Per
tutti in Italia, appena minimamente si accenna al Piave, per riflesso
condizionato, la mente corre al Fiume Piave e al breve motivetto di
un canto, che tutti conosciamo,
“Il
Piave mormorò: Non passa lo straniero!”.
Ma
di questi tempi, nel bellunese, non è il ricordo nostalgico di una
storica rimembranza, che i quotidiani locali rimbalzano, ma piuttosto
l'assurdo ulteriore sfruttamento del Piave e dei suoi affluenti. Non
utile, ma molto più facilmente dannoso. Siamo all'ennesima notizia
che vuole l'ecosistema Fiume Piave trascurato dalla politica e usato
in dispregio della storia e dell'ecologia.
Il
Piave, non diversamente degli altri fiumi italiani, con il suo
insieme di biocenosi e biotopi, è una preziosa risorsa naturale di
biodiversità. Lo testimoniano la moltitudine di Siti
di Importanza Comunitaria (SIC) e Zone di Protezione Speciale (ZPS)
di Rete Natura 2000.
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Monumento al Fiume sacro della Patria |
Non
di meno, così per ricordare, è anche luogo e memoria storica di
battaglie della Grande Guerra, combattute sulle sue sponde che lo
consacrano come: “Fiume
sacro della Patria”.
Insomma, siamo in
presenza di un grande Fiume italiano la cui labile tutela apposta
dalla legislazione ordinaria è stata travolta da un Decreto Lgv.
(387/2003) di recepimento della direttiva 2001/77/CE, mosso da fini
di importanza planetaria (diminuzione delle emissioni di CO2)
ma insignificante per il contributo alla nobile causa e pericoloso
come deroga, che può agire in dispregio delle tutele per l'ambiente
faticosamente prima conseguite.
Il citato decreto,
nelle sue finalità, raschiando il barile, per potere recuperare
ancora un po' di energia da fonti rinnovabili: “favorisce”, nei
fiumi, la “microgenerazione elettrica... per gli impieghi agricoli
e per le aree montane”. E siccome è accompagnato da incentivi
economici, diventa un'attrazione “predatoria” per l'ecosistema
Fiume, svalutandolo ulteriormente e smarrendo l'utilità del
“Pacchetto Clima-Energia” alla base dell'utilizzo delle energie
rinnovabili.
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Fiume Piave |
Chi si è accorto
del problema, che si stava cioè esagerando nello stressare
l'ecosistema Piave è stato, nel nostro caso, il movimento Acqua Bene
Comune. Un largo strato della società civile, con numerose sigle di
adesione dell'area bellunese e 7000 firme, sollecitato dal solito
impulso NIMBY (not in my back yard) che in italiano vuol dire: “non
a casa mia”.
Il Comitato ABC, non
ha mancato di ingaggiare una lotta con il potere costituito mediante
vari ricorsi di cui anche uno a livello di Commissione europea, non
trovando negli enti autarchici, per primi, una risposta soddisfacente
e risolutoria che arrestasse l'assalto alla diligenza. Insomma, ha
cercato di affrontare la questione in termini politici,
giurisprudenziali e di diritto, a mio modesto giudizio, però il
problema per la sua complessità mi fa propendere maggiormente e
soprattutto per la questione politica che nasce dalle scelte
energetiche per un futuro CO2 free.
Ma allora cosa è
possibile fare per non arrivare a lotte lunghe che si possono
radicalizzare o fare ignorare i più elementari rapporti di
democrazia/dissenso?
Credo che si debbano
investire le parti politiche che possono incidere nelle decisioni di
Governo e comunque arrivare a decisioni che ascoltino il territorio.
In primis,
per non sottrarsi ad un impegno come il post Kyoto, che
obbliga moralmente e non solo moralmente a contrastare le emissioni
di gas serra, ma anche per rimuovere il sottile ma continuo danno
ambientale che incombe sul Piave, il quale può diventare un
detrimento irreversibile.
Il “Pensare
globale
e
agire
locale”
in un così vasto interesse d'area diventa un obbligo. Il Piave,
assaltato da impieghi non compatibili, con il suo ecosistema va
difeso e non solo per interessi locali ma soprattutto per interesse
collettivo: italiano.
Le
motivazioni da spendere per confutare la scelta di utilizzare le
cosiddette centraline nel Piave per ridurre le emissioni di CO2,
complessivamente, stanno nella
Strategia Energetica Nazionale (SEN 2017) del 12/6/2017, e nella
sperimentazione di due progetti (Politecnico di Torino ed ENEA), in
termini applicativi, per lo sfruttamento energetico delle onde
marine.
Mezzo di sperimentazione - Politecnico
di Torino ed ENEA
Le tecnologie del
pendolo e del giroscopio (Iswec e Pewec) sono pronte per le turbine
che possono sviluppare potenze idroelettriche dai 17 a 2 kilowatt nei
nostri mari più vicini. Con le onde della costa di Alghero, per
esempio, in un'area di un kmq, si può ricavare un'energia per 42
mila abitanti. Il potenziale di 8000 km di coste italiane non è male
per un futuro che punta a nuove e più economiche energie
rinnovabili.
Basta
fare notare alla politica che queste altre soluzioni, più
importanti, riconosciute come energia blu del mare, anche dal punto
di vista dell'economia e dell'occupazione, sono il futuro.
Altro
motivo che rende inutile l'incentivare le discutibili centraline sono
i dati. L'Italia nel suo SEN 2017 rivendica, rispetto ad altri Stati
europei, di avere raggiunto l'obiettivo 20-20-20, previsto per l'anno
2020, già nel 2015.
Forse
un'autorità di bacino autonoma che si occupi del solo Piave è
richiesta. Un approccio integrato per l'ambiente antropizzato, e non,
del Piave, dovrebbe poter ricomporre la moltitudine di competenze e
di frammentazioni in quell'unicum del paesaggio fluviale che
compone il solco naturale del Piave.
La
politica dunque, quella locale prima,
per essere più presente nella società, si deve adoperare
nell'intento di creare condizioni e strumenti, per evitare che i
conflitti diventino un fine.
Nel
nostro caso, prioritariamente, si può e si deve chiedere presto al
Governo, la rettifica del DLgs 387/2003, strumento che rappresenta il
vero motivo della corsa alle famigerate centraline, affrontando nel
contempo, i temi della tutela dell'ambiente e della promozione
culturale del sistema fluviale Piave.
Giuseppe
Cancemi
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