IL RESTAURO DI UN BENE ARCHITETTONICO NON DEVE ESSERE FATTO IN SOLITUDINE


Una nota pubblicata su LA SICILIA qualche giorno fa, in merito al restauro di
Santa Maria la Vetere, mi suggerisce una riflessione che vorrei
girare al Soprintendente.
I giudizi più o meno
avventati sull'operato di una istituzione preposta alla
conservazione dei Beni Culturali, a mio modesto avviso, nascono
quando la Comunità che ha ereditato e custodisce uno specifico Bene,
non viene informata/coinvolta, in itinere, delle scelte preordinate a
l restauro di quell'opera. Ancora non è una conquista di tutti, la
partecipazione e la condivisione di un così importante rapporto tra
la parte che ha in affido il Bene e quella che è stata delegata
alla sua custodia, alla sua conservazione e mantenimento, il più a
lungo possibile.
Non a caso, in Italia e in
Europa, è stato avvertito il bisogno di una cosiddetta “Carta del
Restauro”. Le linee guida che suggerisce la “carta” sono il
risultato di accese e sempre attuali discussioni in merito al modo di
intervenire.
Se non ricordo male, il
punto fermo che rimane sulle opere di restauro di interesse
architettonico, in linea generale, con eccezioni ovviamente, riguarda
il rifuggire da completamenti in stile o analogici, alterazioni o
rimozioni, aggiunte, etc.. Insomma, nell'intervento, deve sempre
essere tenuta presente l'accezione “conservativa”, nel senso
dell'integrità della lettura di quel “documento” e della sua più
fedele possibile trasmissività ai posteri. Comunque, ogni lecita
critica che può sorgere intorno ad un restauro, se a posteriori, può
apparire come sterile confronto ma non lo è. Semmai, mette in
evidenza quei nodi che ci indicano come si può evitare un
semplicistico giudizio in un rapporto complesso e, a volte,
conflittuale.
Le nuove tecnologie a
disposizione, possono fare cadere quel diaframma che esiste tra la P.
A. (in questo caso la Soprintendenza) e la Comunità. La
pubblicazione in un apposito sito di tutto il materiale che riguarda,
per esempio, un restauro, può diventare “valore aggiunto” che
amplia la storia nella storia dell'opera, e non rimanere oscuro
lavoro, in polverosi archivi, di “soloni” che decidono per tutto
e per tutti con una delega che non può più essere in bianco.
Si sa che tra i documenti
suggeriti dalla “Carta del Restauro”, solitamente le
Soprintendenze annoverano una relazione preliminare sullo stato di
fatto iniziale, sulle vicissitudini conservative e una progettualità
di quanti e quali interventi debbono preservare e conservare il Bene
Architettonico. Tutto, con un corredo di foto del prima e del dopo,
le tecniche di intervento, nonché le relative implicazioni di
carattere fisico, chimico, ambientale e antropologico richiesto come
dossier che deve accompagnare l'opera.
Bene! La Soprintendenza
di Caltanissetta, cominci con Santa Maria la Vetere ad inaugurare un
New Dial della
Cultura. Pubblichi in
rete, tutto il materiale di studio e di progettazione che ci ha
consegnato quel restauro.
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Una nota pubblicata su LA SICILIA qualche giorno fa, in merito al restauro di
Santa Maria la Vetere, mi suggerisce una riflessione che vorrei
girare al Soprintendente.
I giudizi più o meno
avventati sull'operato di una istituzione preposta alla
conservazione dei Beni Culturali, a mio modesto avviso, nascono
quando la Comunità che ha ereditato e custodisce uno specifico Bene,
non viene informata/coinvolta, in itinere, delle scelte preordinate a
l restauro di quell'opera. Ancora non è una conquista di tutti, la
partecipazione e la condivisione di un così importante rapporto tra
la parte che ha in affido il Bene e quella che è stata delegata
alla sua custodia, alla sua conservazione e mantenimento, il più a
lungo possibile.
Non a caso, in Italia e in
Europa, è stato avvertito il bisogno di una cosiddetta “Carta del
Restauro”. Le linee guida che suggerisce la “carta” sono il
risultato di accese e sempre attuali discussioni in merito al modo di
intervenire.
Se non ricordo male, il
punto fermo che rimane sulle opere di restauro di interesse
architettonico, in linea generale, con eccezioni ovviamente, riguarda
il rifuggire da completamenti in stile o analogici, alterazioni o
rimozioni, aggiunte, etc.. Insomma, nell'intervento, deve sempre
essere tenuta presente l'accezione “conservativa”, nel senso
dell'integrità della lettura di quel “documento” e della sua più
fedele possibile trasmissività ai posteri. Comunque, ogni lecita
critica che può sorgere intorno ad un restauro, se a posteriori, può
apparire come sterile confronto ma non lo è. Semmai, mette in
evidenza quei nodi che ci indicano come si può evitare un
semplicistico giudizio in un rapporto complesso e, a volte,
conflittuale.
Le nuove tecnologie a
disposizione, possono fare cadere quel diaframma che esiste tra la P.
A. (in questo caso la Soprintendenza) e la Comunità. La
pubblicazione in un apposito sito di tutto il materiale che riguarda,
per esempio, un restauro, può diventare “valore aggiunto” che
amplia la storia nella storia dell'opera, e non rimanere oscuro
lavoro, in polverosi archivi, di “soloni” che decidono per tutto
e per tutti con una delega che non può più essere in bianco.
Si sa che tra i documenti
suggeriti dalla “Carta del Restauro”, solitamente le
Soprintendenze annoverano una relazione preliminare sullo stato di
fatto iniziale, sulle vicissitudini conservative e una progettualità
di quanti e quali interventi debbono preservare e conservare il Bene
Architettonico. Tutto, con un corredo di foto del prima e del dopo,
le tecniche di intervento, nonché le relative implicazioni di
carattere fisico, chimico, ambientale e antropologico richiesto come
dossier che deve accompagnare l'opera.
Bene! La Soprintendenza
di Caltanissetta, cominci con Santa Maria la Vetere ad inaugurare un
New Dial della
Cultura. Pubblichi in
rete, tutto il materiale di studio e di progettazione che ci ha
consegnato quel restauro.
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