non è bastato che in questi ultimi anni, si siano abbattuti degli alberi nelle adiacenze e pertinenze di quei luoghi né che, il sempre più scarno di piante parco, abbia ceduto ulteriori 6000 mq lordi agli scolari della “Gabelli”. Adesso si sta realizzando, ancora a spese della medesima area, udite udite, una ciclabile all’interno del medesimo parco. 

Un collegamento con la contigua piazza, a sua volta quest’ultima candidata allo scavo di un ulteriore parcheggio sotterraneo di tre piani, la cui superficie è già occupata da un parcheggio di auto. Per non parlare del Convento dei Gesuiti sconsacrato che diventerà mercato. Il tutto, nel centro storico dove, per usare una metafora ma non tanto metafora, si riportano i “mercanti” scacciati dal tempio, che la Bibbia ci ricorda. A questo punto un interrogativo è d’obbligo. Siamo vittime di una maledizione? O si vuole perpetuare uno sfruttamento intensivo di quell’area, senza una minima considerazione verso le buone pratiche urbanistiche?  Questi citati interventi, comunque, non sono quel contenimento o azzeramento del consumo di suolo che vogliono le leggi e il comune sentire dei cittadini, interessati a tutt’altra filosofia. Tanto per ricordarlo, in questi ultimi anni, proprio in zona, tanti alberi sono stati eliminati senza essere rimpiazzati da altre nuove essenze arboree. Non sappiamo se con il loro abbattimento si è voluto, forse, solo ricavare qualche stallo in più lungo il parcheggio di via d’Incà. Insomma si è continuato a ragionare, in controtendenza alle buone intenzioni europee di decarbonizzazione, che oggi si pone anche la transizione ecologica. Comunque, dall’area attualmente occupata dalla scuola, quando quest’ultima tornerà nella sua originaria sede, non si sa cosa, dai volumi allocati, tireranno fuori dal cilindro. Vedremo! In piazza Piloni invece, non contenti, si progetta con quel parcheggio sotterraneo, qualcosa non immune dai conosciuti problemi di sottosuolo: falde acquifere ed esalazioni gassose, nonché quelli di archeologia per la vicina chiesa gotica S. Stefano e/o annesso convento dei Frati Serviti, oggi Agenzia delle Entrate, etc.. Non si è pensato neanche che, portare altre centinaia di auto in transito e stazionamento in prossimità di quei luoghi, dove è presente anche una scuola secondaria, aumenta i problemi della già sofferente circolazione. 

Insomma quest’ultima, ma non ultima trovata della ciclabile in quel luogo, immaginando una intermodalità trasportistica (sic!) con un, mi si perdoni, risibile percorso di circa 120 mt (dal costo di circa 200 € al m), che attraversa il “parco città di Bologna”, è inutile e forse anche pericoloso per la sua vicinanza all’area di gioco dei bambini. Un ultima idea balzana che ci mancava! 

Belluno, che si autoproclama capitale delle Dolomiti, con il suo, più volte ridimensionato mini parco: “città di Bologna”, ridotto ad un fazzoletto di terra, osa ancora “ritagliare” altro spazio al verde urbano (D. I. 1444/68, minimo 9 mq/ab.) all’interno di un centro storico già “ferito”, che non è più né a misura d’uomo e neppure a misura di automobile.

Giuseppe Cancemi

mercoledì 11 ottobre 2023

GAZEBO

 

BELLUNO: PARCO COMUNALE CITTÀ DI BOLOGNA

Da uno dei post sui social e tra questi: ‘Belluno al Centro’ - gruppo civico della coalizione di maggioranza che governa la città – è stata diffusa la notizia che nel Parco Comunale Città di Belluno, il noto gazebo in legno, non certo per utilità indifferente ai visitatori, è stato rimosso. L'iniziativa demolitrice vantata da detto gruppo, è stata giustificata dalla volontà di voler migliorare il decoro della città e perché richiesta da numerosi genitori frequentatori del Parco. I motivi addotti fanno riferimento a: problemi strutturali di sicurezza, precarie condizioni e carenza manutentiva del gazebo, nonché comportamenti dei giovani frequentatori di quel parco, 'lontani dal senso civico'. Viene anche detto, che la rimozione del gazebo è stata effettuata da 'operatori comunali'.

Che dire di questa autonoma iniziativa?

Che non c'è traccia nel post di un legittimo documento decisivo di autorità o funzionario che ha autorizzato una perizia tecnica sulle condizioni del gazebo, e della posta in essere di un atto che sia determina, delibera, oppure ordinanza.

Non è pensabile comunque, che un gruppo di consiglieri da solo, si arroghi un potere che non ha.

Demolire un funzionale punto di riunione in un Parco cittadino, significa variare un progettato assetto di giardino pubblico, forse, ignorando i limiti delle proprie competenze. E ancor di più, per non avere considerato neanche il probabile rischio di un configurabile danno erariale con l'alienazione del gazebo.

Viene da chiedersi e chiedere: ma una struttura, sia pure semplice come il gazebo, di proprietà comunale (quindi dei cittadini tutti) può essere abbattuta per iniziativa di un manipolo di volenterosi (sic!) Consiglieri?

Il Presidente del Consiglio, il Consiglio, la Giunta e il Sindaco nonché le altre Autorità Statali cosa ne pensano?

Giuseppe Cancemi




martedì 26 settembre 2023

 


    Torrente Vanoi

Diga sì... diga no!



Il Vanoi è un Torrente alpino che si trova nel Trentino orientale. Ha origine presso il Passo Cinque Croci. L’alto bacino del Vanoi si trova in Val Cia.

La contesa politico-territoriale che si è riaccesa in questi giorni tra Regione Veneto e Provincia di Trento, riguarda un progetto di diga già visto, che interferisce periodicamente con la governance ambientale di contigui Comuni tra i due Enti.

Siamo in area del Bacino Vanoi (F. di Brenta) dove si è pensato (sic!) ancora una volta di progettare la solita diga, più volte riproposta ma che non trova l'approvazione di tutto il territorio, il quale non è solo veneto ma neanche solo trentino.

La Regione Veneto con l'ennesimo odierno 'studio di fattibilità' di una diga nella zona di Val Cortella, collocata massimamente in due comuni trentini (Canal San Bovo e Cinte Tes) ha rimesso in discussione il solito remoto contenzioso della diga, più volte bocciato.

In altri anni: 1922, 1959, 1985 e 1998 infatti, per detta progettazione era emerso più volte il limite della fattibilità sempre per gli stessi problemi non solo di natura geologica ma anche di sostenibilità.

Un diniego, che l'opposizione della popolazione del luogo, ha costantemente ripetuto più volte non avendo mai dimenticato il monito di quell'evento rovinoso di tracimazione dell'acqua contenuta nella diga del Vajont nel 1963.

Questo nuovo studio di fattibilità esitato dalla Giunta regionale del Veneto, posto tra le risorse richieste per il Piano Regionale di Resilienza e Resistenza, per sommi capi si ripropone ancora una volta obiettivi come:

“1. Difesa idraulica di un vasto territorio nelle province di Vicenza e Padova.

2. Contrasto delle magre fluviali, specie nei periodi di siccità, sempre più prolungati per il cambiamento climatico.

3. Promozione colture agricole di un vasto territorio, interessante tre Consorzi di bonifica (Brenta, Acque Risorgive e Bacchiglione)” i quali collocano nella reiterata diga, la centralità del progetto.

La bocciatura ancora tout court non si è fatta attendere da parte di chi avversa tale decisione, per i noti motivi già detti, che rimangono inderogabili. A meno che, non si vogliano trovare soluzioni diverse per gli elencati motivi, che non la diga.

La nostra Era dell'Antropocene ha mutato di molto i parametri di adattamento delle specie nel nostro pianeta. A partire dai cambiamenti climatici che sono noti a tutti, per esempio, la diminuzione della disponibilità idrica e la conseguente inferiore resa delle colture, i crescenti rischi di siccità e l'aumento degli incendi boschivi, le perdite della biodiversità e le ondate di calore ne sono il palese segnale. E qui gli impegni di contrasto a simili calamità presi in ambito europeo, hanno senso e dovrebbero rappresentare il 'faro', la guida per tutte le richieste di finanziamento.

Una diversa risposta agli obiettivi che sia sostenibile, può essere ricercata senza per questo rincorrere ancora le conosciute urbanizzazioni dell'ambiente naturale che, per esperienza, non sono più percorribili.

Fermi restando gli OBIETTIVI dichiarati come nel caso, che solitamente sono solo pensati (in ambito politico) e poi affidati allo studio dei/del progettisti/sta, ecco, sarebbe più utile pensare intanto ad una scelta valutativa di avvio quale può essere un'approccio integrato tra ANALISI MULTICRITERIA e COSTI E BENEFICI, che di solito si applicano nella valutazione dei progetti complessi.

Questo insieme di analisi, è richiesto e si utilizza quando gli obiettivi da considerare nelle scelte sono molteplici e la valutazione del prodotto finale oltre che al fine economico guarda anche ai benefici. Quest'ultimi, rappresentano quel quantum non monetizzabile (o difficilmente monetizzabile) compensativo, che nel complesso dei costi complessivi della realizzazione sono di ausilio alla decisione.

È lapalissiano comunque, che nelle attività di progettazione e gestione dell'ambiente naturalevadano coinvolti professionisti ad hoc come gli ingegneri ambientali, che hanno un ruolo fondamentale nella salvaguardia delle risorse naturali e nella promozione di soluzioni sostenibili. La loro attività spazia dalla gestione al controllo delle risorse idriche e del suolo, compreso anche lo smaltimento di rifiuti.

A mo' d'esempio nel nostro caso, si può pensare che il progetto IDRAULICO, riconducibile alla difesa idrogeologica, dovrebbe avere il significato di attutire le piogge definite: temporali di calore o temporali autorigeneranti (intese come: 'bombe d'acqua'), per una parte, e fare in modo che il suolo già com'è, specie quello compromesso dall'opera dell'uomo, non venga ulteriormente impermeabilizzato o sistemato in modo da favorire il debordo degli argini o comunque il deflusso alluvionale verso le aree urbanizzate.

Il contrasto alla SICCITA', e non solo alla siccità, si ottiene, prioritariamente, rispettando le aree golenali. In esse, già corridoi ecologici naturali, se mantenute bene si preserva la biodiversità della flora e della fauna, si alimentano le falde acquifere e si filtra l'acqua che diventa potabile.

Dunque, non astratte progettazioni legate alla fantasia estemporanea di un qualche contesto politico ma rispetto degli argini dei corsi d'acqua e ottimizzazione della produzione e distribuzione delle riserve idriche.

La TESAURIZZAZIONE delle acque, va ricercata nel suo mantenimento per un maggior tempo possibile, sulla terra ferma. Per esempio, gradualmente negli usi idrici civici, solitamente molto dispersivi del prezioso liquido, si può organizzare una manutenzione degli impianti programmata: preventiva e corrente, con standard appropriati per mantenere massima l'efficienza del servizio e minima la dispersione idrica. In aggiunta, è possibile anche riformare il regolamento edilizio comunale con l'obiettivo, nel caso di nuovi lavori di recupero nel territorio, di ristrutturazione edilizia, etc. di modificare l'impianto idrico con una doppia circuitazione al fine di massimizzare il tempo d'utilizzo delle acque, prima di essere totalmente scaricate nell'impianto fognario.

Nell'insieme, un utilizzo strategico di raccolta delle acque piovane e un doppio impianto idrico in ambito domestico, commerciale, industriale e comunque in qualsiasi ambiente urbanizzato, diventa un utile ricircolo di acque grige riutilizzabili, e dunque innovazione di sicuro risparmio.

Le COLTURE AGRICOLE per essere più sicure e rivalutate vanno ripensate e riferite ad un equilibrato uso del territorio in senso produttivo e di contrasto al mutamento climatico in atto, non senza una particolare attenzione ai prodotti dal punto di vista della sostenibilità. Rispettando l’acqua, la terra e la biodiversità.

Con questi obiettivi di decarbonizzazione e di responsabile selettività ecologico-economica, l’agricoltura sostenibile può trarre grandi vantaggi dalla cosiddetta Agricoltura 4.0 nonché dalle tecnologie emergenti come l’IoT (una rete di oggetti e dispositivi connessi), l’analisi dei dati e la Blockchain (informazioni all'interno di un database aziendale).

La Giunta regionale del Veneto converta il progetto di diga in regolamenti e in linee d indirizzo lasciando scegliere ai Comuni cosa fare per Next Generation EU ("Recovery Fund").

Si incoraggino i modelli di risparmio idrico e di ricircolo delle risorse in modo eco-sostenibile.

Gli obiettivi che motivino la fattibilità possono essere ricercati in altre soluzioni meno 'aggressive' nelle modificazioni territoriali in senso urbanizzativo e maggiormente in linea con gli orientamenti europei di contrasto alle avversità atmosferiche attraverso le vie già tracciate di transizione.

Giuseppe Cancemi

domenica 30 luglio 2023


CALTANISSETTA: PROGETTI, SEGNALI DI FUMO E NEXT GENERATION


Il rilancio che il Presidente di Italia Nostra Sicilia fa di un remoto progetto politico, col quale da lungo tempo il Comune di Caltanissetta si ripromette di ristrutturare e riqualificare due ambienti urbani del centro storico, ci mostra ancora il vezzo di quella politica monocorde che insiste sul fare per “avere”. Una categoria che si oppone a un più razionale operare per "essere", in tutti i sensi.

Nel nostro caso ad esempio, per la rigenerazione di Largo Barile, dove si è progettata una “nuova e funzionale piazza”, così come presentata e visto anche il suo rendering, è lecito pensare ancora ad un  solito “avere”  mosso più da esigenza estetica, che non da una occorrenza di “essere” necessità rilevata, a cui si vuole dare una “studiata” risposta.

Un uguale destino che lega al nostro Largo Barile anche le vie Medaglie D'oro e Re d'Italia è lo “sventramento” del 1952/53 di quelle aree, chiamato eufemisticamente “ricostruzione post bellica" (sic!). Questo comune intervento demolitivo avrà pur avuto una motivazione, una sua ragion d'essere. Qualcosa che fa nascere un interrogativo spontaneo: ma la realizzazione di una nuova piazza funzionale solo per Largo Barile perché; è un fatto episodico, random o cos'altro?

Insomma, a pensarci bene, viene spontaneo anche domandarsi: ma qual è la logica, la ratio che ha promosso quelle due scelte di cui stiamo discutendo!

Siamo oramai in tempi che bisogna, come dicono gli ambientalisti, pensare globalmente prima di agire localmente. La crisi urbana del centro storico di Caltanissetta è da tempo diventata endemica.

Indispensabile più che mai, oggi, per i segnali di crisi meteorologica e climatica appena vissuti, è il progettare con strumenti di analisi multicriteria, che valutino tra l'altro, anche l'irrinunciabile sostenibilità energetico-ambientale.

la città storica va pensata in un quadro di interventi, che funzionalmente dovrebbero intersecarsi e interagire. L'individuazione urbanistica delle preesistenze storico-artistiche e ambientali con i propri vincoli, sono quella parte materiale che per essere salvaguardata va recensita con gli occhi di una storia legata al genius loci che aleggia sul centro storico e sul territorio tutto.

Quel cielo, quella vegetazione delle assolate campagne, la roccia calcarenitica da cui il territorio ha ottenuto una sua impronta per opere uniche, il gesso come legante, l'argilla della terracotta, i ciottoli del suo fiume, tutti, formano un riconoscibile patrimonio esclusivo, che riassume un luogo particolare e diverso da ogni altro.

Ma non basta!

Viene da dire che l'attenzione urbanistica non può e non deve limitarsi al solo patrimonio “materiale” di un centro storico, ma al quadro complessivo che si completa con il sociale: l'immateriale. Un unicum, che comprende quelle funzioni concorrenti quali sono i necessari fattori (naturalistici, demografici, cinematici, edilizi) che integrano e formano l'habitat di una città.

Il centro storico, per una gran parte di nisseni, lo sappiamo, non è appetibile da un punto di vista edilizio. La conservazione storica e urbanistica, che comporta l'area, non consente “abbuffate” per la speculazione. Ma non sanno che un centro storico che si conserva bene, costituisce la massima attrattività per una città che vuole incamminarsi verso uno sviluppo sostenibile.

Comunque, sembrerebbe velleitario occuparsi di centro storico, come ciclicamente si continua ad annunciare: senza avere prima indagato sulla composizione socio-culturale di provenienza di chi occupa le abitazioni più o meno degradate, di detto centro; conoscere qual è l’offerta/domanda di case; sapere quali tendenze e attese sono presenti nelle varie classi d’età, e quanto è presente in città l’invecchiamento della popolazione; quale indirizzo economico tendenziale ha la città e quali risposte possono favorire, l’attuale economia locale e territoriale, etc. etc..

Si aggiunga, che la realizzazione di un processo articolato e complesso come si annuncia essere quello appena accennato, si realizza con la partecipazione e il concerto, anche minimo, di tutti i cittadini.

Gli annunciati due progetti di Largo Barile ed ex Gasometro infine, come presentati, non danno l'idea di parte, che dovrebbe potersi articolare con un inclusivo insieme “immateriale”, che vuol essere e significare un ampia riqualificazione e rivitalizzazione dei luoghi.

Non si coglie per chi, perché e per quale convivenza umana (antropica e naturale) dovrà conformarsi in sostanza la parte “materiale”, fatta di rinnovati stock edilizi come aggregati urbanistici e complessi situazionali di servizio.

Insomma, recupero necessario e urgente sì, ma a patto che all’insieme di dati da ricercare/ completare appena accennati in aggiunta a quanto già progettato, costituisca quella parte indispensabile di ausilio irrinunciabile. Un faro per il recupero, il restauro e quant'altro serve per dare il la ad uno sviluppo sostenibile della città.

Si aggiunga infine, con la consapevolezza che il centro storico di Caltanissetta è vasto, che lasciarsi sfuggire l'opportunità che offre il PNRR, significa anche perdere il treno della next generation.

Giuseppe Cancemi 

sabato 10 giugno 2023

Consumo zero di suolo e Aree bianche

 

EX AREA AGIP 

Dal post Facebook: Belluno 🌇 decoro e sicurezza.

***

Al Presidente del Consiglio Comunale di Belluno

INTERPELLANZA


"ex Agip: necessaria una decisione del consiglio per la destinazione d'uso dell'area"

I sottoscritti consiglieri comunali

Premesso:

che in data 24 aprile 2022 il Consiglio Comunale ha individuato una zona di degrado nell'area ex Agip tra via Vittorio Veneto e piazzale dello Stadio delimitando un ambito di recupero da attuare attraverso un Piano Urbanistico

Attuativo (PUA);

che l'ambito del piano di recupero interessa aree con destinazioni urbanistiche diverse, una essendo "semintensiva B" e l'altra "F" con destinazione a "verde pubblico attrezzato";

che risulta esser stato nel frattempo effettivamente presentato un PUA da parte di un privato, che prevede la realizzazione nell'area di cui trattasi di un supermercato;

che si è recentemente conclusa positivamente la Conferenza di servizi decisoria indetta ex art.14, c.2 legge n. 241/1990 e ss. mm. ii. in forma semplificata e modalità asincrona;

che, ove mai ciò fosse definitivamente approvato in Giunta, di fatto si prenderebbe atto di una nuova zonizzazione urbanistica anche dell'area "F"

cd. "bianca", che deriverebbe secondo i proponenti il PUA dalla decadenza dell'originaria destinazione a verde pubblico;

che proprio per questo motivo appare difficile ritenere che il PUA sia "attuativo" del PRG nel mentre prevede una nuova zonizzazione e quindi richiede una valutazione urbanistica sulla destinazione non del fabbricato ma della zona e richiede quindi un'apposita valutazione e deliberazione del Consiglio Comunale;

che anche qualora il vincolo espropriativo fosse decaduto, ciò nonostante l'area dell'ex Agip non sarebbe comunque, senza un'apposita variante urbanistica, un'area a destinazione privata commerciale. Si tratterebbe di un'area cd. "bianca" ossia in attesa di una nuova pianificazione che, però, deriva comunque da un'area urbanisticamente pubblica;

che però a ben vedere potrebbe non essere neppure esatto che si tratti di un'area "decaduta" e dunque "bianca", perché già la Corte Costituzionale con la sentenza 20 maggio 1999 n. 179 aveva affermato un indirizzo rigoroso e restrittivo in merito all'individuazione dei vincoli espropriativi;

che infatti hanno carattere non espropriativo ma solo conformativo e perciò non sono soggetti a decadenza e all'obbligo dell'indennizzo tutti i vincoli di inedificabilità imposti dal piano regolatore, a qualsivoglia titolo, tra cui il vincolo di verde attrezzato, il vincolo d'inedificabilita per un parco e per una zona agricola di pregio, la destinazione a verde privato, ecc.;

che inoltre il vigente PRG di Belluno consente che i privati con propria iniziativa possano direttamente attuare e realizzare le destinazioni d'uso pubblico tra cui quella a verde pubblico dell'ex Agip, impedendo la decadenza del vincolo di tale destinazione d'uso (ancora attuale);

che in ogni caso, anche qualora si trattasse di un'area divenuta "bianca" (senza destinazione) egualmente non si potrebbe trasformare la stessa con un PUA in un'area a destinazione commerciale privata;

che nel caso del PUA in oggetto si è in presenza, di fatto, di una variante urbanistica che trasforma un'area destinata a verde pubblico (o al massimo non pianificata) posta in un punto strategico per tutta la città e per questo risulta evidente la necessità di uno specifico ulteriore passaggio in Consiglio Comunale non essendo sufficiente utilizzare lo strumento urbanistico attuativo del cd. PUA (art. 19 legge regionale 11/2004) per imprimere una nuova destinazione d'uso delle aree urbanistiche ma è necessaria la procedura di variante urbanistica, che prevede la competenza del Consiglio Comunale e il controllo della Città e dei cittadini, attraverso il doppio passaggio dell'adozione e dell'approvazione da parte della maggioranza dei Consiglieri con la possibilità anche di fare osservazioni e opposizioni da parte di tutti i cittadini;

che infatti l'art. 33 della legge urbanistica regionale prevede che nelle aree non pianificate interne al perimetro dei centri abitati, fino alla approvazione di un nuovo "Piano degli Interventi" o di una sua variante che lo riguardi, sono consentiti al massimo gli interventi di ristrutturazione edilizia ma non attività di variazione della destinazione urbanistica, nemmeno con trasposizione dei volumi da un edificio o da una zona edificabile (come l'edificio residenziale sul lato piazzale stadio) ad un'altra zona, anche se in ipotesi "decaduta"; che la legge urbanistica prevede che neppure il Piano d'Assetto del Territorio possa introdurre una variante urbanistica come quella adesso proposta addirittura tramite un Piano Attuativo, ma solo il Piano degli Interventi;

che in ogni caso preme qui ribadire che: secondo la giurisprudenza la destinazione a verde pubblico non è decaduta;

se anche fosse decaduta non la si potrebbe assimilare di fatto ad un'altra, vicina ma diversa area con destinazione privata residenziale o commerciale;

l'indicazione di un'area come di "degrado" comunque non consentirebbe una trasformazione della stessa da area pubblica o area "bianca", in area commerciale (supermercato);

per trasformare l'area pubblica, anche qualora decaduta, in un'area in tutto o in parte commerciale occorre un'apposita variante urbanistica approvata Consiglio Comunale in sede di Piano degli Interventi e non semplicemente

dalla Giunta;

- anche l'individuazione di una zona di "degrado" non comporta di per sé mutamento della destinazione urbanistica, che resta una competenza del Consiglio Comunale.

Tanto premesso

ritenuto che

non debbono essere tolte al Consiglio Comunale le prerogative e le competenze esclusivamente riservate allo stesso e comunque che è assolutamente necessario il confronto pubblico e politico su scelte che riguardano un punto cruciale del nostro tessuto cittadino, forse il più vivace e attivo, mettendo al centro una effettiva e armonica ricomposizione e riqualificazione pubblica dell'area, nell'interesse prima di tutto dei residenti e in generale dei cittadini.

non pare inutile ricordare che anche per il competente Ufficio dell'Urbanistica della Provincia, il PUA non è idoneo alla variante dell'area (anche se fosse

"bianca") ma occorre una apposita, nuova, disciplina dell'area.

Risulta quindi opportuno e necessario che ogni operazione urbanistica sull'area di cui all'ambito di recupero deliberato il 24 aprile 2022 e, in particolare, quella oggetto del PUA con destinazione commerciale "ex Agip" sia comunque oggetto di valutazione come variante urbanistica.


I sottoscritti consiglieri comunali interpellano il Sindaco per sapere se ritenga di sottoporre tale valutazione al Consiglio Comunale affinché si

esprima nelle forme e nei modi di legge.


Belluno, 9 maggio 2023


Francesco Rasera Berna

Lucia Olivotto

Marco Perale

Ilenia Bavasso

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Consumo zero di suolo e Aree bianche


Le questioni che solleva il post che precede, dovrebbero indurre tutti ad una maggiore riflessione sulla democrazia, le cui forzature quando si manifestano, sono la spia di un allontanamento da quel principio di sovranità popolare custodito dalla nostra Costituzione.
I due aspetti che hanno reso discutibile l'annunciata urbanistica, praticata dell'Amministrazione in carica, sono evidenziati nella su riportata Interpellanza: uno apparentemente formale ma di sostanza politica e l'altro di merito che verrebbe ad incidere sull'uso del suolo, nella fattispecie prezioso.


Va preliminarmente, comunque ricordato, che per l'urbanistica la potestà legislativa, appartiene ancora allo Stato e non alle regioni, fatta eccezione per quelle a Statuto speciale. Posto anche, che l'idoneità della destinazione delle singole aree, intesa a soddisfare gli interessi generali, previste dalla legislazione nazionale, non è discrezionale.
Il fatto che una decisione urbanistica investe la mobilità cittadina, l'assetto consolidato di una zona della città, nonché la modifica delle dotazioni territoriali e gli standard urbanistici, non può essere lasciata decidere (e la legge lo prevede) al ristretto gruppo consiliare come risulta essere la Giunta comunale.
Del resto, proprio per l'importanza che hanno le scelte urbanistiche, debbono essere sottoposte all'approvazione e deliberate dal Consiglio comunale.
Il D.I. 1444/68, in relazione alle dotazioni relative alle “parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale” individuate dalla lettera f) fa un preciso riferimento ad opere e spazi attrezzati pubblici o di pubblico interesse. Quel riconoscimento d'insieme (Zoning) non negoziabile, che determina la qualità di un sito di un piano regolatore e dunque, un'area urbana fatta di dotazioni in rapporto alla popolazione di zona insediata e/o da insediare.





















Brevemente, per concludere, la legge urbanistica “rivisitata” più volte dal Consiglio di Stato, precisa, che le cosiddette zone bianche, se provviste di disciplina edilizia e urbanistica comunale, godono della tutela di suolo nazionale che, a sua volta, rientra in un quadro di protezione dei valori di rilievo costituzionale. Zone bianche dunque, dove possono essere ammesse solo opere di risanamento e restauro o ristrutturazione.
Giuseppe Cancemi