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martedì 22 maggio 2012

Sicilia: biodiversità


SIC (Siti di Importanza Comunitaria) e presenza antropica nei territori al centro della Sicilia


Limonium - Foto A. Falci
I territori SIC, come si sa, sono  interessati alla conservazione della biodiversità e ad un loro uso culturale-turistico-ricreativo. Le comunità locali che si trovano nelle immediate vicinanze vivono per queste aree e similari una profonda contraddizione da risolvere, consistente in una consapevole voglia di preservare l’integrità dei luoghi ma senza rinunciare all’idea che tutti i suoli, all’occorrenza, sono anche buoni per l’espansione antropica. Una relativamente recente crescita culturale delle comunità locali in genere, però, nutre per i territori a vocazione naturalistica, prima considerati inutili perché improduttivi, una diversa valutazione che promuove questi habitat, oggi riconosciuti come Siti di Interesse Comunitario, a valore di “risorsa” locale e attribuisce a ciascuno di essi un “peso” nel “paniere” dei beni naturali da conservare per noi stessi e per le future generazioni. La presenza antropica contigua ai luoghi naturali come fenomeno in espansione, però, non sempre rappresenta una garanzia di salvaguardia per il bene naturale. Pertanto, il nuovo compito che debbono affrontare le comunità locali, riguarda la risoluzione del contrasto tra sviluppo e conservazione in un conteso spazio di vita costituito dall’ambiente naturale dove la presenza umana rappresenta sempre più spesso un elemento di “disturbo”.

 
Da sempre il conflitto tra città e campagna (genericamente così denominata quest’ultima, senza distinzione tra produttiva e naturale) ha suscitato un dibattito mai concluso tra chi aderisce alla diffusa concezione di separatezza delle parti e chi invece riconosce nella dualità città/campagna i volti della stessa medaglia. Di questo dibattito possiamo, per brevità, solo evidenziare il rapporto simbiotico che esiste nella vivacità di un territorio distinta per attribuzioni e funzioni tra urbano ed extraurbano. Viene riconosciuto che non può esservi sviluppo senza un pieno utilizzo di tutte le risorse territoriali.
 

Il Ministero dell’ambiente, la C.E. e la Regione, consapevoli dell’importanza del territorio extraurbano hanno cominciato col ritagliare, nel nostro caso, quattro aree in cui la presenza di flora e fauna con il loro habitat rappresentano un brandello dell’ambiente mediterraneo risultato da una specializzata permanenza di comunità biotica, in ambiente di vita estremo (di acque salmastre), spesso resistente e/o sopravvissuta ad un evento distruttivo come quello degli incendi.
Tranne che per il M. Cannarella collegato ad una estremità del sistema Valli dell’ Imera meridionale, gli altri tre siti sono riconoscibili omogeneamente negli habitat di Fiume con acque salate. La difficile vita di flora e fauna dei nostri siti non dipende esclusivamente dal rapporto sistemico tra biotico e abiotico, come si potrebbe dedurre, ma piuttosto dalla presenza antropica con i suoi manufatti che va diventando sempre più invadente e dilagante sino a diventare una minaccia.
La presenza di strade, case, impianti di ogni genere, rappresentano quei “detrattori” del  paesaggio e quelle cause di “frammentazioni” del territorio che incidono sulla qualità/presenza degli ambienti naturali di vita.
Percorrendo con lo sguardo il letto dell’Imera meridionale, verso Sud, stazionando sul ponte Capodarso, si avverte un “distrattore” del panorama alla sinistra, costituito dal viadotto della S.S. 626 che accompagna il Fiume, ma che è anche punto di orgoglio umano per l’imponenza del manufatto. Il bacino visivo del SIC con questa forte componente visiva assume per il paesaggio una connotazione prevalentemente antropica.
Anche il sito di Monte Cannarella si connota come ambiente naturale fortemente assediato dall’espansione urbana. La rete stradale, abbastanza estesa in prossimità e nell'intorno del sito, costituisce potenziale minaccia soprattutto ai fini di un inquinamento in senso lato (aria, effetto presenza, ecc,) per il volume di traffico che muove.
Mostrano meno presenza antropica i siti: tratto terminale del Torrente Vaccarizzo e la Contrada Caparra, per questi la panoramicità dei luoghi è meno “disturbata” dalla viabilità che anche qui è presente.
La gestione dei territori con problematiche di “convivenza” tra la naturalità dei luoghi e l’esigenza umana di espandersi, sviluppare la propria economia, postula per le risorse naturali una razionalizzazione, una disciplina per l’utilizzo e una programmazione integrata tra le varie esigenze condivisa. Gli Enti specializzati come nel nostro caso la Riserva N. O. Monte Capodarso e Valle dell’Imera meridionale, nel panorama delle competenze istituzionalmente frazionate tra enti territoriali (Province, Comuni, Corpo Forestale, ecc.) rappresentano il tramite per meglio operare tra conservazione della natura e necessità di sviluppo.
Proprio la pressione antropica per effetto della viabilità, rappresenta,  l’elemento da mitigare per la forte incidenza che ha che nei nostri siti. È presente abbastanza per il M. Cannarella e meno di tutti per il T. Vaccarizzo. Le linee cinematiche oltre a costituire un elemento di “frattura” tra gli ambienti naturali sono anche facilitatrici di presenza umana all’interno dei siti con il rischio di aumentare gli atti vandalici, il bracconaggio nonché il sempre più temuto incendio.
Infine, la mancanza di recenti piani urbanistici per i Comuni che comprendono i nostri siti (Enna, Pietraperzia, Santa Caterina Vill. e Alimena con esclusione di Caltanissetta) se da un canto ci mettono al riparo da usi sconsiderati di quei luoghi perché lontani dagli “appetiti” edilizi, dall’altro, svalutano quel patrimonio per l’assenza di una titolazione che evidenzi le potenziali risorse che essi rappresentano.

Gli obiettivi che può prefiggersi un Piano di  Gestione, relativamente al rapporto tra ambiente naturale e antropizzazione, non può che orientare la sua attenzione nelle tendenze organizzative del territorio da un punto di vista delle scelte infrastrutturali e degli insediamenti che le amministrazioni locali fanno.
Un primo obiettivo potrebbe dunque essere quello di limitare l’espansione edilizia e infrastrutturale, fermo restando che un utilizzo della risorsa ambiente può e deve avvenire come conseguenza di una organizzazione progettata del luogo, per fini oltre che conservativi anche culturali e ricreativo-turistici.
Non meno importante è quello di provvedere a riqualificare quelle parti di territorio “offese”  dal degrado e dagli abusi perpetrati dall’uomo.
Infine, l’obiettivo complessivo che deve sottendere i precedenti due, deve essere quello di favorire una partecipazione consapevole, incentivando le attività proprie dei luoghi ma anche quelle promosse e indotte affinché il territorio possa diventare elemento di attenzione per tutti.

Belluno: biodiversità


Parco delle Dolomiti Bellunesi

 Qualche tempo fa su un quotidiano locale è apparsa una polemica promossa da una gentile signora verso i finanziamenti per il mantenimento del Parco delle Dolomiti Bellunesi, prefigurava una rinuncia al mantenimento del Parco in alternativa di tanti micro finanziamenti agli Enti Locali per opere massimamente viarie.
Sommessamente vorrei dire, alla di lei rispettabile opinione, che può trovare luogo se ci si limita ad una lettura tutta economicistica dell’istituzione Parco, dove i finanziamenti vengono visti come mero mantenimento del personale che vi lavora. Se proviamo, però, a guardare più in là degli interessi localistici forse scopriremo che il nostro territorio è una tesserina di un puzzle molto più ampio che si chiama Italia, Europa, pianeta Terra. E si dovrebbe riconoscere che una economia basata semplicemente su costi e ricavi monetizzabili non si può applicare alla contabilità ambientale che è di più ben ampio respiro. Allora si dovrebbe capire che la conservazione, la salvaguardia, la tutela e l’ottica di uno sviluppo sostenibile del territorio non sono uno spreco. L’ipotesi alternativa proposta di utilizzare quanto si spende per il Parco in strade per  “raggiungere determinate aree con mezzi meccanici”  fa a pugni proprio con il valore del bene ambientale “Montagna”, che si preserva proprio se “lasciato alla sua natura incontaminata”.  L’auspicata realizzazione di strade, sembra perfino ovvio dirlo, facilitano la penetrazione antropica a danno della conservazione degli ambienti naturali nonché ai fini irrinunciabili della biodiversità. Non dimentichiamo che il 2010, è stato l’Anno Internazionale della Biodiversità e si celebra perché le azioni dell’uomo si rivolgano anche al Debito Ecologico nei confronti delle risorse naturali.
In merito a ciò che significa costruire nuove strade, basti ricordare che asfaltare, bitumare o comunque impermeabilizzare il suolo vuol dire: modificare l’assorbimento da parte del terreno delle acque meteoriche; creare nuove linee pluviali alle piogge; velocizzare la discesa a valle delle acque; in buona sostanza, creare nuove condizioni di squilibrio ambientale a favore di frane, smottamenti, trasporto di detriti e dilavamento dei terreni nonché alluvioni e disastri. 
Il turismo, elemento di grande interesse per i residenti, per chi frequenta i luoghi montani, anch’esso deve essere sostenibile, deve rimanere elitario (nel senso di scelta di nicchia per chi ama l’ambiente naturale) e non di massa, se si vogliono evitare ulteriori depauperamento degli habitat della montagna.
Per concludere, il debito pubblico è sì alimentato dagli sprechi ma non certo dalle istituzioni di difesa e promozione che, come il Parco, dovrebbero invece essere considerate fiore all’occhiello della Comunità bellunese. Non a caso la istituzione dei parchi discende da una legge che, venendo da lontano, attua due articoli (9 e 32) della Costituzione e serve a preservare per le generazioni presenti e future gli ecosistemi.

Giuseppe Cancemi