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sabato 1 luglio 2017

Il PIAVE MORMORO'...


Per tutti in Italia, appena minimamente si accenna al Piave, per riflesso condizionato, la mente corre al Fiume Piave e al breve motivetto di un canto, che tutti conosciamo,Il Piave mormorò: Non passa lo straniero!”. Ma di questi tempi, nel bellunese, non è il ricordo nostalgico di una storica rimembranza, che i quotidiani locali rimbalzano, ma piuttosto l'assurdo ulteriore sfruttamento del Piave e dei suoi affluenti. Non utile, ma molto più facilmente dannoso. Siamo all'ennesima notizia che vuole l'ecosistema Fiume Piave trascurato dalla politica e usato in dispregio della storia e dell'ecologia.
Il Piave, non diversamente degli altri fiumi italiani, con il suo insieme di biocenosi e biotopi, è una preziosa risorsa naturale di biodiversità. Lo testimoniano la moltitudine di Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e Zone di Protezione Speciale (ZPS) di Rete Natura 2000.

Monumento al Fiume sacro della Patria
Non di meno, così per ricordare, è anche luogo e memoria storica di battaglie della Grande Guerra, combattute sulle sue sponde che lo consacrano come: “Fiume sacro della Patria”.

Insomma, siamo in presenza di un grande Fiume italiano la cui labile tutela apposta dalla legislazione ordinaria è stata travolta da un Decreto Lgv. (387/2003) di recepimento della direttiva 2001/77/CE, mosso da fini di importanza planetaria (diminuzione delle emissioni di CO2) ma insignificante per il contributo alla nobile causa e pericoloso come deroga, che può agire in dispregio delle tutele per l'ambiente faticosamente prima conseguite.
Il citato decreto, nelle sue finalità, raschiando il barile, per potere recuperare ancora un po' di energia da fonti rinnovabili: “favorisce”, nei fiumi, la “microgenerazione elettrica... per gli impieghi agricoli e per le aree montane”. E siccome è accompagnato da incentivi economici, diventa un'attrazione “predatoria” per l'ecosistema Fiume, svalutandolo ulteriormente e smarrendo l'utilità del “Pacchetto Clima-Energia” alla base dell'utilizzo delle energie rinnovabili.
Fiume Piave
Chi si è accorto del problema, che si stava cioè esagerando nello stressare l'ecosistema Piave è stato, nel nostro caso, il movimento Acqua Bene Comune. Un largo strato della società civile, con numerose sigle di adesione dell'area bellunese e 7000 firme, sollecitato dal solito impulso NIMBY (not in my back yard) che in italiano vuol dire: “non a casa mia”.

Il Comitato ABC, non ha mancato di ingaggiare una lotta con il potere costituito mediante vari ricorsi di cui anche uno a livello di Commissione europea, non trovando negli enti autarchici, per primi, una risposta soddisfacente e risolutoria che arrestasse l'assalto alla diligenza. Insomma, ha cercato di affrontare la questione in termini politici, giurisprudenziali e di diritto, a mio modesto giudizio, però il problema per la sua complessità mi fa propendere maggiormente e soprattutto per la questione politica che nasce dalle scelte energetiche per un futuro CO2 free.
Ma allora cosa è possibile fare per non arrivare a lotte lunghe che si possono radicalizzare o fare ignorare i più elementari rapporti di democrazia/dissenso?
Credo che si debbano investire le parti politiche che possono incidere nelle decisioni di Governo e comunque arrivare a decisioni che ascoltino il territorio.
In primis, per non sottrarsi ad un impegno come il post Kyoto, che obbliga moralmente e non solo moralmente a contrastare le emissioni di gas serra, ma anche per rimuovere il sottile ma continuo danno ambientale che incombe sul Piave, il quale può diventare un detrimento irreversibile.
Il Pensare globale e agire locale” in un così vasto interesse d'area diventa un obbligo. Il Piave, assaltato da impieghi non compatibili, con il suo ecosistema va difeso e non solo per interessi locali ma soprattutto per interesse collettivo: italiano.
Le motivazioni da spendere per confutare la scelta di utilizzare le cosiddette centraline nel Piave per ridurre le emissioni di CO2, complessivamente, stanno nella Strategia Energetica Nazionale (SEN 2017) del 12/6/2017, e nella sperimentazione di due progetti (Politecnico di Torino ed ENEA), in termini applicativi, per lo sfruttamento energetico delle onde marine.
Mezzo di sperimentazione - Politecnico di Torino ed  ENEA

Le tecnologie del pendolo e del giroscopio (Iswec e Pewec) sono pronte per le turbine che possono sviluppare potenze idroelettriche dai 17 a 2 kilowatt nei nostri mari più vicini. Con le onde della costa di Alghero, per esempio, in un'area di un kmq, si può ricavare un'energia per 42 mila abitanti. Il potenziale di 8000 km di coste italiane non è male per un futuro che punta a nuove e più economiche energie rinnovabili.
Basta fare notare alla politica che queste altre soluzioni, più importanti, riconosciute come energia blu del mare, anche dal punto di vista dell'economia e dell'occupazione, sono il futuro.
Altro motivo che rende inutile l'incentivare le discutibili centraline sono i dati. L'Italia nel suo SEN 2017 rivendica, rispetto ad altri Stati europei, di avere raggiunto l'obiettivo 20-20-20, previsto per l'anno 2020, già nel 2015.

Forse un'autorità di bacino autonoma che si occupi del solo Piave è richiesta. Un approccio integrato per l'ambiente antropizzato, e non, del Piave, dovrebbe poter ricomporre la moltitudine di competenze e di frammentazioni in quell'unicum del paesaggio fluviale che compone il solco naturale del Piave.
La politica dunque, quella locale prima, per essere più presente nella società, si deve adoperare nell'intento di creare condizioni e strumenti, per evitare che i conflitti diventino un fine.
Nel nostro caso, prioritariamente, si può e si deve chiedere presto al Governo, la rettifica del DLgs 387/2003, strumento che rappresenta il vero motivo della corsa alle famigerate centraline, affrontando nel contempo, i temi della tutela dell'ambiente e della promozione culturale del sistema fluviale Piave.

Giuseppe Cancemi