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domenica 1 dicembre 2019

Il giardino di Piazza dei Martiri:

ritrovo della comunità bellunese salotto buono o mercato delle vacche?


Per chi visita Piazza dei Martiri ora, avendola già visitata in altri tempi, si sarà accorta/o che rappresenta una rarità, purtroppo, per l’ennesima occasione “offesa” da un usurante utilizzo che la declassa. La scelta spaziale d’immagine giardino, è un tutt'uno che introduce il visitatore in una città, le cui dimensioni storiche hanno lasciato il segno di un’identità urbana a misura d’uomo. Il nome della stessa Piazza e tutte le vie e piazze adiacenti ne ricordano i tempi dell’umanità che l’ha attraversata. 

Rosario Assunto, filosofo estetico del Novecento a vederne la deformazione per esigenze temporanee mercantili sarebbe rimasto sconcertato, sbalordito. Lo spazio verde, in ambito di luogo d’incontro sociale di ritrovo, contornato da fiori ed alberi non è un luogo qualsiasi che in continuazione possa subirne adattamenti. In senso generale la filosofia dell’Assunto si spinge a definire il giardino: “uno spazio in cui l’interiorità si fa mondo e il mondo si interiorizza! “. Comprimere o peggio annullare l’ideologia di giardino, come non di rado capita a quello di Belluno con kermesse varie, fa perdere di valore estetico e funzionale il principale spazio di ritrovo della comunità bellunese.

Ancora più grave è quello che sta accadendo in questi giorni. Non è importante quanto è stato sollevato da Italia Nostra, la quale, ancora una volta ha voluto ricordare il valore intrinseco del pubblico giardino orgoglio della Comunità bellunese. Quello che rappresenta un valore della natura esaltato dalla creatività, dalla mano dell’uomo, al servizio di tutti, è diventato oggetto del contendere da una rozza demagogia.

Parti politiche e non, a cui forse interessa di più apparire che non essere, banalizzano quello che ancora una volta è un segnale d’allarme per il degrado della città. Insomma, Manzoni insegna: ancora una volta si assiste ad una lotta come quella dei capponi di Renzo, mentre l’urbe, nella sua massima rappresentanza di se stessa, rimane sempre più disorientata.

Giuseppe Cancemi