mercoledì 12 novembre 2014
BELLUNO: PRG e Zone bianche
Il mai sopito mercantilismo economicistico dell'Amministrazione cittadina, intende ancora prevalere sul buonsenso e su una inversione culturale che si affaccia alle diverse tendenze culturali urbanistiche. I danni del maltempo di questi giorni, imputati in parte alla tropicalizzazione del clima cui stiamo assistendo, dovrebbe insegnarci qualcosa? O no! Tutti i danni del territorio vengono sì anche da lontano, ma il lontano è l'accumulo degli errori che si sono commessi e si continuano a commettere, senza soluzione di continuità, in una aberrante quotidiana gestione della città. Ma niente, imperterriti si vuole continuare a costruire e ad urbanizzare oltre ogni limite imposto dalla natura e così poi, essendo tutti colpevoli, nessun è colpevole e chi paga è sempre la collettività. Tutti riconoscono che i disastri del proprio territorio sono il risultato delle cementificazioni, spesso non necessarie, ma la eventuale responsabilità difficilmente è riconosciuta e imputabile a qualcuno. Al massimo, si attribuisce ad ignoti altri. Tutti, si stracciano le vesti per una mancata sicurezza del territorio in termini di prevenzione idraulica, geologica e idrogeologica. Infatti anche a Belluno si parla con lingua biforcuta: si vuole da una parte fermare il consumo di suolo e proteggere il territorio, dall'altra si continua a promuovere nuova urbanizzazione. E no! Non ci si può continuare a nascondere dietro un dito. Dovrebbe essere illuminante il fatto che le maggiori organizzazioni che raccolgono artigiani e imprenditori dell'edilizia hanno da tempo pubblicato un manifesto dove si esprimono per un freno assoluto alla cementificazione. Dicono basta al consumo di suolo! La legge regionale dietro cui si trincera il lassismo urbanistico cittadino, non va letta in chiave diversa da quello spirito che l'ha generata. Nel governo del territorio e del paesaggio non può essere implicita alcuna mano libera a coloro che vogliono nuove costruzioni. Di nuova edilizia, di case sfitte ve n'è sono abbastanza e comunque non certo in previsione di una soddisfazione del bisogno di abitazioni. Non c'è nello sbandierato disegno urbanistico (sic!) di volume che si sposta a una parte all'altra della città alcuna possibilità di smaterializzazione. Tutti capiscono che un volume che si aggiunge, resta tale anche se spostato da un luogo all'altro. E senza volere fare alcuna provocazione, credo che anziché aggiungere dovremmo pensare di sottrarre volume al territorio, se si vuole veramente fare prevenzione ai disastri.
Giuseppe Cancemi
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martedì 11 novembre 2014
FORMAZIONE DEI PIANI DI RECUPERO DI CALTANISSETTA (2013)
(Nota di Giuseppe Cancemi)
Le
esigenze di recuperare un centro storico, in generale, non sono
nuove. Caltanissetta, per l'ennesima volta e con grande ritardo
rispetto al contesto italiano, si cimenta con una nuova proposta
progettuale di riutilizzo-rinnovo a partire dal quartiere
“Provvidenza”. La premessa che muove il Piano di Recupero, cerca
di giustificare le proprie scelte ritenendo di essere “ in linea
con le direttive nazionali e comunitarie” e motivando un fine che è
quello di “contenere il consumo del territorio”. Sostiene di
adottare un criterio improntato all'ecocompatibilità, al recupero
delle valenze architettoniche, e avanza anche, tra le “nuove
esigenze” irrinunciabili dei luoghi, requisiti di “accessibilità
- anche carrabile”, assai discutibili.
La
relazione del nuovo Piano di recupero dopo 30 anni e alcuni passaggi
oramai storicizzati, rivela un'unica tendenza: l'attesa ripagata dal
tempo, dei prevedibili crolli per vetustà, che ripropone alla fine,
un antico disegno di politica urbanistica orientato ad una
edilizia, per il centro storico, sostitutiva dell'esistente. La nuova
(si fa per dire) tendenza nelle scelte di quest'ultimo piano di
recupero, a distanza di altri precedenti tentativi, fa emergere la
pervicace volontà politica di volere a tutti i costi sostituire il
«vecchio» col nuovo. Un passo della revisione del P.R.G. dell’anno
1982 riportata dalla relazione, a proposito dei passati Piani di
Recupero ai sensi della L.N.457/78 usato a suffragio delle tesi
sostenute dai redattori del PR così si esprime: ”Nelle more della
redazione di tali Piani, gli unici interventi ammissibili potevano
essere”, solo, “quelli di manutenzione ordinaria, straordinaria
e” di “risanamento conservativo”. Per inciso, termini corretti
nel restauro dei centri storici sostenuti dalla cultura urbanistica
corrente ma evidentemente non condivisi, poiché utilizzati in un
ragionamento del tipo: prima non si poteva intervenire in modo
diverso da quello prescritto, ora sì.
Il
tempo, è stato galantuomo (sic!). I quartieri della Provvidenza man
mano che crollano sono ora transennati per pericolosità e pronti a
ogni soluzione di nuova edilizia.
Verrebbe da dire... ci
siamo! Con l'emergenza sicurezza si può e si potrà giustificare
tutto.
Il Comune nel timore che si
verifichino crolli a danno degli abitanti del c.s. si attrezza per
operare senza veti. Il passaggio è lineare: con il timore dei
crolli, lo scopo preventivo del Comune consente di provvedere ad
allontanare gli occupanti delle abitazioni pericolanti in c. s. e si
barricano gli accessi al quartiere in attesa di potere intervenire
secondo una logica prevalentemente «modernizzativa» a partire degli
slarghi, alcuni già oggi diventati parcheggi per auto. Vedasi
esempio in foto di immagine documentata nella relazione del Comune di
Caltanissetta.
Foto di Leandro Jannì |
Pericolosa
tendenza annunciata: largo alle auto
In
clima di emergenza scompare ogni precauzione e interesse per il
destino dei nuovi sfollati (tali per condizioni economiche precarie)
che per questa tendenza si candidano con molta probabilità a formare
le baraccopoli nissene. Già in passato gli abitanti della
Provvidenza erano degli invisibili, non venivano considerati nei
cosiddetti piani di recupero, figurarsi ora che i crolli incombono.
La
ricca documentazione fotografica del degrado nella formazione dei
piani di recupero, riportata nella relazione dell'ufficio tecnico
comunale, preconizza la “soluzione finale”.
Nella
formazione del Piano, la relazione, com'era prevedibile nella logica
delle città materiali, esamina la presenza degli abitanti -
incidentalmente e senza dati recenti - evidenziando uno spopolamento
del c. s. nella dinamica complessiva dell'occupazione degli immobili
a fronte di ripopolamento con persone non italiane. Evitando di
entrare, per esempio, nel merito della composizione della proprietà
immobiliare e la tipologia degli attuali abitanti. In buona sostanza
viene rafforzata la necessità di intervenire per motivi igienici, di
decoro e di stabilità degli immobili. Nessuna relazione con le
esigenze abitative dei nisseni e non.
***
In sintesi
Dalla
relazione emerge la logica dell'emergenza eletta a metodo.
Aspettiamo... con i crolli la necessità di allontanare gli abitanti
(prima più difficile) ora si fa cogente e si può anche diradare a
misura (si fa per dire) d'auto. Si può costruire il nuovo.
Manifestamente sembrerebbe l'unica possibilità. Con ruderi
irriconoscibili la demolizione e ricostruzione con aumento della
volumetria in verticale, il diradamento in orizzontale per parcheggi
e l'allargamento di strade saranno accettati perché apparentemente
indolori.
Se la
partecipazione alla formazione dell'ennesimo piano serve a
corresponsabilizzare una scelta non solo urbanisticamente da
retrovia ma soprattutto etica, la risposta, a mio avviso, è no!
La
sfida che si può lanciare, invece, deve puntare ad un recupero
tendenzialmente conservativo e sostenibile. Si deve
partire dalle esigenze dei futuri cittadini abitanti di un ambiente
urbano storico a misura d'uomo com'era.
L'insediamento previsto, pur
senza uno studio sociologico che doveva essere approntato, si può
ipotizzare formato da anziani, giovani coppie, singoli, tra i quali
nuclei familiari con poche risorse economiche.
Gestione
Con le
strategie giuste e con un patto di solidarietà da inventare, si
possono organizzare sistemi di partecipazione al restauro,
affiancate da corsi di formazione professionale indirizzata al
recupero edilizio per piccole imprese e lavoratori con contratti ad
hoc sostenuti da Comune, IACP, cooperative, privati, cassa edili,
sindacati, confindustria, imprenditori, lavoratori-corsisti, ecc.
Le
risorse economiche dovranno essere reperite, tra finanziamenti agenda
2000, cassa depositi e prestiti, BOC, finanziamenti IACP e
cooperative, finanziamenti prima casa, capitali d'investimento
privati, nonché banche, specie le locali, attraverso le quali con
garanzie pubbliche, dovranno essere indotte ad erogare anche piccoli
prestiti. I cittadini tutti, gli interessati per primi, coinvolti
nei vari passaggi: dal progetto ai finanziamenti alla realizzazione,
assumeranno il ruolo di protagonisti del cambiamento. Il Comune dovrà
fondare un ufficio casa perenne per seguire tutte le operazioni di
recupero.
Le
proprietà pubbliche recuperate per prime, dovranno servire da spore
per innescare un processo virtuoso di parcheggio in attesa del
restauro, formazione/collaborazione, restituzione e così via.
Quali
agevolazioni si possono attivare riguardano: le facilitazioni
burocratiche, la riduzione degli oneri di urbanizzazione, degli
incentivi vari sui costi (cantiere, smaltimento sfabbricidi, ecc.) e
sulle scelte di sostenibilità.
Quale restauro
In
merito alla sostenibilità vanno orientate scelte di interventi che
tengano conto della bioarchitettura (verifica della presenza del gas
radon, basso in/out energetico, cappotto termico ecc.).
Risparmio idrico, con
recupero delle acque piovane e/o ricircolo delle acque grige
Risparmio energetico
(pannelli fotovoltaici, energia solare-termica) Eventuale
sperimentazione di teleriscaldamento con TOTEM e/o geotermia
Efficienza energetica su
tutto, elettrica e termica.
La vera
sfida va concretizzata confutando la ricostruzione e/o diradamento
(data per scontata per i ruderi) con il mantenimento del disegno
urbanistico del luogo (es. della Provvidenza con caratteristiche
ippodamiche). Cioè, mantenendo la maglia urbana del quartiere,
scongiurando il preteso sacrificio della dimensione ad uomo per
sostituirla con quella a misura di automobile (impossibile) per vari
motivi. Non necessariamente costituzione di volumi in altezza
consimili ai precedenti ma livellamento, eventualmente, in basso per
lasciare passare la luce la dove si ricostruisce e liberazione da
superfetazioni per spazi di preesistenti, cortili, giardini e slarghi
interni con pozzi.
Tipi di intervento
Acquisizione
(o intervento con partenariato Pubblico/privato) di immobili privati
in centro storico per la loro valenza storico-urbanistica, da
consolidare ristrutturare e restaurare e da destinare agli usi
pubblici previsti dal piano particolareggiato o di comparto. Possono
altresì, allo stesso scopo, essere acquisiti immobili diruti o non
abitabili per essere destinati dopo la loro sistemazione ad edilizia
residenziale pubblica (case parcheggio, alloggi, immobili di
scambio).
Il
recupero deve essere occasione di opportunità per crescere, non
scusa per dare al centro storico un nuovo che modifica, cancella i
segni del passato, mortifica l'immagine di Caltanissetta.
Belluno, 24/2/2013
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Riqualificazione del centro storico
RIQUALIFICARE
IL CENTRO STORICO Sì, MA CON QUALI RISORSE, QUALE PROGETTUALITA' DI
RIFERIMENTO A BREVE, MEDIO E LUNGO TERMINE?
L'operazione
"Riqualificazione del centro storico", è un atto di
rilevante valenza politica per la sua ricaduta sull'assetto
socio-economico della città di Caltanissetta. L'incidenza che avrà
sul patrimonio immobiliare e sulla vita delle persone, abbraccia un
lungo periodo che va al di là dei tempi amministrativi che possono
gestire questo o quel partito favoriti o meno dalle elezioni prossime
e future. Per tale motivo, trasparenza e partecipazione democratica
alle scelte fatte e da fare non sono un optional e dunque necessarie
per tutti.
Posto
preliminarmente questo preambolo, si può tentare di avviare una
iniziale ricognizione dei fatti, attraverso una dispersa
documentazione, non semplice da reperire. L'annuncio, rilevabile
dalla rivista Caltanissetta n. 54, è sì un primo approccio alla
comunicazione di un evento urbanistico di rilievo ma non
soddisfacente. Andando a cercare in altri documenti come il
protocollo d'intesa tra Comune e IACP si apprende che nei comparti
128 e 129, attraverso linee ed azioni programmatiche di insieme
definite di riqualificazione e statutarie d'Istituto Comune e IACP
intendono lavorare in sinergia.. Per questa intesa di partenariato,
del 3 febbraio 2013 tra i due enti, nel documento sottoscritto,
muovono da una svolta "attività monitoraggio",
successivamente "crono-organizzata", intervenuta da due
direttive dell'assessore all'urbanistica.
Una
successiva delibera, del Consiglio comunale citata, ha individuato
quali azioni di riqualificazione si intendono fare in centro storico;
quale gruppo di lavoro sarà incaricato e quali saranno "le
forme di urbanistica partecipata”, prevedendo un “contributo
volontario e gratuito” ai “professionisti per la redazione di
iniziativa pubblica dei piani di recupero".
A
volersi per un momento soffermare su questi atti, viene subito da
chiedersi: si sono spiegati male o hanno sorvolato agli adempimenti
che presiedono un simile impegno urbanistico?
L'azione
di monitoraggio che ha impegnato i tecnici che significa? Non doveva
essere organizzato il tutto con un quadro gestionale fatto di
strumenti legislativi e di riferimento; un quadro finanziario di
breve, medio e lungo periodo; con un esame del costruito e un'analisi
sociologica?
Giuseppe Cancemi
Giuseppe Cancemi
lunedì 10 novembre 2014
PRESTAZIONE PROFESSIONALE
Può essere gratuita, in qualche caso, come nuova forma di libertà, solidale?
La diatriba che si è
accesa non molto tempo fa, tra i pro, forse pochini, e i contro, per
lo più gli ordini professionali, merita una riflessione perché,
forse, in medio stat virtus. Mi
riferisco alla ricerca di collaborazione professionale da parte del
Comune “a
gratis”,
mediante un albo di volontari da utilizzare per occasionali
prestazioni senza compenso. Il rifiuto netto degli ordini
professionali è stato automatico e senza appello. Per loro, che
hanno il compito di tutelare questa o quella determinata professione,
le opere di ingegno non possono essere non retribuite. In effetti, se
si escludono le questioni di principio, opinabili, giustamente tra
una prestazione professionale ricompensata e una no, si
infrappongono ostacoli di ordine generale non trascurabili. Bisogna considerare che, per esempio, per il fisco, una prestazione, specie se ripetuta, può apparire come attività in nero e come tale, per principio, da respingere perché contraria ad ogni etica e onore del professionista. Non meno pesante si presenta, sotto altro profilo, un'attività priva di giusto compenso, potendo apparire perfino come concorrenza sleale se non come fattore che altera il mercato dell'offerta professionale. Il Comune, a mio modesto avviso, nel richiedere l'iscrizione volontaria ad un albo comunale, all'uopo preparato, non mi risulta che abbia stabilito alcun paletto limitativo, nell'eventuale svolgimento della prestazione professionale. Impensabile, dunque, un affido tecnico professionale per una totale partecipazione per impegno, responsabilità e tempi necessari per accompagnare, seguire un'attività, un processo, una progettazione, ecc. di media/alta responsabilità. In buona sostanza, bisognava evidenziare il limite e magari ci si doveva riferire allo spirito dell'art. 118 della Costituzione. Sì perché rifacendosi alla Costituzione con il suo principio di sussidiarietà, poteva meglio disporre la partecipazione e l'aiuto concorrente per fini e attività di interesse generale. A questo proposito qualche Comune in Italia, ha già fatto un proprio regolamento dove, al cittadino che vuole essere attivo, viene data la possibilità di collaborare per la cura e lo sviluppo dei beni comuni. In buona sostanza, al cittadino viene data la facoltà di esercitare una nuova forma di libertà, solidale.
infrappongono ostacoli di ordine generale non trascurabili. Bisogna considerare che, per esempio, per il fisco, una prestazione, specie se ripetuta, può apparire come attività in nero e come tale, per principio, da respingere perché contraria ad ogni etica e onore del professionista. Non meno pesante si presenta, sotto altro profilo, un'attività priva di giusto compenso, potendo apparire perfino come concorrenza sleale se non come fattore che altera il mercato dell'offerta professionale. Il Comune, a mio modesto avviso, nel richiedere l'iscrizione volontaria ad un albo comunale, all'uopo preparato, non mi risulta che abbia stabilito alcun paletto limitativo, nell'eventuale svolgimento della prestazione professionale. Impensabile, dunque, un affido tecnico professionale per una totale partecipazione per impegno, responsabilità e tempi necessari per accompagnare, seguire un'attività, un processo, una progettazione, ecc. di media/alta responsabilità. In buona sostanza, bisognava evidenziare il limite e magari ci si doveva riferire allo spirito dell'art. 118 della Costituzione. Sì perché rifacendosi alla Costituzione con il suo principio di sussidiarietà, poteva meglio disporre la partecipazione e l'aiuto concorrente per fini e attività di interesse generale. A questo proposito qualche Comune in Italia, ha già fatto un proprio regolamento dove, al cittadino che vuole essere attivo, viene data la possibilità di collaborare per la cura e lo sviluppo dei beni comuni. In buona sostanza, al cittadino viene data la facoltà di esercitare una nuova forma di libertà, solidale.
Per
concludere, penso, che con l'occasione del nuovo sito comunale in
internet, archiviato il discusso albo di volontari, si potrebbe
iniziare una nuova forma di collaborazione e partecipazione verso
proposte e progetti che il Comune intende condividere. Uno spazio
aperto alla consultazione e alla eventuale collaborazione
progettuale, on-line,
attraverso
una
semplice
registrazione, può aprire per il Comune una varietà di
collaborazioni i cui partecipanti non hanno bisogno di iscriversi a
nessun albo. Agli uffici comunali e ai relativi professionisti
responsabili del materiale messo a disposizione per la
collaborazione, resterebbe la segnalazione o il contributo tecnico
professionale ed ogni altra forma di espressione collaborativa,
utilizzabile direttamente, da rielaborare, oppure da respingere in
toto. Insomma, in democrazia e con i mezzi che si hanno a
disposizione, la collaborazione dei cittadini-sovrani si può
ottenere senza scomodare nessuno, basta solo sapersi organizzare.
Giuseppe
Cancemi
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Il titolo dato dal giornale non rispecchia né il contenuto del testo né la volontà di chi scrive.
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Gli esperti si sono presentati. Vedremo come saranno impiegati.
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Nota: trovo interessante, comunque, che ci sia tanta voglia di fare, di dare una mano per migliorare le condizioni della città. Complimenti ai 37
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Nota: trovo interessante, comunque, che ci sia tanta voglia di fare, di dare una mano per migliorare le condizioni della città. Complimenti ai 37
lunedì 20 ottobre 2014
Caltanissetta
ENNESIMO STUDIO PER IL RECUPERO DEL CENTRO STORICO
Leggo,
non senza un apprezzamento per la volontà della Giunta Ruvolo, che
si sta per riprendere un nuovo corso, per il recupero del centro
storico di Caltanissetta. Per questa attenzione che spero sia
l'ultima, forse, per mia scarsa informazione, nutro, non da solo,
qualche diffidenza e perplessità su un avvio che si annuncia, come
altri nel passato recente, ancora una volta solo ed esclusivamente
come espressione tecnica.. Forse però, questa volta si differenzia
per tipologia del soggetto incaricato: l'ateneo ennese. Viene
affidato lo studio, che vuole essere sperimentale, alla Facoltà di
Ingegneria e Architettura dell’Università degli Studi Kore di
Enna. Tale facoltà, incaricata della conduzione progettuale, ha
dichiarato di volere affrontare il suo compito con un laboratorio di
restauro, allo scopo di analizzare e classificare il tessuto
edilizio e le relative implicazioni che hanno stratificato il nucleo
storico di Caltanissetta. L'attività che detto corso si propone,
comprende una sinergia con il Sistema
Informativo Territoriale Regionale,
passando per quella che è oramai l'imprescindibile
georeferenziazione dei rilievi eseguiti. Nulla da eccepire, dunque,
in quanto il Sindaco Ruvolo sta mettendo in moto per fare uscire
dalla secca l'agognato avvio del recupero urbanistico in centro
storico. Come accennato, però, mi resta un qualche timore, e cioè
che si produca un grande progetto sotto il profilo accademico ma
senza avere sciolto alcun nodo (di attuazione politica) di natura
preliminare. Ciò posto, provo ad elencare brevemente quali sono le
mie preoccupazioni.
Come
primo elemento propedeutico, penso, e non da ora, che alla base di
qualcosa da realizzare per qualcuno, si deve sapere da dove iniziare
e per chi è, o chi sarà, quel qualcuno. In buona sostanza, quale
centro storico e per quale città nel suo complesso, e chi sono ora,
o chi saranno, gli abitanti nisseni da transitare nel futuro?
Secondo, la vastità del c. s. fa pensare ad una operazione di
recupero assai lunga nel tempo che impegna l'odierna generazione e,
senza tema di smentita, anche qualche altra ancora da venire. Terzo,
le risorse da utilizzare per il recupero oggi sono scarse e le
previsioni per il futuro non sono certo rosee. Quarto, attualmente le
aree del c. s. non sono appetibili per vari motivi, pregiudizi per
primi (i cittadini non graditi, da tempi remoti, sono sempre stati
confinati nelle stesse aree e, vedi caso, indovinate quali?). Ma gli
interrogativi non finiscono qui. Il c. s., anche se non intensamente
popolato, ha i suoi abitanti che non sono fantasmi e che nella
complessità del piano, vanno considerati ai fini di un inevitabile
trasferimento temporaneo (trasporto delle suppellettili, alloggio
provvisorio, etc.) quando saranno raggiunti dai lavori di recupero.
Eppoi, davvero si conoscono quali sono e saranno le dinamiche
anagrafiche, economiche e spaziali attuali e future?
Ecco,
credo che anche il migliore degli studi, se ancora una volta darà
tutto per scontato e non prenderà, quindi, in considerazione i
tratti socio-economici e spaziali di una comunità nei suoi bisogni
di risiedere, spostarsi, lavorare, etc., rischia di essere sì
un'ottima esercitazione accademica ma con effetti applicativi lontani
o estranei ai reali bisogni del contesto urbano.
Spero,
che riflettendo anche su queste brevi note, si possano prendere tutte
quelle misure che servono per una città, che va vista, letta e
progettata attraverso la sua complessità e interezza sistemica.
È convinzione, condivisibile, di J. J. Russeau che "la dove troviamo degli specialisti non troviamo dei cittadini". Si vuole che siano i politici e/o i tecnici a decidere, da soli, delle sorti di una città?
È convinzione, condivisibile, di J. J. Russeau che "la dove troviamo degli specialisti non troviamo dei cittadini". Si vuole che siano i politici e/o i tecnici a decidere, da soli, delle sorti di una città?
Buona
fortuna!
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mercoledì 15 ottobre 2014
PRG BELLUNO
Urbanistica contrattata o furbata per fare cassa?
Con l'annuncio di
stampa di qualche giorno fa, la Giunta Massaro, riscopre come
processo evolutivo di un già vantato “programma costruttivo”
per Col Cavalier, già foriero di nuovi volumi sul territorio, una nuova urbanistica contrattata (sic!) che richiama alla memoria
l'imprenditore Berlusconi con le Milano 1 e 2. Una sorta di permuta
già nota, apparentemente vantaggiosa per la comunità ma segno che
ancora una volta il potere pubblico è favorevole a derogare sul
rigore nel governo del territorio.
In effetti
l'operazione, con una annunciata modificazione degli indici di
edificabilità al Master plan di Cavarzano, intenderebbe spostare una
certa quantità di volume edificabile facendolo “saltare” da un
posto all'altro in cambio di cosiddette “opere di compensazione”,
insomma, senza mezzi termini si vuole ulteriormente raschiare il
fondo del barile. Si vogliono “smerciare” i vincoli scaduti di
volume progettato per uso pubblico contro vil moneta. In termini
molto più crudi, s'intende far ancora cassa a tutti i costi e in
tutti i modi. Mi chiedo se quelle aree per opere pubbliche già
titolate ora diventate (ritenute) “bianche” appartengono a
calcolati rapporti tra standard residenziali e popolazione, o
sopravanzano così perché i progettisti li hanno messi lì tanto per
gradire, per impedire qua e là che i privati edificassero. Il
dibattito urbanistico che non si è mai arreso alla cultura della
speculazione edilizia, dilagante - fino a compromettere sempre più
il territorio nella sua intrinseca fragilità geomorfologica - si
ritrova ancora una volta a subire un arretramento, grazie ad una
studiata furbata con la trovata del baratto. Tutto a posto con leggi,
regolamenti, e cavilli vari ma come la mettiamo con una realtà
fisica che impone sempre più attenzione per una urbanizzazione che
sommata ad altra preesistente aumenta il rischio di frane alluvioni e
disastri cosiddetti naturali ma che naturali poi non sono. Sa il
Comune qual è il bisogno di nuove abitazioni o di nuovi volumi per
il commercio e le attività economiche? Ha ipotizzato una qualche
previsione di crescita socio-economica alla luce di una evolvente
dinamica della popolazione, delle forze lavoro, dei settori
economici, dei bisogni per fasce d'età al fine inquadrare e
giustificare queste eventuali prefigurate domande di nuova edilizia
su aree inedificate? Si è sicuri che le aree per le quali si vuole
rinunciare al reitero del vincolo per opere pubbliche (già titolate)
non sia più necessario? E le aree “sottratte” a Cavarzano non
genereranno un qualche inevitabile contenzioso?
Sembra veramente
molto riduttivo, mi perdonino Sindaco e Assessore, e quasi offensivo
verso un dibattito sulla governace del territorio, lungo credo
di decenni, liquidare in poche informazioni giornalistiche, un serio
argomento che investe tutto l'assetto urbanistico della città di
Belluno.
Soffermarsi su
“incassi” per la vendita di volumetria traslata da altre aree,
sia pure in cambio di opere pubbliche vagamente citate nel pezzo
giornalistico, sembra quasi voler porre più un accento sull'aspetto
economicistico che non sul volere agire con questa operazione
“baratto”, in concorso con altre azioni, ad una risistemazione
del più complessivo sistema città. L'operazione vendite, non sembra
volere affrontare quella gestione urbanistica che proprio per
salvaguardare e proteggere il territorio ha bisogno di un governo dei
processi a prevalenza pubblica, senza deroghe o cedimenti alle
privatizzazioni. Invece appare debole e deludente e di “scopo”
l'annunciata speciosa permuta volumetrica. Richiama quasi l'idea
immaginaria di un commercio da banchetto, dove le aree, prima
riservate ad opere pubbliche, prossimamente, verranno vendute e/o
“barattate” come ultimi “scampoli in liquidazione”.
Voglio ancora
ricordare che il territorio, visto il repentino mutamento della
meteorologia, di queste scelte solo economicistiche potrebbe in un
futuro non più remoto pagarne le conseguenze. Riflettiamo... gente. Attenzione!
Giuseppe Cancemi
***
***
***
Il testo giornalistico di riferimento...
BELLUNO.
Le “aree bianche” diventano edificabili. Ma solo su richiesta del
proprietario del terreno e sulla base di precisi paletti, che la
giunta ha messo per evitare che in zone di pregio sorgano palazzine
ingombranti. Inoltre, la volumetria che sarà sviluppata nelle aree
bianche sarà “sottratta” a Cavarzano, nella zona destinata allo
sviluppo del Master plan. In questo modo non aumenterà la cubatura
prevista dal piano regolatore in vigore.
L'assessore
Franco Frison sta lavorando da mesi a questo piano e nel prossimo
consiglio comunale (e prima in commissione urbanistica) si discuterà
della quantificazione economica di questi spazi. Le zone bianche sono
aree del territorio comunale sul quale il Comune pensava di
realizzare opere pubbliche (parcheggi, per esempio, ma anche piste
ciclabili o parchi) e per questo, anni fa, vi ha messo un vincolo. Ai
primi cinque anni ne sono seguiti altrettanti, poi la legge, con una
sentenza della Corte Costituzionale, ha fatto decadere quei vincoli e
le aree sono diventate “bianche”, cioè «prive di una
pianificazione urbanistica», spiega l'assessore Frison. Ma sono
anche bloccate, cioè il proprietario non le può usare. «Abbiamo
alcune richieste da sistemare, per questo dobbiamo arrivare a una
quantificazione economica, al metro cubo, di questi spazi».
In
pratica, il proprietario del terreno “area bianca” che volesse
costruirvi una casa, dovrà pagare una certa cifra al Comune (da
stabilire). Solo chi presenterà apposita istanza avrà il terreno
edificabile a disposizione, gli altri rimarranno come sono. Da un
lato, dunque, ci sarà anche chi avrà un evidente beneficio, perché
magari quel terreno 10 anni fa era agricolo e ora può diventare
edificabile, ma anche il Comune avrà il suo vantaggio, economico.
«In questo modo si trova un equilibrio fra due interessi», precisa
il sindaco, Jacopo Massaro. «Quello del privato, che per anni ha
avuto un vincolo su un terreno di sua proprietà, ma anche quello
pubblico, sia perché è prevista una cifra per l'acquisto della
volumetria, sia perché abbiamo posto precisi paletti
all'edificazione».
L'acquisto
di volumetria, infatti, sarà possibile solo in determinate zone,
«ovvero in contesti già urbanizzati» e anche i metri cubi saranno
limitati per evitare di veder sorgere condomini dove oggi ci sono
prati.
Sono
un centinaio le aree bianche in comune; per consentirne
l’edificazione sarà tolta volumetria a Cavarzano, nell'ampia area
dove da anni si parla del Master plan. Un bilanciamento per mantenere
la stessa volumetria prevista nel Prg: «Avevamo la necessità di
risolvere aspettative legittime di alcuni cittadini (una decina)»,
continua Frison.
I
soldi che il Comune incasserà per la “vendita” della volumetria
serviranno per fare qualche opera pubblica, come parcheggi e
ciclabili: «È lo stesso lavoro», conclude Massaro, «che stiamo
facendo con i Suap (via Agordo e la Carpenada per esempio): quando un
privato ci chiede una variante al Prg, noi chiediamo opere di
compensazione a beneficio della comunità. Con le aree bianche
succederà lo stesso».
di
Alessia Forzin
Corriere delle
Alpi del 10
ottobre 2014
domenica 12 ottobre 2014
MOBILITA'
Perché la bicicletta no?
Il
mio amico Oscar,
inguaribile salutista e ambientalista, da tempo per me rappresenta
l'ultimo “panda” deciso a perorare l'uso della bicicletta in
città per spostarsi. La rarità di questo stile ecologista negli
spostamenti individuali che il mio amico rappresenta, forse, trova
una ragion d'essere in una scelta d'uso diffusa di questo mezzo che
Caltanissetta non ha mai avuto. Questo inusitato esempio di convinto
fruitore delle due ruote, mi rappresenta, come il grillo parlante (
in Pinocchio), quella coscienza che fa riflettere su quale potrebbe
essere una possibile sostenibilità del traffico, attraverso una
mobilità intelligente, incrementando l'uso delle due ruote. Proprio
una riscoperta della bicicletta, mezzo semplice ed economico,
potrebbe fare la differenza tra un trasporto stranamente smart
e la mobilità attuale. Non siamo certo in Olanda per condizioni
orografiche ma soprattutto per cultura cosmopolita per accettare
facilmente un avvio o un ravvedimento nello spostarsi in città,
avendo a cuore principalmente il bene di tutti.
È
difficile nella realtà nissena trovare uno come Oscar, convinto per
cultura, che anche nel piccolo di una città dall'assetto urbano non
pianeggiante - con due centri direzionali (Piazza Garibaldi e
Palmintelli) agli estremi di circa 1000 m di un asse Est /Ovest -
esiste la possibilità di circolare con velocipede.
Certo
una mobilità ciclistica tra due diverse tipologie di maglie stradali
e pavimentazioni a dislivelli vari, fra spazi a misura d'uomo e vie
più moderne, non può certo considerarsi di facile utilizzo e
dunque per tutti.
In
effetti, però, nulla è impossibile. Bisogna solo cominciare a
pensare in grande, con visione europea. Non è recente nei trasporti
l'idea della mobilità intermodale, che comprenda anche la
bicicletta, ma è sempre attuale. Non a caso in altre realtà simili
a quella nissena la bici, strategicamente nella mobilità urbana,
viene fornita anche gratuitamente per spostarsi da un luogo all'altro
in città. È facile immaginarsi allora, quali vantaggi offre una
simile scelta a fronte di un investimento che rispetto a tutte le
altre spese per il trasporto urbano rimane quello più esiguo. Ma
forse, per i nisseni lo scoglio è solo di carattere più
psicologico che orografico. Nell'immaginario collettivo, per
tradizione, la percorribilità stradale ha troppe salite per muoversi
in bicicletta. Si potrebbe argomentare a favore della mobilità
ciclistica, che sì è vero che i dislivelli non sono superabili
facilmente da tutti nelle condizioni attuali ma è anche facile
pensare che esistono strategie di superamento dei dislivelli
attraverso tecniche e/o tecnologiche attuabili per mitigare tali
limitazioni. Nell'immaginario di Oscar, per esempio, i due centri
direzionali già menzionati, possono essere visti come due realtà
praticabili, ciascuno con un proprio livello di accessibilità. Un
limite alla mobilità tra i due centri, che può sembrare più
vistoso, resterebbe quello dello spostamento tra questi mediante la
via Palmintelli. Non sto a ricordare che chi ama il mezzo a fini
sportivi per una tale salita si farebbe una risata, specie di questi
tempi che esistono i cambi di marcia anche nelle bici dei bambini.
Ricordo anche che molti Comuni delle nostre Alpi che non sono certo
solcati da vie pianeggianti, fanno largo uso delle biciclette per
spostarsi, tutto a beneficio della salute e delle tasche.
Mi
viene in mente a questo punto che tutto è cambiato, continua a
cambiare e che Caltanissetta non può restare inchiodata ai suoi
vecchi schemi di una città in cui gli spostamenti non possono
annoverare anche le biciclette perché ci sono troppe salite. Scuse
da immobilismo conservativo che alle nuove generazioni comincia a
stare stretto. È tempo di pensare ad una vera sostenibilità
trasporti compresi. Una riorganizzazione della mobilità non
episodica o per settori ma con una logica di rapporto
infrastrutturale sistemico. Approfittando, per esempio, della recente
crisi ciclica dei trasporti urbani, si potrebbe immaginare per
Caltanissetta anche l'adozione di un qualche collegamento mediante
funivia (da non intendersi solo aerea) anche in funzione degli
spostamenti con bici. Nel complesso, il pensare ad un trasporto
ecologico, relativamente poco impattante e dai costi contenuti,
significa non scartare a priori possibilità come quella citata che
allarga gli orizzonti di scelta.
Ecco,
una profonda revisione dei trasporti a Caltanissetta, può muovere i
suoi passi da nuova cultura della mobilità più sobria. Meno auto
private e più trasporto pubblico meno invasivo.
E
quale mobilità se non quella a partire del mezzo di trasporto più
semplice ed economico qual è la bicicletta?
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mercoledì 8 ottobre 2014
CALTANISSETTA: Revisione PRG
LE SCELTE URBANISTICHE DEBBONO ESSERE POLITICHE
L'allegato documento che circola, circa
una revisione del PRG di Caltanissetta, sembra essere un mix tra un
flebile contenuto di scelta partecipata e una staccata burocratica
applicazione esecutiva. Sembra marcare un annunciato assemblearismo
che può scadere in partecipazionismo fine a se stesso. La
riorganizzazione di una città dove i cittadini finora sono rimasti
illustri sconosciuti ai cosiddetti piani da sempre studiati
rigorosamente solo a tavolino, promuovere assemblee sia pure con la
presenza di istituzioni, enti ed associazioni può sembrare
“rivoluzionario”, ma tale non è. Enunciare vagamente una
riqualificazione del centro storico, una
rivisitazione
dell'espansione urbanistica o un'organizzazione viaria non ci
entusiasma, anzi ci fa temere altri condivisi e non, prevedibili
nuovi scempi. Per esempio, in una città come la nostra, persino
semplicemente usare l'espressione espansione dovrebbe essere
proibito. Le zone di una città che si è estesa eludendo gli
standard residenziali e che ha edificato per oltre due vani per
abitante (senza avere risposto alla domanda di casa e di vivibilità),
sono sotto gli occhi di tutti.
Ancora una volta non si fa alcun cenno
a come far fronte ai bisogni, pregressi e futuri, degli abitanti di
risiedere, abitare, spostarsi e lavorare.
Le scelte per la città non sono un
fatto tecnico ma solo ed esclusivamente espressioni di volontà
politica in cui ai tecnici viene affidata l'interpretazione.
Si prende atto di questo documento che
non dichiara una volontà di inversione di tendenza. Ci aspettiamo,
comunque, un documento politico di intenzioni dell'Amministrazione
circa il prossimo strumento urbanistico che si vuole sottoporre a
revisione, avendo in mente un'idea di città come impianto sistemico
per un progettato sviluppo prima sociale e poi economico.
Giuseppe Cancemi
Allegato:
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sabato 9 agosto 2014
ACQUA DEI CITTADINI
L'acqua del Sindaco che reclamizza un
risparmio sull'acquisto d'acqua per usi alimentari, è un'idea molto
suggestiva, ma non nuova, per il cittadino che compra acqua,
cosiddetta minerale, spendendo un aggiuntivo budget
straordinario, nonostante la vera acqua del Sindaco la paghi già. Un
minimo di riflessione e forse qualche lettura in più qua e là, ci
dovrebbe suggerire che la distribuzione idrica in città, così come
la conosciamo, ha fatto il suo tempo, e sappiamo che oltre alla sua
igienicità e sicurezza oramai conta anche la non più trascurabile
attenzione di utilizzo, orientata al risparmio idrico. I distributori
d'acqua a costo contenuto, che hanno fatto comparsa in un Comune del
nisseno localizzati come le antiche fontanelle pubbliche, sono una
nuova trovata (oserei dire un nuovo business) allo scopo di
calmierare l'acquisto in termini sia economici che di inquinamento,
quest'ultimo, dovuto a milioni e milioni di bottiglie in plastica che
entrano nel circuito dello smaltimento. Eppure, molti di quelli che
comprano acqua imbottigliata, sono convinti che si tratta della
stessa acqua distribuita in città ma confezionata e
bell'impacchettata. Effettivamente tutti i Sindaci delle città
italiane si affannano a diffondere la certificata potabilità
dell'acqua del proprio Comune. A cosa credere? L'acqua del Sindaco ci
libererà, in futuro, anche a Caltanissetta dalla schiavitù delle
ingombranti bottiglie di plastica?
Proviamo a fare un ragionamento
semplice semplice a livello della nostra città. La società che
gestisce la distribuzione idrica ci assicura la potabilità
dell'acqua nissena, pubblicando nel proprio sito un tabulato nel
quale si certifica, la rispondenza, entro i limiti dei parametri
rilevati, in un confronto con quelli ufficiali. Non è dato sapere,
però, altre notizie che sarebbero state utili per meglio rassicurare
il cittadino consumatore. Non sappiamo nulla sui trialometani e
sull'arsenico che impensieriscono tanto alcuni Sindaci italiani.
Tornando all'acqua dei nisseni,
qualche osservazione nasce spontanea. Nei dati tabulati, per esempio,
i campioni analizzati provengono dai prelievi delle varie periferie
(quartieri o zone) o sono quelli prelevati alla fonte (serbatoi di
distribuzione)? La diversità dei campioni fa sicuramente una certa
differenza dovuta ai chilometri di attraversamenti nel sottosuolo,
come pure fa differenza la distribuzione a giorni alterni. Senza
alcun dubbio la potabilità delle acque destinate al consumo umano
corre maggiori rischi di inquinamento nei punti più lontani dalle
fonti di approvvigionamento. Ricordo per me stesso, che la vicinanza
delle condotte fognarie e l'ossido di ferro che si forma nelle
condutture quando la distribuzione si ferma, etc. sono fattori di
rischio che minacciano l'acqua cittadina. Per completare brevemente
il quadro che accompagna la questione idrica, - meglio sarebbe la
sete atavica di Caltanissetta - diventa incomprensibile anche lo
spreco che si fa dell'acqua potabile per usi, solo in piccola parte,
del bisogno alimentare umano in una realtà dove il soddisfacimento
del servizio idrico è carente.
Proviamo ad immaginarci cosa può
accadere introducendo alcuni appositi chioschi i quali dovrebbero
incidere sulla sicurezza e consapevolezza alimentare, sugli stili di
vita e altrettanto favorire in maniera sensibile anche l'economia.
A parte l'effetto tutto solo
immaginabile di una fila di cittadini che a turno riempie le proprie
bottiglie, alla fine, per semplicemente far circolare meno plastica
da smaltire, per Caltanissetta è pura fantasia che, forse, durerebbe
qualche giorno.
Piuttosto, meglio sarebbe considerare
la questione “prezioso liquido” nella sua interezza (di quantità
e qualità), nella complessità sistemica e verso il tracciato di
“acqua bene comune” come ritorno a
“totale
proprietà pubblica, reinvestimento degli utili e partecipazione dei
cittadini negli organi di controllo”.
Nella nostra città, infatti, i tempi sono maturi per cominciare un nuovo corso di vita associata, proprio dall'acqua. Iniziare a considerare le acque per il loro effettivo uso: agricolo, industriale e civile è il primo passo verso la riduzione degli sprechi sia in termini quantitativi che economici. Il consumo industriale e quello strettamente irriguo non necessitano di potabilizzazione spinta come per le acque necessarie al consumo umano. La città potrebbe iniziare un percorso virtuoso scegliendo di applicare alle ristrutturazioni e alle nuove costruzioni edilizie, la doppia circuitazione idrica. Un sistema misto di circolazione delle acque potabili parallelamente ad altre ciclicamente riutilizzate per i vari consumi idrici nell'uso civile. I vantaggi di una tale scelta sono tanti, basti pensare che il solo trattenere a lungo le acque sulla terraferma mediante il riutilizzo, fa diminuire la necessità delle consistenti scorte idriche. Ma più di tutto vale la pena ricordare che intraprendere la via del risparmio idrico significa mettere in moto una nuova economia che offre lavoro, specializzazione e crea le condizioni per un know-how sicuramente esportabile.
Giuseppe Cancemi
Vedi: http://gcancemi.blogspot.it/2011/05/acqua-laudato-si-mi-signore-per-sor.html
Vedi: http://gcancemi.blogspot.it/2011/05/acqua-laudato-si-mi-signore-per-sor.html
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martedì 29 luglio 2014
LIBERO CONSORZIO
La
sensibilità verso i temi dell'ambiente che da anni mostra il
Presidente di Italia Nostra Regionale arch. Lendro Jannì, ha fatto
ancora centro con la tavola rotonda “Liberi
consorzi e territorio. Focus su Sistema Sicilia Centrale”,
mettendo cappello su un'importante problematica che riguarda
l'istituzione dei liberi
consorzi. Le Province non ci sono più e la
Sicilia autonomamente sta già muovendosi verso una riorganizzazione
territoriale che dovrà aggregare più Comuni in una amministrazione
intermedia tra il singolo “campanile” e la Regione. L'idea, di
una nuova aggregazione comunque non è nuova, anzi. Già lo Statuto
(1946) della Regione Siciliana all'art.15, comma 2 così recitava:
“L'ordinamento
degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui
liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia
amministrativa e finanziaria”.
Questa norma, per dirla tutta, non è mai stata attuata, pur
trasformandosi nel 1955 nelle appena soppresse Province Regionali.
Dunque, il dibattito si riapre, e Caltanissetta con Enna e Gela
provano a dialogare mettendo in campo temi riguardanti le identità
territoriali e culturali, arricchiti da stimoli sulla governance
provenienti da docenti in rappresentanza degli atenei di Catania ed
Enna. Non sono mancate neppure le proposte sulle significatività da
dare al territorio da parte di tanti altri interventi. In verità, a
mio modesto avviso, il confronto ricco non mi è sembrato però
percorrere il solco che voleva e doveva avere una tavola rotonda, su
un tema che andrebbe sviluppato più sul concreto, evitando confronti
sul “si poteva fare” o ancora propedeutici alla politica o alla
dottrina giurisprudenziale.
Provo
allora a dire dal mio modesto punto di vista, come si può affrontare
la questione a partire dal basso, dal cittadino utente della futura
aggregazione comprensoriale. L'obiettivo primario che il mutamento
dell'amministrazione intermedia deve affrontare, deve essere quello
della “felicità” dell'amministrato. Felicità se non in senso
psicologico, almeno in termini di tendenza alla massima soddisfazione
nella fruizione complessiva del territorio e dei servizi in genere.
Se
questo è l'obiettivo espresso in termini semplici, bisogna allora
sapere di quale soggetto, di cittadino medio, non può fare a meno la
nuova aggregazione di persone e territorio. La nuova forma
amministrativa che deve mettere insieme vari comuni, nella sua
dimensione “civica” con questo ambizioso obiettivo, deve sapere
se esistono le condizioni per le quali il singolo intende mettere a
disposizione degli altri un rinnovato rispetto per le regole di tutti,
la sua partecipazione nella difesa del bene comune, la sua mutua
scambievole solidarietà,
etc.. Insomma, se al cambiamento intende partecipare e in quale
misura.
Questo
minimale approccio di civismo deve essere il minimo comun
denominatore da cui muovere, perché basilare per un processo che
dovrà rivoluzionare il modo di vivere associato delle generazioni
attuali e future. É questa la proiezione d'identità del “campanile”
e del suo appartenere ad una aggregazione più estesa che, come in un
mantra, deve saldare i vari Comuni.
Riferendoci
ora all'unione dei territori comunali per formare un libero
consorzio, allegoricamente potremmo paragonarlo ad una
società per azioni dove il prodotto è la vivibilità dei cittadini
e ogni Comune partecipa con la proprie “azioni”. Il capitale
umano, per primo ma anche il territorio fisico, i beni culturali e
ambientali, le opportunità territoriali economiche (potenziali e in
atto), le infrastrutture di collegamento (a rete e puntuali), le
risorse idriche ed energetiche (elettriche e termiche), lo
smaltimento dei rifiuti, nel loro insieme, dovranno costituire quel
capitale comune utile per affrontare la sfida che attende le nuove
aggregazioni di Comuni. Intendendo per sfida la pervicace voglia di
fare da soli per una vivibilità al meglio dei cittadini che hanno
deciso di unirsi in un'unica realtà territoriale, in sostituzione di
una provincia obsoleta e stanca, mossa da automatismi oramai fiacchi
non sempre rispondenti alle vere necessità della comunità
amministrata.
Quale
governo ipotizzare per i liberi consorzi comunali ci viene indicato
dal dibattito cui siamo giunti in merito alle governance in
genere. Gli italiani chiedono meno burocrazia, costi contenuti,
sobrietà, funzionalità ed efficienza, nonché la separazione delle
responsabilità politiche da quelle tecniche realizzative. Secondo
questo orientamento generale si può pensare di individuare gli
organi del nuovo Ente (meglio sarebbe chiamarlo comprensorio) a
partire da un'Assemblea,
composta dai sindaci dei comuni appartenenti al libero consorzio che
elegge il Presidente, con un sistema di voto ponderato
in rapporto alla popolazione di ciascun Comune. La stessa Assemblea
esprime anche una Giunta composta da 3/5 componenti
formata dagli x Comuni col maggior numero di abitanti che elegge un
suo Presidente.
A
governare l'attuazione delle scelte politiche dovrebbe essere
delegato un
City Manager assunto
dal Consiglio di Giunta, strettamente in considerazione delle sue
capacità manageriali escludendo dalla scelta ogni eventuale
prevalenza per appartenenza politica. Questi, andrà
assunto
come realizzatore dell'espressione politica con contratto a tempo
indeterminato ma con la facoltà per il Consiglio di Giunta di
poterlo licenziare in ogni momento.
Strutturalmente,
l'organizzazione del Libero Consorzio non può non partire da una
composizione territoriale. Il punto di partenza di tutto deve essere
rappresentato dal territorio in senso spaziale ed organizzativo sia
di livello che di scala. I tempi di percorrenza, perché un servizio
sia relativamente fruibile con il minor disagio possibile per
l'utenza, per esempio, possono essere stabiliti mediante isocrone
applicate ai servizi di base (sanità, istruzione e formazione,
accesso ai beni territoriali in genere, etc.).
L'ottimizzazione,
secondo gli esistenti punti fissi (l'attuale localizzazione, per
esempio, dei servizi sanitari) e le variabili (nuovi servizi da
ubicare) nonché i limiti (per esempio delle distanze) stabiliti non
valicabili nel sistema
dei servizi,
per un'equa ridistribuzione, deve rappresentare il tracciato da cui
muovere per meglio organizzare la base per le varie utenze.
Senza
alcun indugio, l'esistente va esaltato, valorizzato ma anche
razionalizzato. Il libero consorzio, dunque, dovrà disporre al
meglio delle risorse umane, dei servizi di trasporto in termini di
circolazione veicolare ma, soprattutto, delle informazioni (con
cablatura in fibra ottica di ultima generazione) le quali riducono il
traffico motoristico trasformandolo in traffico
di rete
(web). Sapendo, che è meglio far viaggiare le informazioni che non
le persone. Ovviamente non basta razionalizzare uomini e mezzi,
assumere nuove tecnologie se non si opera in maniera sistemica e
sinergica. l'ammodernamento delle funzioni e dei servizi deve anche
essere accompagnato da nuova linfa nelle varie istituzioni locali:
Comuni in testa.
In
termini economici vanno recuperate le dimenticate vocazioni
territoriali come attrattive e occasioni di lavoro. Le produzioni in
piccole serie di prodotti alimentari dei nostri Comuni tanto care a
chi vive fuori dal proprio territorio di origine, possono diventare
business
con aree assai più lontane della stessa Europa. Il commercio, il
turismo con un Libero Consorzio (smart)
alle spalle possono migliorare e ampliare i propri circuiti e i
consumatori/fruitori.
Al
cittadino del nuovo consorzio spetta di scegliere. Sapendo che il
destino di ciascuno dipende in massima parte da noi stessi. Alle
amministrazioni locali, invece, compete la capacità di indurre
partecipazione e responsabilizzazione nelle scelte, le quali debbono
essere meno campanilistiche e più comunitarie.
Per
concludere, qualche esempio per tutto la gestione dei rifiuti per
prima. Nel principio per un'etica della responsabilità la produzione
e lo smaltimento in termini morali debbono, senza se e senza ma,
elidersi localmente.
L'approvvigionamento
idrico, non può essere delegato ai privati e la restituzione delle
acque reflue ai naturali alvei del suolo, deve essere depurata e
ritardata al massimo; gli inquinamenti vari di suolo, acqua ed aria
vanno abbattuti e combattuti.
Per
concludere, il nuovo strumento di aggregazione territoriale ha due
possibili sbocchi: quello dell'opportunità o quello della
conservazione. Può rimanere una somma di comuni e delle loro
popolazioni o diventare elemento di rilancio socio-economico tanto agognato, ma sempre rimandato o disatteso.
Giuseppe Cancemi
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sabato 12 luglio 2014
Breve nota sulle nuove emergenze per Caltanissetta
Facciamo tutti qualcosa!
A
parte gli obiettivi a breve scadenza nei primi 100 giorni di una
città più accogliente che la città si aspetta, le emergenze
comunque non possono essere rinviate o disattese. Senza lasciarsi
prendere dall'abbraccio mortale del rincorrere i problemi anziché
gradatamente risolverli e prevenirli. Peggio ancora l'adagiarsi sul
tirare a campare. Le realtà come i bisogni alimentari giornalieri,
un tetto per i rifugiati e diseredati, i disagi abitativi gravi e la
mancanza di lavoro rimangono una priorità non rinviabile. La città
soffre mali endemici aggravati da ulteriori nuove emergenze che
hanno bisogno dell'aiuto di tutti. Il volontariato cattolico e laico,
i comitati di quartiere e le singole famiglie, persone che possono e
vogliono partecipare alla rinascita di una comunità più solidale,
hanno l'occasione per spendersi. In Europa, per semplice spirito di
solidarietà tra persone che auspicano e agiscono per un mondo meno
consumista, hanno cominciato a combattere, per esempio lo spreco,
organizzandosi anche come rete, nella raccolta di quel cibo che
quotidianamente si butta nella spazzatura per vari motivi. Le aziende
di catering,
i supermercati, i ristoranti, i panifici, i mercati di frutta e
verdura, le mense, etc. sono luoghi che giornalmente smaltiscono cibo
in ottime condizioni igieniche e nutrizionali, nella pattumiera.
Ecco che una rete organizzata anche informaticamente con raccoglitori di
questi avanzi di cibo può funzionare per aiutare le persone
disagiate, le quali in città non mancano, e facilitare dall'altro uno
smaltimento costoso e per alcuni casi anche inquinante. Di ruderi, di
case abbandonate il territorio e la città stessa di Caltanissetta sicuramente ne
dispone. Catalogando, organizzandosi e organizzando si possono creare
occasioni di lavoro e di aiuto per gli anziani, i rifugiati e
comunque per i disagiati in genere. Una pulizia, una rimozione e/o
manutenzione degli orpelli infrastrutturali e di arredo,
straordinarie, che possono ciclicamente è programmate diventare nel
tempo ordinarie, sono uno start
potenziale valido prima di tutto per le risorse umane, che può
tramutarsi in sicuro volano per una riscossa della città. Un sistema
di buoni-lavoro, voucher,
può essere messo in atto per avviare un lavoro che non c'è. Piccole attività guidate anche semplici, brevi temporaneamente ma utili a cancellare il
degrado più appariscente della città, si possono mettere in "cantiere" con la partecipazione anche di ragazzi over
15, ovviamente tutto, in ossequio alle leggi sul lavoro e
particolarmente su quello minorile. Le risorse economiche impiegate
in questo modo sono doppiamente utili: da un lato danno dignità,
avviano al lavoro e dall'altro rendono consapevoli e partecipi molti di quegli
utenti della città da sempre, diciamo, ignari della cosa pubblica e
da ora in poi probabilmente sempre più rispettosi di ciò che è di
tutti.
Giuseppe Cancemi
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sabato 17 maggio 2014
Belluno: Piazza dei Martiri
Estetica sì, ma... la statica?
Nella bella stagione e quando le
condizioni atmosferiche lo consentono, specie nei giorni festivi e
prefestivi, Piazza dei Martiri è allietata dalla presenza di bambini
e ragazzi che giocano e si rincorrono sotto l'occhio vigile di nonni
e genitori. La parte di lussureggianti fronde di quella piazza è
quella che accoglie di più bimbi e adolescenti, la cui fantasia nei
loro modi di giocare, non di rado, risulta essere imprevedibile.
In questi giorni, durante questo tardo
risveglio della primavera, è possibile incontrare e vedere i
giardinieri comunali all'opera: chi tosa l'erba, chi ritocca le
piante ornamentali e perfino chi crea figure con piante e fiori di
vario tipo. Insomma, è il momento in cui la fantasia e l'arte dei
giardini si manifesta. In una di queste creazioni mi è capitato di
vedere una monumentale composizione di sovrapposti contenitori in
legno (parallelepipedi), ruotati di 90 gradi l'uno dall'altro, ricchi
di piante ornamentali e secondo un asse non verticale. Osservando
proprio questa composizione in verticale che ha l'altezza di un
bambino, anche gradevole nella sua asimmetricità, per un momento mi
è balenato nella mente il pensiero della sicurezza. La mia
preoccupazione si faceva dubbiosa nella staticità. Secondo il mio
modesto avviso il non allineamento verticale se sollecitato può,
rovinosamente, cadere su quel fianco non in asse, punto debole,
facilmente raggiungibile da un bambino.
La presenza dello stesso giardiniere
che lo stava creando ha fatto ardire la mia preoccupazione verso chi
operava, il quale, volgendomi uno sguardo seccato e di sufficienza
prima e le spalle dopo giustificava “l'opera” non pericolosa
perché in un'aiuola non si deve entrare. E qui mi fermo con il
fatto!
Il rischio che si possa ribaltare quel "totem" forse è remoto o anche inesistente, ma il mio commento a questo punto vorrei
che fosse un timore avvertito, come pubblica vigilanza nel prevenire, nel segno di una regola aurea che andrebbe applicata su tutto. La statica, in ogni
caso... viene prima dell'estetica! Ma, data l'occasione, vorrei infine rivolgere un'ingenua domanda all'ufficio tecnico comunale: c'è una vigilanza,
con tecnico abilitato, che alla fine assevera ogni esecuzione “a
regola d'arte” anche di queste apparentemente innocue collocazione di arredi urbani, o
si aspetta che prima si verifichi l'incidente e poi ci si attrezza?
Giuseppe Cancemi
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domenica 27 aprile 2014
Risorse economiche, pubblicità negli ospedali e SALUTE
RIFORMA STRUTTURALE E PUBBLICITÀ NEGLI
OSPEDALI
Per le Unità
Sanitarie Locali le risorse economiche si fanno sempre più scarse
come conseguenza di un trend, nell'assegnazione dei finanziamenti,
già da tempo negativo. L'Ulss di Belluno già qualche tempo fa,
avendo operato con sempre minori disponibilità finanziarie, ha dato
un suo segnale. L'auto blu del direttore per prima è stata messa in
vendita e, di recente, ha iniziato a razionalizzare l'uso dei suoi
immobili e dei spending
review. Tutti gli Enti territoriali hanno cominciato a escogitare
qualcosa per fronteggiare il contrasto tra il crescere delle esigenze
dei servizi locali e il diminuire delle risorse. La grande
Milano, per esempio,
per arginare la tendenza dei finanziamenti sempre più scarsi,
negli Istituti Clinici di Perfezionamento e nelle Aziende Ospedaliere
ha cominciato a fare “cassa” dando corso ad un affido
pubblicitario che propaganderà all'interno delle strutture
ospedaliere determinati prodotti in commercio. La novità si muove
secondo l'ambito di
un
progetto
denominato “Partner Sanità”, in via di sviluppo, che è
presente
in Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia ed Emilia Romagna.
relativi servizi avendo, penso, come obiettivo il mantenimento inalterato del presidio sanitario locale. Dalla diffusa scarsità di risorse economiche ne consegue una necessaria razionalizzazione delle spese con tagli e trasferimenti, che si va diffondendo.Insomma, va emergendo una revisione della spesa pubblica in tutt'Italia che, come sappiamo, prende il nome anglosassone di
relativi servizi avendo, penso, come obiettivo il mantenimento inalterato del presidio sanitario locale. Dalla diffusa scarsità di risorse economiche ne consegue una necessaria razionalizzazione delle spese con tagli e trasferimenti, che si va diffondendo.Insomma, va emergendo una revisione della spesa pubblica in tutt'Italia che, come sappiamo, prende il nome anglosassone di
Gli eventi appena
accennati di ridimensionamento delle strutture a presidio della
salute e la nuova opportunità di integrare le risorse economiche di
gestione sono prossimi e pongono alcuni legittimi quesiti: siamo
sicuri che la razionalizzazione strutturale non inciderà sul
mantenimento degli standard finora assicurati? Come pensa di
attrezzarsi l'Ulss bellunese per affrontare, eventualmente, la
pubblicità nelle strutture sanitarie che va diffondendosi? E nel
caso di ipotizzabili concessioni, si prevede una qualche “Commissione
etica” o altro “filtro” allo scopo di vagliare quale
propaganda consentire?
Gli
interrogativi che sono stati posti, trovano ragion d'essere per un
legittimo timore sul mantenimento della qualità dei servizi erogati
dall'Ulss e sulla probabile nuova apertura agli spazi pubblicitari
che, se non governata, rischia di invadere luoghi solitamente
tranquilli e finora quasi protetti da irruzioni reclamistiche
visive/auditive fine a se stesse.
La
volontà di acquisire risorse per migliorare/mantenere gli standard
di una buona sanità con questa tendenza, sicuramente inarrestabile,
ci auguriamo, che non faccia perdere di vista la delicatezza
dell'ambiente sanitario.
I
pazienti, i relativi familiari e comunque ogni altra persona presente
nelle strutture sanitarie, non si trova lì per caso e non si trova
in uno stato d'animo capace di sopportare le varie forme subdole o
scoperte di messaggi ingannevoli di cui la pubblicità non è immune.
Dunque, ogni introduzione di pubblicizzazione, se con fini
informativi e scevra da ogni carattere illusorio opportunamente
filtrata, se non invasiva, potrebbe essere accolta ma
sempre con relativa prudenza.
La nuova
maniera di promuovere i vari prodotti commerciali, all'interno delle strutture sanitarie, non potrà
comunque, e non dovrà, sottrarsi ad una scelta strategica
pubblicitaria, nel rispetto che la sensibilità delle presenze in
quei luoghi impone.
Giuseppe
Cancemi
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