MOSTRA PENSATA O MOSTRA IMPROVVISATA?
Passando e ripassando per Piazza Duomo,
mi sono più volte soffermato a guardare la mostra di “Barbara
Cappochin”. Cinque Tavoli appositamente progettati per esporre le
immagini dei vincitori del Premio Internazionale di Architettura.
Dunque, se ho ben capito, gli oggetti della mostra sono due: copie di
una scelta di alcuni degli elaborati riferiti ai vincitori del Premio
e 5 tavoli, diciamo, “contenitori” progettati appositamente per
rappresentare la “Mostra”. Confesso che non è stato
comunicativamente intuitivo (ma forse questo è un mio limite)
accorgermi che la mostra aveva un duplice scopo. O no?!!
Ciò premesso, mi permetto di rilevare
quanto, a parer mio, mi è sembrato di osservare.
Inizio con la comunicazione della
mostra che non può non essere stata pensata e soppesata. Eppure, per
come appare, mi ha dato una prima impressione di un evento affidato,
semplicemente, alla bontà dei contenuti del premio e dei contenitori
appositamente progettati e realizzati. L'immagine complessiva che ho ricavato, mi è sembrata, priva di una progettualità espositiva, di un
approccio, di un raccordo comunicativo nonché di un tramite tra l'oggetto mostra e
il fruitore. Il sociologo McLuhan, e non io, dà un'alta valenza alla
struttura comunicativa, ritiene che debba incidere sui modi di pensare, di osservare e di comportarsi di ogni fruitore/visitatore. Insomma deve indurre qualcosa di più al semplice guardare e tutt'al più, semplicisticamente, ricavare un giudizio di bello/brutto. La spiegazione dell'intera mostra era contenuta in un foglio formato A2
(credo) e il carattere mi ricordo doveva essere corpo 14 o forse 12. Poco più evidente che una comunicazione burocratica, un contenuto di caratteri alfanumerici d i sommessa visibilità che non dava un risalto orientativo alla comunicazione. Nel merito delle immagini nulla da dire, ovviamente, ma non ho
trovato alcun aiuto alla lettura. Cioè, non c'era un percorso di lettura,
una guida, un commento, nulla. Forse, la comunicazione voleva essere sottintesa. Voleva probabilmente lasciare spazio alla comprensione del tutto, mediante il libero arbitrio del
“lettore”, immaginandolo solo un “addetto ai lavori”. Ma la mostra non serve a veicolare, amplificare gli effetti di un evento
culturale, nonché a socializzare ed eventualmente a far condividere o meno i
contenuti mostrati?
Nel merito della realizzazioni dei
“Tavoli” mi permetto di far notare che una, non solo mia, personale constatazione portava ad avere qualche perplessità nei confronti, specialmente, di uno
dei tavoli che rendeva difficoltosa la lettura del contenuto
mostrato. Forma del tavolo e posizione delle immagini mostrate non consentivano
un'agevole lettura. Suggestivo, forse anche esclusivo ma che fa
pensare al rapporto proprio tra utilità e design di un progetto.
La funzione in un
oggetto da progettare o progettato non è un optional.
E visto che si trattava di una mostra
del “Premio Internazionale di Architettura” le poche osservazioni
da me fatte dovrebbero fare riflettere gli organizzatori.
Due partecipazioni alla condivisione
col grande pubblico dei visitatori, mi sono sembratati quanto meno
fuorvianti. Si sono voluti mostrare due insiemi diversi per
progettualità, per ambiti (locale e internazionale) e per
fattualità. Un intreccio tra rappresentato e realizzato, segnato da
una subalternità.
In conclusione, ad esser sincero,
confesso che l'evento di grande spessore di un ambito culturale, come
quello di architettura mostrato in Piazza Duomo, ripensato nei miei ultimi passaggi mi è apparso, a rifletterci, più figlio
di una casualità distratta, sicuramente e forse involontariamente
banalizzato che non altro.
Giuseppe Cancemi
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