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lunedì 9 maggio 2022

Dubbioso restauro in centro storico dell'edificio sede dei "Dottori della Chiesa" (Gesuiti)

RESTAURO DELL’ EX CHIESA DELLA "COMPAGNIA DI GESU' " IN CENTRO STORICO

La ex Chiesa dei Gesuiti di Belluno,


nell'Ottocento conosciuta come "Caserma dei Gesuiti” o anche immediatamente dopo "Caserma Tasso”, in questi giorni, dopo essere stata restaurata, è stata presentata in pompa magna, in attesa di una sua prossima fruizione della città.

Una conclusione a lieto fine, non sempre facile per i reperti storici, che nelle nostre città abbondano, ma che spesso vengono anche trascurati.

Qui a Belluno bisogna dire che l'attenzione per le presenze storiche, si è sempre avuta. Ultimamente anzi, è sembrata aumentare grazie ai finanziamenti europei e italiani, abilmente intercettati nei concorsi, mediante progetti ad hoc.

In quello che però alla fine risultano essere gli interventi in città, non tutti corrispondono a cauti restauri, attenti alla struttura urbana del centro storico. A questo proposito bisogna riconoscere, che in linea generale il più delle volte, le alterazioni sono attribuibili anche ad una regolamentazione scarna o priva di fondamento giuridico, che ha lasciato spazio ad una conduzione dei restauri, per così dire, interpretata.

È ben noto, che la “Compagnia di Gesù”, detta dei dottori della chiesa, da dove proviene anche Papa Bergoglio, per due secoli è stata un ambiente educativo e di studio dove veniva formata, un po' in tutta Europa, la classe dirigente per i figli della nobiltà e della borghesia.

Le chiese dei Gesuiti come opere d’arte, sono un modello a sé stante, di architettura barocca detta appunto gesuitica. Le caratteristiche che accomunano le varie chiese, distribuite in tutta Europa, si riconoscono per alcuni tratti che relativamente le rende simili, pur nelle differenze di un Barocco che si adatta alle condizioni e alle culture locali.

Nel merito, per non lasciare spazio al solito apprezzamento superficiale, che spesso si conclude limitandosi: al mi piace o non mi piace, oppure è brutto o è bello.

Il risultato di quest’ultima opera vista il 1° maggio, per “gentile concessione” diciamo del Comune, osservato con un po' più di attenzione, spiace dirlo, ma non sembra essere quel “nuovo contenitore d’eccellenza” che è stato reclamizzato.

Il progetto, visto che siamo in pieno centro storico, per la norma a cui fa riferimento il bando: “rigenerazione urbana” (intesa a garantire qualità e sicurezza dell'abitare sociale e ambientale, in particolare nelle periferie più degradate), non si capisce cosa c’entra con il restauro sbandierato.

Altrettanto resta incomprensibile, come mai non si sia tenuto conto della ristrutturazione urbanistica.

A tale scopo bastava guardare la planimetria del PRG, per rendersi conto delle superfetazioni (ignorate) di Piazza Piloni e via d’Incà, in un’area, dove la correzione dell’aggregazione storica originaria doveva essere d’obbligo.

Ricordo solo che da mezzo secolo e più, pur non avendo forza di legge la “Carta del Restauro”, ha comunque orientato gli interventi nei centri storici d’Europa.

La cosiddetta “poli-funzionalità” a cui è stato destinato lo spazio di questo suggestivo reperto storico-culturale, qual è questa originaria chiesa, volgarizzato come recupero di volume, denuncia una indecisione che fa pensare ad un’urbanistica che non riesce ad avere un progetto d’insieme centrato su l’immateriale. Qualcosa che dovrebbe cambiare i rapporti esistenti tra sviluppo urbanistico-edilizio caotico e centro storico sempre più soggetto a degrado dal carico delle funzioni.

Come se non bastasse, è anche assai strano che nel progetto non si parli di un altro aspetto che assieme a quello urbanistico sembra dimenticato.

Le note progettuali, infatti, non appaiono evidenziare la vulnerabilità statica dell’edificio nei confronti del rischio sismico 1, a cui appartiene Belluno. Non si intravedono o non ci sono, opere preposte al miglioramento di tale scopo, nelle generali condizioni strutturali.

La riconoscibilità della nostra chiesa tipologicamente gesuita, con il suo convento, appartiene ad un isolato che oggi appare un comune caseggiato anonimo. La differenza la fa l’affaccio sulla via Jacopo Tasso, grazie alla rimasta essenziale facciata Barocca. Le immagini prospettiche dell’isolato, comprendente il complesso edilizio dei gesuiti non sono rimaste quelle che dovevano essere in epoca. Le laterali costruzioni in aderenza inglobano la ex chiesa con pianta ad “aula” in un caseggiato alterato senza quella “anima” che lo aveva generato. Era un’ordine religioso importante in quell’epoca, parecchio influente nella politica. Come dire che era di casa con il potere.

Quel caseggiato di origine religioso, doveva trovarsi una sua distinta area che si trova ora confusa, in un disarticolato insieme edilizio, non privo di superfetazioni ben evidenti (vedi figura).

Sappiamo, che nello spirito e nella cultura urbanistica di quell'epoca, quel prestigioso ordine religioso godeva già della centralità nello spazio cittadino. Con questo recente intervento, si ripresentava ancora la possibilità di ricomporre quell’area “gesuitica” storica. Purtroppo sprecata.

L’intervento di restauro anche se adatta ad altro uso il manufatto, non dovrebbe comunque mai alterare la lettura di quello che era originariamente, anche nel caso, come quest’interno, di una chiesa sconsacrata. Nella fattispecie lo spazio “aula”, che rappresenta un tutt'uno dal significato liturgico del luogo, dallo slancio verso l'alto delle pareti alla magnificenza acustica della parola. Insomma quel “genius loci” di quello che è rimasto dell’ex chiesa da salvare e tramandare. Quella divisione in verticale del volume che ha mortificato la spazialità volumetrica e ridimensionato il “verbo”. Sembrerebbe più che altro, una “ingordigia” di volumi a tutti i costi, specie per quella destinazione d’uso che appare, allo stato, di carattere aleatorio.

Un rilievo promettente di quel luogo, nel restauro è quell'innovazione, che rende accessibile e visitabile tutto lo spazio dell’ambiente ex chiesa anche se, come detto, dubbiosamente parcellizzato. Ma a parte la rimozione apprezzabile di barriere architettoniche, non mancano altre notevoli perplessità.

Nel corpo di fabbrica, il pavimento in acciaio, la scala dentro e l’ascensore fuori, danno nuovi motivi su cui riflettere. Per esempio: non poteva essere invertita la relativa posizione?

Ma avranno pensato se quella platea di acciaio e quel corpo scale che sale verso l’alto, dove potrebbero trovarsi molte persone, sono al sicuro da una accidentale scarica elettrica da fulmine?

Belluno non è una città dove con i temporali i fulmini sono rari.

La rassicurante immagine dell’auto che se pur in acciaio, sappiamo, protegge i suoi passeggeri (per similitudine con la gabbia di Faraday)in questo caso, non è la stessa cosa.

Infine non può sfuggire che quel pavimento in acciaio, sigilla una considerevole parte di sottosuolo. E non da ora, si sa che turbare l’equilibrio del sottosuolo è sempre stato un problema delle città. Fra l’altro, nel nostro caso, alla falda idrica, alle esalazioni di gas (che potrebbero essere anche con radon), in quel sottosuolo, si dovrebbe anche pensare alla eventualità di reperti archeologici li presenti, per vicini altri luoghi di culto di età rinascimentale (Chiesa S. Stefano).

Concludendo, a qualcuno più malignamente, può fare pensare che al vantaggioso ingresso dal parco (a favore del concetto di partecipazione sociale uguale per tutti) corrisponde un rovescio della medaglia della recentissima “pista ciclabile” (di poca o nessuna utilità pubblica) la quale, sminuisce il beneficio, perché farà portare all’interno dell’ex chiesa: polvere d’estate e fango d’inverno.

Ma questo forse è il minimo di quello a cui non si è pensato!

Giuseppe Cancemi