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mercoledì 12 novembre 2014

BELLUNO: PRG e Zone bianche

Inconciliabilità tra sicurezza del territorio e nuovo volume edilizio 

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Il mai sopito mercantilismo economicistico dell'Amministrazione cittadina, intende ancora prevalere sul buonsenso e su una inversione culturale che si affaccia alle diverse tendenze culturali urbanistiche. I danni del maltempo di questi giorni, imputati in parte alla tropicalizzazione del clima cui stiamo assistendo, dovrebbe insegnarci qualcosa? O no! Tutti i danni del territorio vengono sì anche da lontano, ma il lontano è l'accumulo degli errori che si sono commessi e si continuano a commettere, senza soluzione di
continuità, in una aberrante quotidiana gestione della città. Ma niente, imperterriti si vuole continuare a costruire e ad urbanizzare oltre ogni limite imposto dalla natura e così poi, essendo tutti colpevoli, nessun è colpevole e chi paga è sempre la collettività. Tutti riconoscono che i disastri del proprio territorio sono il risultato delle cementificazioni, spesso non necessarie, ma la eventuale responsabilità difficilmente è riconosciuta e imputabile a qualcuno. Al massimo, si attribuisce ad ignoti altri. Tutti, si stracciano le vesti per una mancata sicurezza del territorio in termini di prevenzione idraulica, geologica e idrogeologica. Infatti anche a Belluno si parla con lingua biforcuta: si vuole da una parte fermare il consumo di suolo e proteggere il territorio, dall'altra si continua a promuovere nuova urbanizzazione. E no! Non ci si può continuare a nascondere dietro un dito. Dovrebbe essere illuminante il fatto che le maggiori organizzazioni che raccolgono artigiani e imprenditori dell'edilizia hanno da tempo pubblicato un manifesto dove si esprimono per un freno assoluto alla cementificazione. Dicono basta al consumo di suolo! La legge regionale dietro cui si trincera il lassismo urbanistico cittadino, non va letta in chiave diversa da quello spirito che l'ha generata. Nel governo del territorio e del paesaggio non può essere implicita alcuna mano libera a coloro che vogliono nuove costruzioni. Di nuova edilizia, di case sfitte ve n'è sono abbastanza e comunque non certo in previsione di una soddisfazione del bisogno di abitazioni. Non c'è nello sbandierato disegno urbanistico (sic!) di volume che si sposta a una parte all'altra della città alcuna possibilità di smaterializzazione. Tutti capiscono che un volume che si aggiunge, resta tale anche se spostato da un luogo all'altro. E senza volere fare alcuna provocazione, credo che anziché aggiungere dovremmo pensare di sottrarre volume al territorio, se si vuole veramente fare prevenzione ai disastri.
Decostruire, non è più un astratto imperativo o un'eresia ma piuttosto una necessità se si vogliono sciogliere tutti i nodi dell'abitare nel nostro territorio che oramai sono giunti al pettine.

Giuseppe Cancemi 



martedì 11 novembre 2014

FORMAZIONE DEI PIANI DI RECUPERO DI CALTANISSETTA (2013)



(Nota di Giuseppe Cancemi)



Le esigenze di recuperare un centro storico, in generale, non sono nuove. Caltanissetta, per l'ennesima volta e con grande ritardo rispetto al contesto italiano, si cimenta con una nuova proposta progettuale di riutilizzo-rinnovo a partire dal quartiere “Provvidenza”. La premessa che muove il Piano di Recupero, cerca di giustificare le proprie scelte ritenendo di essere “ in linea con le direttive nazionali e comunitarie” e motivando un fine che è quello di “contenere il consumo del territorio”. Sostiene di adottare un criterio improntato all'ecocompatibilità, al recupero delle valenze architettoniche, e avanza anche, tra le “nuove esigenze” irrinunciabili dei luoghi, requisiti di “accessibilità - anche carrabile”, assai discutibili.

La relazione del nuovo Piano di recupero dopo 30 anni e alcuni passaggi oramai storicizzati, rivela un'unica tendenza: l'attesa ripagata dal tempo, dei prevedibili crolli per vetustà, che ripropone alla fine, un antico disegno di politica urbanistica orientato ad una edilizia, per il centro storico, sostitutiva dell'esistente. La nuova (si fa per dire) tendenza nelle scelte di quest'ultimo piano di recupero, a distanza di altri precedenti tentativi, fa emergere la pervicace volontà politica di volere a tutti i costi sostituire il «vecchio» col nuovo. Un passo della revisione del P.R.G. dell’anno 1982 riportata dalla relazione, a proposito dei passati Piani di Recupero ai sensi della L.N.457/78 usato a suffragio delle tesi sostenute dai redattori del PR così si esprime: ”Nelle more della redazione di tali Piani, gli unici interventi ammissibili potevano essere”, solo, “quelli di manutenzione ordinaria, straordinaria e” di “risanamento conservativo”. Per inciso, termini corretti nel restauro dei centri storici sostenuti dalla cultura urbanistica corrente ma evidentemente non condivisi, poiché utilizzati in un ragionamento del tipo: prima non si poteva intervenire in modo diverso da quello prescritto, ora sì.

Il tempo, è stato galantuomo (sic!). I quartieri della Provvidenza man mano che crollano sono ora transennati per pericolosità e pronti a ogni soluzione di nuova edilizia.
Verrebbe da dire... ci siamo! Con l'emergenza sicurezza si può e si potrà giustificare tutto.
Il Comune nel timore che si verifichino crolli a danno degli abitanti del c.s. si attrezza per operare senza veti. Il passaggio è lineare: con il timore dei crolli, lo scopo preventivo del Comune consente di provvedere ad allontanare gli occupanti delle abitazioni pericolanti in c. s. e si barricano gli accessi al quartiere in attesa di potere intervenire secondo una logica prevalentemente «modernizzativa» a partire degli slarghi, alcuni già oggi diventati parcheggi per auto. Vedasi esempio in foto di immagine documentata nella relazione del Comune di Caltanissetta.




Foto di Leandro Jannì


Pericolosa tendenza annunciata: largo alle auto


In clima di emergenza scompare ogni precauzione e interesse per il destino dei nuovi sfollati (tali per condizioni economiche precarie) che per questa tendenza si candidano con molta probabilità a formare le baraccopoli nissene. Già in passato gli abitanti della Provvidenza erano degli invisibili, non venivano considerati nei cosiddetti piani di recupero, figurarsi ora che i crolli incombono.

La ricca documentazione fotografica del degrado nella formazione dei piani di recupero, riportata nella relazione dell'ufficio tecnico comunale, preconizza la “soluzione finale”.

Nella formazione del Piano, la relazione, com'era prevedibile nella logica delle città materiali, esamina la presenza degli abitanti - incidentalmente e senza dati recenti - evidenziando uno spopolamento del c. s. nella dinamica complessiva dell'occupazione degli immobili a fronte di ripopolamento con persone non italiane. Evitando di entrare, per esempio, nel merito della composizione della proprietà immobiliare e la tipologia degli attuali abitanti. In buona sostanza viene rafforzata la necessità di intervenire per motivi igienici, di decoro e di stabilità degli immobili. Nessuna relazione con le esigenze abitative dei nisseni e non.

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In sintesi

Dalla relazione emerge la logica dell'emergenza eletta a metodo. Aspettiamo... con i crolli la necessità di allontanare gli abitanti (prima più difficile) ora si fa cogente e si può anche diradare a misura (si fa per dire) d'auto. Si può costruire il nuovo. Manifestamente sembrerebbe l'unica possibilità. Con ruderi irriconoscibili la demolizione e ricostruzione con aumento della volumetria in verticale, il diradamento in orizzontale per parcheggi e l'allargamento di strade saranno accettati perché apparentemente indolori.

Se la partecipazione alla formazione dell'ennesimo piano serve a corresponsabilizzare una scelta non solo urbanisticamente da retrovia ma soprattutto etica, la risposta, a mio avviso, è no!

La sfida che si può lanciare, invece, deve puntare ad un recupero tendenzialmente conservativo e sostenibile. Si deve partire dalle esigenze dei futuri cittadini abitanti di un ambiente urbano storico a misura d'uomo com'era.
L'insediamento previsto, pur senza uno studio sociologico che doveva essere approntato, si può ipotizzare formato da anziani, giovani coppie, singoli, tra i quali nuclei familiari con poche risorse economiche.

Gestione

Con le strategie giuste e con un patto di solidarietà da inventare, si possono organizzare sistemi di partecipazione al restauro, affiancate da corsi di formazione professionale indirizzata al recupero edilizio per piccole imprese e lavoratori con contratti ad hoc sostenuti da Comune, IACP, cooperative, privati, cassa edili, sindacati, confindustria, imprenditori, lavoratori-corsisti, ecc.

Le risorse economiche dovranno essere reperite, tra finanziamenti agenda 2000, cassa depositi e prestiti, BOC, finanziamenti IACP e cooperative, finanziamenti prima casa, capitali d'investimento privati, nonché banche, specie le locali, attraverso le quali con garanzie pubbliche, dovranno essere indotte ad erogare anche piccoli prestiti. I cittadini tutti, gli interessati per primi, coinvolti nei vari passaggi: dal progetto ai finanziamenti alla realizzazione, assumeranno il ruolo di protagonisti del cambiamento. Il Comune dovrà fondare un ufficio casa perenne per seguire tutte le operazioni di recupero.
Le proprietà pubbliche recuperate per prime, dovranno servire da spore per innescare un processo virtuoso di parcheggio in attesa del restauro, formazione/collaborazione, restituzione e così via.
Quali agevolazioni si possono attivare riguardano: le facilitazioni burocratiche, la riduzione degli oneri di urbanizzazione, degli incentivi vari sui costi (cantiere, smaltimento sfabbricidi, ecc.) e sulle scelte di sostenibilità.

Quale restauro

In merito alla sostenibilità vanno orientate scelte di interventi che tengano conto della bioarchitettura (verifica della presenza del gas radon, basso in/out energetico, cappotto termico ecc.).
Risparmio idrico, con recupero delle acque piovane e/o ricircolo delle acque grige
Risparmio energetico (pannelli fotovoltaici, energia solare-termica) Eventuale sperimentazione di teleriscaldamento con TOTEM e/o geotermia
Efficienza energetica su tutto, elettrica e termica.

La vera sfida va concretizzata confutando la ricostruzione e/o diradamento (data per scontata per i ruderi) con il mantenimento del disegno urbanistico del luogo (es. della Provvidenza con caratteristiche ippodamiche). Cioè, mantenendo la maglia urbana del quartiere, scongiurando il preteso sacrificio della dimensione ad uomo per sostituirla con quella a misura di automobile (impossibile) per vari motivi. Non necessariamente costituzione di volumi in altezza consimili ai precedenti ma livellamento, eventualmente, in basso per lasciare passare la luce la dove si ricostruisce e liberazione da superfetazioni per spazi di preesistenti, cortili, giardini e slarghi interni con pozzi.


Tipi di intervento

Acquisizione (o intervento con partenariato Pubblico/privato) di immobili privati in centro storico per la loro valenza storico-urbanistica, da consolidare ristrutturare e restaurare e da destinare agli usi pubblici previsti dal piano particolareggiato o di comparto. Possono altresì, allo stesso scopo, essere acquisiti immobili diruti o non abitabili per essere destinati dopo la loro sistemazione ad edilizia residenziale pubblica (case parcheggio, alloggi, immobili di scambio).

Il recupero deve essere occasione di opportunità per crescere, non scusa per dare al centro storico un nuovo che modifica, cancella i segni del passato, mortifica l'immagine di Caltanissetta.

Belluno, 24/2/2013


Riqualificazione del centro storico


RIQUALIFICARE IL CENTRO STORICO Sì, MA CON QUALI RISORSE, QUALE PROGETTUALITA' DI RIFERIMENTO A BREVE, MEDIO E LUNGO TERMINE?

L'operazione "Riqualificazione del centro storico", è un atto di rilevante valenza politica per la sua ricaduta sull'assetto socio-economico della città di Caltanissetta. L'incidenza che avrà sul patrimonio immobiliare e sulla vita delle persone, abbraccia un lungo periodo che va al di là dei tempi amministrativi che possono gestire questo o quel partito favoriti o meno dalle elezioni prossime e future. Per tale motivo, trasparenza e partecipazione democratica alle scelte fatte e da fare non sono un optional e dunque necessarie per tutti.
Posto preliminarmente questo preambolo, si può tentare di avviare una iniziale ricognizione dei fatti, attraverso una dispersa documentazione, non semplice da reperire. L'annuncio, rilevabile dalla rivista Caltanissetta n. 54, è sì un primo approccio alla comunicazione di un evento urbanistico di rilievo ma non soddisfacente. Andando a cercare in altri documenti come il protocollo d'intesa tra Comune e IACP si apprende che nei comparti 128 e 129, attraverso linee ed azioni programmatiche di insieme definite di riqualificazione e statutarie d'Istituto Comune e IACP intendono lavorare in sinergia.. Per questa intesa di partenariato, del 3 febbraio 2013 tra i due enti, nel documento sottoscritto, muovono da una svolta "attività monitoraggio", successivamente "crono-organizzata", intervenuta da due direttive dell'assessore all'urbanistica.

Una successiva delibera, del Consiglio comunale citata, ha individuato quali azioni di riqualificazione si intendono fare in centro storico; quale gruppo di lavoro sarà incaricato e quali saranno "le forme di urbanistica partecipata”, prevedendo un “contributo volontario e gratuito” ai “professionisti per la redazione di iniziativa pubblica dei piani di recupero".
A volersi per un momento soffermare su questi atti, viene subito da chiedersi: si sono spiegati male o hanno sorvolato agli adempimenti che presiedono un simile impegno urbanistico?
L'azione di monitoraggio che ha impegnato i tecnici che significa? Non doveva essere organizzato il tutto con un quadro gestionale fatto di strumenti legislativi e di riferimento; un quadro finanziario di breve, medio e lungo periodo; con un esame del costruito e un'analisi sociologica?

Giuseppe Cancemi

lunedì 10 novembre 2014

PRESTAZIONE PROFESSIONALE

Può essere gratuita, in qualche caso, come nuova forma di libertà, solidale?



La diatriba che si è accesa non molto tempo fa, tra i pro, forse pochini, e i contro, per lo più gli ordini professionali, merita una riflessione perché, forse, in medio stat virtus. Mi riferisco alla ricerca di collaborazione professionale da parte del Comune “a gratis”, mediante un albo di volontari da utilizzare per occasionali prestazioni senza compenso. Il rifiuto netto degli ordini professionali è stato automatico e senza appello. Per loro, che hanno il compito di tutelare questa o quella determinata professione, le opere di ingegno non possono essere non retribuite. In effetti, se si escludono le questioni di principio, opinabili, giustamente tra una prestazione professionale ricompensata e una no, si
infrappongono ostacoli di ordine generale non trascurabili. Bisogna considerare che, per esempio, per il fisco, una prestazione, specie se ripetuta, può apparire come attività in nero e come tale, per principio, da respingere perché contraria ad ogni etica e onore del professionista. Non meno pesante si presenta, sotto altro profilo, un'attività priva di giusto compenso, potendo apparire perfino come concorrenza sleale se non come fattore che altera il mercato dell'offerta professionale. Il Comune, a mio modesto avviso, nel richiedere l'iscrizione volontaria ad un albo comunale, all'uopo preparato, non mi risulta che abbia stabilito alcun paletto limitativo, nell'eventuale svolgimento della prestazione professionale. Impensabile, dunque, un affido tecnico professionale per una totale partecipazione per impegno, responsabilità e tempi necessari per accompagnare, seguire un'attività, un processo, una progettazione, ecc. di media/alta responsabilità. In buona sostanza, bisognava evidenziare il limite e magari ci si doveva riferire allo spirito dell'art. 118 della Costituzione. Sì perché rifacendosi alla Costituzione con il suo principio di sussidiarietà, poteva meglio disporre la partecipazione e l'aiuto concorrente per fini e attività di interesse generale. A questo proposito qualche Comune in Italia, ha già fatto un proprio regolamento dove, al cittadino che vuole essere attivo, viene data la possibilità di collaborare per la cura e lo sviluppo dei beni comuni. In buona sostanza, al cittadino viene data la facoltà di esercitare una nuova forma di libertà, solidale.
Per concludere, penso, che con l'occasione del nuovo sito comunale in internet, archiviato il discusso albo di volontari, si potrebbe iniziare una nuova forma di collaborazione e partecipazione verso proposte e progetti che il Comune intende condividere. Uno spazio aperto alla consultazione e alla eventuale collaborazione progettuale, on-line, attraverso una semplice registrazione, può aprire per il Comune una varietà di collaborazioni i cui partecipanti non hanno bisogno di iscriversi a nessun albo. Agli uffici comunali e ai relativi professionisti responsabili del materiale messo a disposizione per la collaborazione, resterebbe la segnalazione o il contributo tecnico professionale ed ogni altra forma di espressione collaborativa, utilizzabile direttamente, da rielaborare, oppure da respingere in toto. Insomma, in democrazia e con i mezzi che si hanno a disposizione, la collaborazione dei cittadini-sovrani si può ottenere senza scomodare nessuno, basta solo sapersi organizzare.
Giuseppe Cancemi


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Il titolo dato dal giornale non rispecchia né il contenuto del testo né la volontà di chi scrive.
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Gli esperti si sono presentati. Vedremo come saranno impiegati.
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Nota: trovo interessante, comunque, che ci sia tanta voglia di fare, di dare una mano per migliorare le condizioni della città. Complimenti ai 37



lunedì 20 ottobre 2014

Caltanissetta

ENNESIMO STUDIO PER IL RECUPERO DEL CENTRO STORICO




Leggo, non senza un apprezzamento per la volontà della Giunta Ruvolo, che si sta per riprendere un nuovo corso, per il recupero del centro storico di Caltanissetta. Per questa attenzione che spero sia l'ultima, forse, per mia scarsa informazione, nutro, non da solo, qualche diffidenza e perplessità su un avvio che si annuncia, come altri nel passato recente, ancora una volta solo ed esclusivamente come espressione tecnica.. Forse però, questa volta si differenzia per tipologia del soggetto incaricato: l'ateneo ennese. Viene affidato lo studio, che vuole essere sperimentale, alla Facoltà di Ingegneria e Architettura dell’Università degli Studi Kore di Enna. Tale facoltà, incaricata della conduzione progettuale, ha dichiarato di volere affrontare il suo compito con un laboratorio di restauro, allo scopo di analizzare e classificare il tessuto edilizio e le relative implicazioni che hanno stratificato il nucleo storico di Caltanissetta. L'attività che detto corso si propone, comprende una sinergia con il Sistema Informativo Territoriale Regionale, passando per quella che è oramai l'imprescindibile georeferenziazione dei rilievi eseguiti. Nulla da eccepire, dunque, in quanto il Sindaco Ruvolo sta mettendo in moto per fare uscire dalla secca l'agognato avvio del recupero urbanistico in centro storico. Come accennato, però, mi resta un qualche timore, e cioè che si produca un grande progetto sotto il profilo accademico ma senza avere sciolto alcun nodo (di attuazione politica) di natura preliminare. Ciò posto, provo ad elencare brevemente quali sono le mie preoccupazioni.
Come primo elemento propedeutico, penso, e non da ora, che alla base di qualcosa da realizzare per qualcuno, si deve sapere da dove iniziare e per chi è, o chi sarà, quel qualcuno. In buona sostanza, quale centro storico e per quale città nel suo complesso, e chi sono ora, o chi saranno, gli abitanti nisseni da transitare nel futuro? Secondo, la vastità del c. s. fa pensare ad una operazione di recupero assai lunga nel tempo che impegna l'odierna generazione e, senza tema di smentita, anche qualche altra ancora da venire. Terzo, le risorse da utilizzare per il recupero oggi sono scarse e le previsioni per il futuro non sono certo rosee. Quarto, attualmente le aree del c. s. non sono appetibili per vari motivi, pregiudizi per primi (i cittadini non graditi, da tempi remoti, sono sempre stati confinati nelle stesse aree e, vedi caso, indovinate quali?). Ma gli interrogativi non finiscono qui. Il c. s., anche se non intensamente popolato, ha i suoi abitanti che non sono fantasmi e che nella complessità del piano, vanno considerati ai fini di un inevitabile trasferimento temporaneo (trasporto delle suppellettili, alloggio provvisorio, etc.) quando saranno raggiunti dai lavori di recupero. Eppoi, davvero si conoscono quali sono e saranno le dinamiche anagrafiche, economiche e spaziali attuali e future?
Ecco, credo che anche il migliore degli studi, se ancora una volta darà tutto per scontato e non prenderà, quindi, in considerazione i tratti socio-economici e spaziali di una comunità nei suoi bisogni di risiedere, spostarsi, lavorare, etc., rischia di essere sì un'ottima esercitazione accademica ma con effetti applicativi lontani o estranei ai reali bisogni del contesto urbano.
Spero, che riflettendo anche su queste brevi note, si possano prendere tutte quelle misure che servono per una città, che va vista, letta e progettata attraverso la sua complessità e interezza sistemica.
È convinzione, condivisibile, di J. J. Russeau che "la dove troviamo degli specialisti non troviamo dei cittadini". Si vuole che siano i politici e/o i tecnici a decidere, da soli, delle sorti di una città?
Buona fortuna!


Giuseppe Cancemi

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mercoledì 15 ottobre 2014

PRG BELLUNO

Urbanistica contrattata o furbata per fare cassa?

Con l'annuncio di stampa di qualche giorno fa, la Giunta Massaro, riscopre come processo evolutivo di un già vantato “programma costruttivo” per Col Cavalier, già foriero di nuovi volumi sul territorio, una nuova urbanistica contrattata (sic!) che richiama alla memoria l'imprenditore Berlusconi con le Milano 1 e 2. Una sorta di permuta già nota, apparentemente vantaggiosa per la comunità ma segno che ancora una volta il potere pubblico è favorevole a derogare sul rigore nel governo del territorio.
In effetti l'operazione, con una annunciata modificazione degli indici di edificabilità al Master plan di Cavarzano, intenderebbe spostare una certa quantità di volume edificabile facendolo “saltare” da un posto all'altro in cambio di cosiddette “opere di compensazione”, insomma, senza mezzi termini si vuole ulteriormente raschiare il fondo del barile. Si vogliono “smerciare” i vincoli scaduti di volume progettato per uso pubblico contro vil moneta. In termini molto più crudi, s'intende far ancora cassa a tutti i costi e in tutti i modi. Mi chiedo se quelle aree per opere pubbliche già titolate ora diventate (ritenute) “bianche” appartengono a calcolati rapporti tra standard residenziali e popolazione, o sopravanzano così perché i progettisti li hanno messi lì tanto per gradire, per impedire qua e là che i privati edificassero. Il dibattito urbanistico che non si è mai arreso alla cultura della speculazione edilizia, dilagante - fino a compromettere sempre più il territorio nella sua intrinseca fragilità geomorfologica - si ritrova ancora una volta a subire un arretramento, grazie ad una studiata furbata con la trovata del baratto. Tutto a posto con leggi, regolamenti, e cavilli vari ma come la mettiamo con una realtà fisica che impone sempre più attenzione per una urbanizzazione che sommata ad altra preesistente aumenta il rischio di frane alluvioni e disastri cosiddetti naturali ma che naturali poi non sono. Sa il Comune qual è il bisogno di nuove abitazioni o di nuovi volumi per il commercio e le attività economiche? Ha ipotizzato una qualche previsione di crescita socio-economica alla luce di una evolvente dinamica della popolazione, delle forze lavoro, dei settori economici, dei bisogni per fasce d'età al fine inquadrare e giustificare queste eventuali prefigurate domande di nuova edilizia su aree inedificate? Si è sicuri che le aree per le quali si vuole rinunciare al reitero del vincolo per opere pubbliche (già titolate) non sia più necessario? E le aree “sottratte” a Cavarzano non genereranno un qualche inevitabile contenzioso?
Sembra veramente molto riduttivo, mi perdonino Sindaco e Assessore, e quasi offensivo verso un dibattito sulla governace del territorio, lungo credo di decenni, liquidare in poche informazioni giornalistiche, un serio argomento che investe tutto l'assetto urbanistico della città di Belluno.
Soffermarsi su “incassi” per la vendita di volumetria traslata da altre aree, sia pure in cambio di opere pubbliche vagamente citate nel pezzo giornalistico, sembra quasi voler porre più un accento sull'aspetto economicistico che non sul volere agire con questa operazione “baratto”, in concorso con altre azioni, ad una risistemazione del più complessivo sistema città. L'operazione vendite, non sembra volere affrontare quella gestione urbanistica che proprio per salvaguardare e proteggere il territorio ha bisogno di un governo dei processi a prevalenza pubblica, senza deroghe o cedimenti alle privatizzazioni. Invece appare debole e deludente e di “scopo” l'annunciata speciosa permuta volumetrica. Richiama quasi l'idea immaginaria di un commercio da banchetto, dove le aree, prima riservate ad opere pubbliche, prossimamente, verranno vendute e/o “barattate” come ultimi “scampoli in liquidazione”.
Voglio ancora ricordare che il territorio, visto il repentino mutamento della meteorologia, di queste scelte solo economicistiche potrebbe in un futuro non più remoto pagarne le conseguenze. Riflettiamo... gente. Attenzione!

Giuseppe Cancemi


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Il testo giornalistico di riferimento...

BELLUNO. Le “aree bianche” diventano edificabili. Ma solo su richiesta del proprietario del terreno e sulla base di precisi paletti, che la giunta ha messo per evitare che in zone di pregio sorgano palazzine ingombranti. Inoltre, la volumetria che sarà sviluppata nelle aree bianche sarà “sottratta” a Cavarzano, nella zona destinata allo sviluppo del Master plan. In questo modo non aumenterà la cubatura prevista dal piano regolatore in vigore.
L'assessore Franco Frison sta lavorando da mesi a questo piano e nel prossimo consiglio comunale (e prima in commissione urbanistica) si discuterà della quantificazione economica di questi spazi. Le zone bianche sono aree del territorio comunale sul quale il Comune pensava di realizzare opere pubbliche (parcheggi, per esempio, ma anche piste ciclabili o parchi) e per questo, anni fa, vi ha messo un vincolo. Ai primi cinque anni ne sono seguiti altrettanti, poi la legge, con una sentenza della Corte Costituzionale, ha fatto decadere quei vincoli e le aree sono diventate “bianche”, cioè «prive di una pianificazione urbanistica», spiega l'assessore Frison. Ma sono anche bloccate, cioè il proprietario non le può usare. «Abbiamo alcune richieste da sistemare, per questo dobbiamo arrivare a una quantificazione economica, al metro cubo, di questi spazi».
In pratica, il proprietario del terreno “area bianca” che volesse costruirvi una casa, dovrà pagare una certa cifra al Comune (da stabilire). Solo chi presenterà apposita istanza avrà il terreno edificabile a disposizione, gli altri rimarranno come sono. Da un lato, dunque, ci sarà anche chi avrà un evidente beneficio, perché magari quel terreno 10 anni fa era agricolo e ora può diventare edificabile, ma anche il Comune avrà il suo vantaggio, economico. «In questo modo si trova un equilibrio fra due interessi», precisa il sindaco, Jacopo Massaro. «Quello del privato, che per anni ha avuto un vincolo su un terreno di sua proprietà, ma anche quello pubblico, sia perché è prevista una cifra per l'acquisto della volumetria, sia perché abbiamo posto precisi paletti all'edificazione».
L'acquisto di volumetria, infatti, sarà possibile solo in determinate zone, «ovvero in contesti già urbanizzati» e anche i metri cubi saranno limitati per evitare di veder sorgere condomini dove oggi ci sono prati.
Sono un centinaio le aree bianche in comune; per consentirne l’edificazione sarà tolta volumetria a Cavarzano, nell'ampia area dove da anni si parla del Master plan. Un bilanciamento per mantenere la stessa volumetria prevista nel Prg: «Avevamo la necessità di risolvere aspettative legittime di alcuni cittadini (una decina)», continua Frison.
I soldi che il Comune incasserà per la “vendita” della volumetria serviranno per fare qualche opera pubblica, come parcheggi e ciclabili: «È lo stesso lavoro», conclude Massaro, «che stiamo facendo con i Suap (via Agordo e la Carpenada per esempio): quando un privato ci chiede una variante al Prg, noi chiediamo opere di compensazione a beneficio della comunità. Con le aree bianche succederà lo stesso».
di Alessia Forzin
Corriere delle Alpi del 10 ottobre 2014


domenica 12 ottobre 2014

MOBILITA'

Perché la bicicletta no?



Il mio amico Oscar, inguaribile salutista e ambientalista, da tempo per me rappresenta l'ultimo “panda” deciso a perorare l'uso della bicicletta in città per spostarsi. La rarità di questo stile ecologista negli spostamenti individuali che il mio amico rappresenta, forse, trova una ragion d'essere in una scelta d'uso diffusa di questo mezzo che Caltanissetta non ha mai avuto. Questo inusitato esempio di convinto fruitore delle due ruote, mi rappresenta, come il grillo parlante ( in Pinocchio), quella coscienza che fa riflettere su quale potrebbe essere una possibile sostenibilità del traffico, attraverso una mobilità intelligente, incrementando l'uso delle due ruote. Proprio una riscoperta della bicicletta, mezzo semplice ed economico, potrebbe fare la differenza tra un trasporto stranamente smart e la mobilità attuale. Non siamo certo in Olanda per condizioni orografiche ma soprattutto per cultura cosmopolita per accettare facilmente un avvio o un ravvedimento nello spostarsi in città, avendo a cuore principalmente il bene di tutti.
È difficile nella realtà nissena trovare uno come Oscar, convinto per cultura, che anche nel piccolo di una città dall'assetto urbano non pianeggiante - con due centri direzionali (Piazza Garibaldi e Palmintelli) agli estremi di circa 1000 m di un asse Est /Ovest - esiste la possibilità di circolare con velocipede.
Certo una mobilità ciclistica tra due diverse tipologie di maglie stradali e pavimentazioni a dislivelli vari, fra spazi a misura d'uomo e vie più moderne, non può certo considerarsi di facile utilizzo e dunque per tutti.
In effetti, però, nulla è impossibile. Bisogna solo cominciare a pensare in grande, con visione europea. Non è recente nei trasporti l'idea della mobilità intermodale, che comprenda anche la bicicletta, ma è sempre attuale. Non a caso in altre realtà simili a quella nissena la bici, strategicamente nella mobilità urbana, viene fornita anche gratuitamente per spostarsi da un luogo all'altro in città. È facile immaginarsi allora, quali vantaggi offre una simile scelta a fronte di un investimento che rispetto a tutte le altre spese per il trasporto urbano rimane quello più esiguo. Ma forse, per i nisseni lo scoglio è solo di carattere più psicologico che orografico. Nell'immaginario collettivo, per tradizione, la percorribilità stradale ha troppe salite per muoversi in bicicletta. Si potrebbe argomentare a favore della mobilità ciclistica, che sì è vero che i dislivelli non sono superabili facilmente da tutti nelle condizioni attuali ma è anche facile pensare che esistono strategie di superamento dei dislivelli attraverso tecniche e/o tecnologiche attuabili per mitigare tali limitazioni. Nell'immaginario di Oscar, per esempio, i due centri direzionali già menzionati, possono essere visti come due realtà praticabili, ciascuno con un proprio livello di accessibilità. Un limite alla mobilità tra i due centri, che può sembrare più vistoso, resterebbe quello dello spostamento tra questi mediante la via Palmintelli. Non sto a ricordare che chi ama il mezzo a fini sportivi per una tale salita si farebbe una risata, specie di questi tempi che esistono i cambi di marcia anche nelle bici dei bambini. Ricordo anche che molti Comuni delle nostre Alpi che non sono certo solcati da vie pianeggianti, fanno largo uso delle biciclette per spostarsi, tutto a beneficio della salute e delle tasche.

Mi viene in mente a questo punto che tutto è cambiato, continua a cambiare e che Caltanissetta non può restare inchiodata ai suoi vecchi schemi di una città in cui gli spostamenti non possono annoverare anche le biciclette perché ci sono troppe salite. Scuse da immobilismo conservativo che alle nuove generazioni comincia a stare stretto. È tempo di pensare ad una vera sostenibilità trasporti compresi. Una riorganizzazione della mobilità non episodica o per settori ma con una logica di rapporto infrastrutturale sistemico. Approfittando, per esempio, della recente crisi ciclica dei trasporti urbani, si potrebbe immaginare per Caltanissetta anche l'adozione di un qualche collegamento mediante funivia (da non intendersi solo aerea) anche in funzione degli spostamenti con bici. Nel complesso, il pensare ad un trasporto ecologico, relativamente poco impattante e dai costi contenuti, significa non scartare a priori possibilità come quella citata che allarga gli orizzonti di scelta.
Ecco, una profonda revisione dei trasporti a Caltanissetta, può muovere i suoi passi da nuova cultura della mobilità più sobria. Meno auto private e più trasporto pubblico meno invasivo.
E quale mobilità se non quella a partire del mezzo di trasporto più semplice ed economico qual è la bicicletta?

Giuseppe Cancemi

Pubblicato su LA SICILIA...

CALTANISSETTA, MERCOLEDÌ 15 OTTOBRE 2014

mercoledì 8 ottobre 2014

CALTANISSETTA: Revisione PRG



LE SCELTE URBANISTICHE DEBBONO ESSERE POLITICHE


L'allegato documento che circola, circa una revisione del PRG di Caltanissetta, sembra essere un mix tra un flebile contenuto di scelta partecipata e una staccata burocratica applicazione esecutiva. Sembra marcare un annunciato assemblearismo che può scadere in partecipazionismo fine a se stesso. La riorganizzazione di una città dove i cittadini finora sono rimasti illustri sconosciuti ai cosiddetti piani da sempre studiati rigorosamente solo a tavolino, promuovere assemblee sia pure con la presenza di istituzioni, enti ed associazioni può sembrare “rivoluzionario”, ma tale non è. Enunciare vagamente una riqualificazione del centro storico, una
rivisitazione dell'espansione urbanistica o un'organizzazione viaria non ci entusiasma, anzi ci fa temere altri condivisi e non, prevedibili nuovi scempi. Per esempio, in una città come la nostra, persino semplicemente usare l'espressione espansione dovrebbe essere proibito. Le zone di una città che si è estesa eludendo gli standard residenziali e che ha edificato per oltre due vani per abitante (senza avere risposto alla domanda di casa e di vivibilità), sono sotto gli occhi di tutti.
Ancora una volta non si fa alcun cenno a come far fronte ai bisogni, pregressi e futuri, degli abitanti di risiedere, abitare, spostarsi e lavorare.
Le scelte per la città non sono un fatto tecnico ma solo ed esclusivamente espressioni di volontà politica in cui ai tecnici viene affidata l'interpretazione.

Si prende atto di questo documento che non dichiara una volontà di inversione di tendenza. Ci aspettiamo, comunque, un documento politico di intenzioni dell'Amministrazione circa il prossimo strumento urbanistico che si vuole sottoporre a revisione, avendo in mente un'idea di città come impianto sistemico per un progettato sviluppo prima sociale e poi economico. 

Giuseppe Cancemi 

Allegato:

sabato 9 agosto 2014

ACQUA DEI CITTADINI



L'acqua del Sindaco che reclamizza un risparmio sull'acquisto d'acqua per usi alimentari, è un'idea molto suggestiva, ma non nuova, per il cittadino che compra acqua, cosiddetta minerale, spendendo un aggiuntivo budget straordinario, nonostante la vera acqua del Sindaco la paghi già. Un minimo di riflessione e forse qualche lettura in più qua e là, ci dovrebbe suggerire che la distribuzione idrica in città, così come la conosciamo, ha fatto il suo tempo, e sappiamo che oltre alla sua igienicità e sicurezza oramai conta anche la non più trascurabile attenzione di utilizzo, orientata al risparmio idrico. I distributori d'acqua a costo contenuto, che hanno fatto comparsa in un Comune del nisseno localizzati come le antiche fontanelle pubbliche, sono una nuova trovata (oserei dire un nuovo business) allo scopo di calmierare l'acquisto in termini sia economici che di inquinamento, quest'ultimo, dovuto a milioni e milioni di bottiglie in plastica che entrano nel circuito dello smaltimento. Eppure, molti di quelli che comprano acqua imbottigliata, sono convinti che si tratta della stessa acqua distribuita in città ma confezionata e bell'impacchettata. Effettivamente tutti i Sindaci delle città italiane si affannano a diffondere la certificata potabilità dell'acqua del proprio Comune. A cosa credere? L'acqua del Sindaco ci libererà, in futuro, anche a Caltanissetta dalla schiavitù delle ingombranti bottiglie di plastica?
Proviamo a fare un ragionamento semplice semplice a livello della nostra città. La società che gestisce la distribuzione idrica ci assicura la potabilità dell'acqua nissena, pubblicando nel proprio sito un tabulato nel quale si certifica, la rispondenza, entro i limiti dei parametri rilevati, in un confronto con quelli ufficiali. Non è dato sapere, però, altre notizie che sarebbero state utili per meglio rassicurare il cittadino consumatore. Non sappiamo nulla sui trialometani e sull'arsenico che impensieriscono tanto alcuni Sindaci italiani.
Tornando all'acqua dei nisseni, qualche osservazione nasce spontanea. Nei dati tabulati, per esempio, i campioni analizzati provengono dai prelievi delle varie periferie (quartieri o zone) o sono quelli prelevati alla fonte (serbatoi di distribuzione)? La diversità dei campioni fa sicuramente una certa differenza dovuta ai chilometri di attraversamenti nel sottosuolo, come pure fa differenza la distribuzione a giorni alterni. Senza alcun dubbio la potabilità delle acque destinate al consumo umano corre maggiori rischi di inquinamento nei punti più lontani dalle fonti di approvvigionamento. Ricordo per me stesso, che la vicinanza delle condotte fognarie e l'ossido di ferro che si forma nelle condutture quando la distribuzione si ferma, etc. sono fattori di rischio che minacciano l'acqua cittadina. Per completare brevemente il quadro che accompagna la questione idrica, - meglio sarebbe la sete atavica di Caltanissetta - diventa incomprensibile anche lo spreco che si fa dell'acqua potabile per usi, solo in piccola parte, del bisogno alimentare umano in una realtà dove il soddisfacimento del servizio idrico è carente.
Proviamo ad immaginarci cosa può accadere introducendo alcuni appositi chioschi i quali dovrebbero incidere sulla sicurezza e consapevolezza alimentare, sugli stili di vita e altrettanto favorire in maniera sensibile anche l'economia.
A parte l'effetto tutto solo immaginabile di una fila di cittadini che a turno riempie le proprie bottiglie, alla fine, per semplicemente far circolare meno plastica da smaltire, per Caltanissetta è pura fantasia che, forse, durerebbe qualche giorno.
Piuttosto, meglio sarebbe considerare la questione “prezioso liquido” nella sua interezza (di quantità e qualità), nella complessità sistemica e verso il tracciato di “acqua bene comune” come ritorno a totale proprietà pubblica, reinvestimento degli utili e partecipazione dei cittadini negli organi di controllo”.

Nella nostra città, infatti, i tempi sono maturi per cominciare un nuovo corso di vita associata, proprio dall'acqua. Iniziare a considerare le acque per il loro effettivo uso: agricolo, industriale e civile è il primo passo verso la riduzione degli sprechi sia in termini quantitativi che economici. Il consumo industriale e quello strettamente irriguo non necessitano di potabilizzazione spinta come per le acque necessarie al consumo umano. La città potrebbe iniziare un percorso virtuoso scegliendo di applicare alle ristrutturazioni e alle nuove costruzioni edilizie, la doppia circuitazione idrica. Un sistema misto di circolazione delle acque potabili parallelamente ad altre ciclicamente riutilizzate per i vari consumi idrici nell'uso civile. I vantaggi di una tale scelta sono tanti, basti pensare che il solo trattenere a lungo le acque sulla terraferma mediante il riutilizzo, fa diminuire la necessità delle consistenti scorte idriche. Ma più di tutto vale la pena ricordare che intraprendere la via del risparmio idrico significa mettere in moto una nuova economia che offre lavoro, specializzazione e crea le condizioni per un know-how sicuramente esportabile.

Giuseppe Cancemi
Vedi:  http://gcancemi.blogspot.it/2011/05/acqua-laudato-si-mi-signore-per-sor.html

martedì 29 luglio 2014

LIBERO CONSORZIO


La sensibilità verso i temi dell'ambiente che da anni mostra il Presidente di Italia Nostra Regionale arch. Lendro Jannì, ha fatto ancora centro con la tavola rotonda “Liberi consorzi e territorio. Focus su Sistema Sicilia Centrale”, mettendo cappello su un'importante problematica che riguarda l'istituzione dei liberi

consorzi. Le Province non ci sono più e la Sicilia autonomamente sta già muovendosi verso una riorganizzazione territoriale che dovrà aggregare più Comuni in una amministrazione intermedia tra il singolo “campanile” e la Regione. L'idea, di una nuova aggregazione comunque non è nuova, anzi. Già lo Statuto (1946) della Regione Siciliana all'art.15, comma 2 così recitava: “L'ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria”. Questa norma, per dirla tutta, non è mai stata attuata, pur trasformandosi nel 1955 nelle appena soppresse Province Regionali. Dunque, il dibattito si riapre, e Caltanissetta con Enna e Gela provano a dialogare mettendo in campo temi riguardanti le identità territoriali e culturali, arricchiti da stimoli sulla governance provenienti da docenti in rappresentanza degli atenei di Catania ed Enna. Non sono mancate neppure le proposte sulle significatività da dare al territorio da parte di tanti altri interventi. In verità, a mio modesto avviso, il confronto ricco non mi è sembrato però percorrere il solco che voleva e doveva avere una tavola rotonda, su un tema che andrebbe sviluppato più sul concreto, evitando confronti sul “si poteva fare” o ancora propedeutici alla politica o alla dottrina giurisprudenziale.
Provo allora a dire dal mio modesto punto di vista, come si può affrontare la questione a partire dal basso, dal cittadino utente della futura aggregazione comprensoriale. L'obiettivo primario che il mutamento dell'amministrazione intermedia deve affrontare, deve essere quello della “felicità” dell'amministrato. Felicità se non in senso psicologico, almeno in termini di tendenza alla massima soddisfazione nella fruizione complessiva del territorio e dei servizi in genere.
Se questo è l'obiettivo espresso in termini semplici, bisogna allora sapere di quale soggetto, di cittadino medio, non può fare a meno la nuova aggregazione di persone e territorio. La nuova forma amministrativa che deve mettere insieme vari comuni, nella sua dimensione “civica” con questo ambizioso obiettivo, deve sapere se esistono le condizioni per le quali il singolo intende mettere a disposizione degli altri un rinnovato rispetto per le regole di tutti, la sua partecipazione nella difesa del bene comune, la sua mutua scambievole solidarietà, etc.. Insomma, se al cambiamento intende partecipare e in quale misura.
Questo minimale approccio di civismo deve essere il minimo comun denominatore da cui muovere, perché basilare per un processo che dovrà rivoluzionare il modo di vivere associato delle generazioni attuali e future. É questa la proiezione d'identità del “campanile” e del suo appartenere ad una aggregazione più estesa che, come in un mantra, deve saldare i vari Comuni.
Riferendoci ora all'unione dei territori comunali per formare un libero consorzio, allegoricamente potremmo paragonarlo ad una società per azioni dove il prodotto è la vivibilità dei cittadini e ogni Comune partecipa con la proprie “azioni”. Il capitale umano, per primo ma anche il territorio fisico, i beni culturali e ambientali, le opportunità territoriali economiche (potenziali e in atto), le infrastrutture di collegamento (a rete e puntuali), le risorse idriche ed energetiche (elettriche e termiche), lo smaltimento dei rifiuti, nel loro insieme, dovranno costituire quel capitale comune utile per affrontare la sfida che attende le nuove aggregazioni di Comuni. Intendendo per sfida la pervicace voglia di fare da soli per una vivibilità al meglio dei cittadini che hanno deciso di unirsi in un'unica realtà territoriale, in sostituzione di una provincia obsoleta e stanca, mossa da automatismi oramai fiacchi non sempre rispondenti alle vere necessità della comunità amministrata.
Quale governo ipotizzare per i liberi consorzi comunali ci viene indicato dal dibattito cui siamo giunti in merito alle governance in genere. Gli italiani chiedono meno burocrazia, costi contenuti, sobrietà, funzionalità ed efficienza, nonché la separazione delle responsabilità politiche da quelle tecniche realizzative. Secondo questo orientamento generale si può pensare di individuare gli organi del nuovo Ente (meglio sarebbe chiamarlo comprensorio) a partire da un'Assemblea, composta dai sindaci dei comuni appartenenti al libero consorzio che elegge il Presidente, con un sistema di voto ponderato in rapporto alla popolazione di ciascun Comune. La stessa Assemblea esprime anche una Giunta composta da 3/5 componenti formata dagli x Comuni col maggior numero di abitanti che elegge un suo Presidente.
A governare l'attuazione delle scelte politiche dovrebbe essere delegato un City Manager assunto dal Consiglio di Giunta, strettamente in considerazione delle sue capacità manageriali escludendo dalla scelta ogni eventuale prevalenza per appartenenza politica. Questi, andrà assunto come realizzatore dell'espressione politica con contratto a tempo indeterminato ma con la facoltà per il Consiglio di Giunta di poterlo licenziare in ogni momento.
Strutturalmente, l'organizzazione del Libero Consorzio non può non partire da una composizione territoriale. Il punto di partenza di tutto deve essere rappresentato dal territorio in senso spaziale ed organizzativo sia di livello che di scala. I tempi di percorrenza, perché un servizio sia relativamente fruibile con il minor disagio possibile per l'utenza, per esempio, possono essere stabiliti mediante isocrone applicate ai servizi di base (sanità, istruzione e formazione, accesso ai beni territoriali in genere, etc.).
L'ottimizzazione, secondo gli esistenti punti fissi (l'attuale localizzazione, per esempio, dei servizi sanitari) e le variabili (nuovi servizi da ubicare) nonché i limiti (per esempio delle distanze) stabiliti non valicabili nel sistema dei servizi, per un'equa ridistribuzione, deve rappresentare il tracciato da cui muovere per meglio organizzare la base per le varie utenze.
Senza alcun indugio, l'esistente va esaltato, valorizzato ma anche razionalizzato. Il libero consorzio, dunque, dovrà disporre al meglio delle risorse umane, dei servizi di trasporto in termini di circolazione veicolare ma, soprattutto, delle informazioni (con cablatura in fibra ottica di ultima generazione) le quali riducono il traffico motoristico trasformandolo in traffico di rete (web). Sapendo, che è meglio far viaggiare le informazioni che non le persone. Ovviamente non basta razionalizzare uomini e mezzi, assumere nuove tecnologie se non si opera in maniera sistemica e sinergica. l'ammodernamento delle funzioni e dei servizi deve anche essere accompagnato da nuova linfa nelle varie istituzioni locali: Comuni in testa.
In termini economici vanno recuperate le dimenticate vocazioni territoriali come attrattive e occasioni di lavoro. Le produzioni in piccole serie di prodotti alimentari dei nostri Comuni tanto care a chi vive fuori dal proprio territorio di origine, possono diventare business con aree assai più lontane della stessa Europa. Il commercio, il turismo con un Libero Consorzio (smart) alle spalle possono migliorare e ampliare i propri circuiti e i consumatori/fruitori.

Al cittadino del nuovo consorzio spetta di scegliere. Sapendo che il destino di ciascuno dipende in massima parte da noi stessi. Alle amministrazioni locali, invece, compete la capacità di indurre partecipazione e responsabilizzazione nelle scelte, le quali debbono essere meno campanilistiche e più comunitarie.
Per concludere, qualche esempio per tutto la gestione dei rifiuti per prima. Nel principio per un'etica della responsabilità la produzione e lo smaltimento in termini morali debbono, senza se e senza ma, elidersi localmente.
L'approvvigionamento idrico, non può essere delegato ai privati e la restituzione delle acque reflue ai naturali alvei del suolo, deve essere depurata e ritardata al massimo; gli inquinamenti vari di suolo, acqua ed aria vanno abbattuti e combattuti.
Per concludere, il nuovo strumento di aggregazione territoriale ha due possibili sbocchi: quello dell'opportunità o quello della conservazione. Può rimanere una somma di comuni e delle loro popolazioni o diventare elemento di rilancio socio-economico tanto agognato, ma sempre rimandato o disatteso.

Giuseppe Cancemi

sabato 12 luglio 2014

Breve nota sulle nuove emergenze per Caltanissetta



 IL DISAGIO SOCIALE CRESCE
Facciamo tutti qualcosa!

A parte gli obiettivi a breve scadenza nei primi 100 giorni di una città più accogliente che la città si aspetta, le emergenze comunque non possono essere rinviate o disattese. Senza lasciarsi prendere dall'abbraccio mortale del rincorrere i problemi anziché gradatamente risolverli e prevenirli. Peggio ancora l'adagiarsi sul tirare a campare. Le realtà come i bisogni alimentari giornalieri, un tetto per i rifugiati e diseredati, i disagi abitativi gravi e la mancanza di lavoro rimangono una priorità non rinviabile. La città soffre mali endemici aggravati da ulteriori nuove emergenze che hanno bisogno dell'aiuto di tutti. Il volontariato cattolico e laico, i comitati di quartiere e le singole famiglie, persone che possono e vogliono partecipare alla rinascita di una comunità più solidale, hanno l'occasione per spendersi. In Europa, per semplice spirito di solidarietà tra persone che auspicano e agiscono per un mondo meno consumista, hanno cominciato a combattere, per esempio lo spreco, organizzandosi anche come rete, nella raccolta di quel cibo che quotidianamente si butta nella spazzatura per vari motivi. Le aziende di catering, i supermercati, i ristoranti, i panifici, i mercati di frutta e verdura, le mense, etc. sono luoghi che giornalmente smaltiscono cibo in ottime condizioni igieniche e nutrizionali, nella pattumiera. Ecco che una rete organizzata anche informaticamente con raccoglitori di questi avanzi di cibo può funzionare per aiutare le persone disagiate, le quali in città non mancano, e facilitare dall'altro uno smaltimento costoso e per alcuni casi anche inquinante. Di ruderi, di case abbandonate il territorio e la città stessa di Caltanissetta sicuramente ne dispone. Catalogando, organizzandosi e organizzando si possono creare occasioni di lavoro e di aiuto per gli anziani, i rifugiati e comunque per i disagiati in genere. Una pulizia, una rimozione e/o manutenzione degli orpelli infrastrutturali e di arredo, straordinarie, che possono ciclicamente è programmate diventare nel tempo ordinarie, sono uno start potenziale valido prima di tutto per le risorse umane, che può tramutarsi in sicuro volano per una riscossa della città. Un sistema di buoni-lavoro, voucher, può essere messo in atto per avviare un lavoro che non c'è. Piccole attività guidate anche semplici, brevi temporaneamente ma utili a cancellare il degrado più appariscente della città, si possono mettere in "cantiere" con la partecipazione anche di ragazzi over 15, ovviamente tutto, in ossequio alle leggi sul lavoro e particolarmente su quello minorile. Le risorse economiche impiegate in questo modo sono doppiamente utili: da un lato danno dignità, avviano al lavoro e dall'altro rendono consapevoli e partecipi molti di quegli utenti della città da sempre, diciamo, ignari della cosa pubblica e da ora in poi probabilmente sempre più rispettosi di ciò che è di tutti.

Giuseppe Cancemi

sabato 17 maggio 2014

Belluno: Piazza dei Martiri

Estetica sì, ma... la statica?


Nella bella stagione e quando le condizioni atmosferiche lo consentono, specie nei giorni festivi e prefestivi, Piazza dei Martiri è allietata dalla presenza di bambini e ragazzi che giocano e si rincorrono sotto l'occhio vigile di nonni e genitori. La parte di lussureggianti fronde di quella piazza è quella che accoglie di più bimbi e adolescenti, la cui fantasia nei loro modi di giocare, non di rado, risulta essere imprevedibile.
In questi giorni, durante questo tardo risveglio della primavera, è possibile incontrare e vedere i giardinieri comunali all'opera: chi tosa l'erba, chi ritocca le piante ornamentali e perfino chi crea figure con piante e fiori di vario tipo. Insomma, è il momento in cui la fantasia e l'arte dei giardini si manifesta. In una di queste creazioni mi è capitato di vedere una monumentale composizione di sovrapposti contenitori in legno (parallelepipedi), ruotati di 90 gradi l'uno dall'altro, ricchi di piante ornamentali e secondo un asse non verticale. Osservando proprio questa composizione in verticale che ha l'altezza di un bambino, anche gradevole nella sua asimmetricità, per un momento mi è balenato nella mente il pensiero della sicurezza. La mia preoccupazione si faceva dubbiosa nella staticità. Secondo il mio modesto avviso il non allineamento verticale se sollecitato può, rovinosamente, cadere su quel fianco non in asse, punto debole, facilmente raggiungibile da un bambino.
La presenza dello stesso giardiniere che lo stava creando ha fatto ardire la mia preoccupazione verso chi operava, il quale, volgendomi uno sguardo seccato e di sufficienza prima e le spalle dopo giustificava “l'opera” non pericolosa perché in un'aiuola non si deve entrare. E qui mi fermo con il fatto!

Il rischio che si possa ribaltare quel "totem" forse è remoto o anche inesistente, ma il mio commento a questo punto vorrei che fosse un timore avvertito, come pubblica vigilanza nel prevenire, nel segno di una regola aurea che andrebbe applicata su tutto. La statica, in ogni caso... viene prima dell'estetica! Ma, data l'occasione, vorrei infine rivolgere un'ingenua domanda all'ufficio tecnico comunale: c'è una vigilanza, con tecnico abilitato, che alla fine assevera ogni esecuzione “a regola d'arte” anche di queste apparentemente innocue collocazione di arredi urbani, o si aspetta che prima si verifichi l'incidente e poi ci si attrezza?

Giuseppe Cancemi

domenica 27 aprile 2014

Risorse economiche, pubblicità negli ospedali e SALUTE


RIFORMA STRUTTURALE E PUBBLICITÀ NEGLI OSPEDALI

Per le Unità Sanitarie Locali le risorse economiche si fanno sempre più scarse come conseguenza di un trend, nell'assegnazione dei finanziamenti, già da tempo negativo. L'Ulss di Belluno già qualche tempo fa, avendo operato con sempre minori disponibilità finanziarie, ha dato un suo segnale. L'auto blu del direttore per prima è stata messa in vendita e, di recente, ha iniziato a razionalizzare l'uso dei suoi immobili e dei spending review. Tutti gli Enti territoriali hanno cominciato a escogitare qualcosa per fronteggiare il contrasto tra il crescere delle esigenze dei servizi locali e il diminuire delle risorse. La grande Milano, per esempio, per arginare la tendenza dei finanziamenti sempre più scarsi, negli Istituti Clinici di Perfezionamento e nelle Aziende Ospedaliere ha cominciato a fare “cassa” dando corso ad un affido pubblicitario che propaganderà all'interno delle strutture ospedaliere determinati prodotti in commercio. La novità si muove secondo l'ambito di un progetto denominato “Partner Sanità”, in via di sviluppo, che è presente in Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia ed Emilia Romagna.
relativi servizi avendo, penso, come obiettivo il mantenimento inalterato del presidio sanitario locale. Dalla diffusa scarsità di risorse economiche ne consegue una necessaria razionalizzazione delle spese con tagli e trasferimenti, che si va diffondendo.Insomma, va emergendo una revisione della spesa pubblica in tutt'Italia che, come sappiamo, prende il nome anglosassone di


Gli eventi appena accennati di ridimensionamento delle strutture a presidio della salute e la nuova opportunità di integrare le risorse economiche di gestione sono prossimi e pongono alcuni legittimi quesiti: siamo sicuri che la razionalizzazione strutturale non inciderà sul mantenimento degli standard finora assicurati? Come pensa di attrezzarsi l'Ulss bellunese per affrontare, eventualmente, la pubblicità nelle strutture sanitarie che va diffondendosi? E nel caso di ipotizzabili concessioni, si prevede una qualche “Commissione etica” o altro “filtro” allo scopo di vagliare quale propaganda consentire?
Gli interrogativi che sono stati posti, trovano ragion d'essere per un legittimo timore sul mantenimento della qualità dei servizi erogati dall'Ulss e sulla probabile nuova apertura agli spazi pubblicitari che, se non governata, rischia di invadere luoghi solitamente tranquilli e finora quasi protetti da irruzioni reclamistiche visive/auditive fine a se stesse.
La volontà di acquisire risorse per migliorare/mantenere gli standard di una buona sanità con questa tendenza, sicuramente inarrestabile, ci auguriamo, che non faccia perdere di vista la delicatezza dell'ambiente sanitario.
I pazienti, i relativi familiari e comunque ogni altra persona presente nelle strutture sanitarie, non si trova lì per caso e non si trova in uno stato d'animo capace di sopportare le varie forme subdole o scoperte di messaggi ingannevoli di cui la pubblicità non è immune. Dunque, ogni introduzione di pubblicizzazione, se con fini informativi e scevra da ogni carattere illusorio opportunamente filtrata, se non invasiva, potrebbe essere accolta ma sempre con relativa prudenza.
La nuova maniera di promuovere i vari prodotti commerciali, all'interno delle strutture sanitarie, non potrà comunque, e non dovrà, sottrarsi ad una scelta strategica pubblicitaria, nel rispetto che la sensibilità delle presenze in quei luoghi impone.

Giuseppe Cancemi

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