EMERGENZA
CENTRO STORICO
domenica 22 dicembre 2013
PROGETTO PILOTA
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giovedì 19 dicembre 2013
SALVIAMO IL CENTRO STORICO DI CALTANISSETTA
IL
PUNTO
Chi
non ricorda la politica degli annunci, il “ghe pensi mi”,
la protezione civile per ogni sorta di lavoro in emergenza, il
continuo ricorrere alle conferenze dei servizi di recente memoria.
Ecco, il recupero del centro storico di Caltanissetta pare che si
stia muovendo imitando in parte la medesima metodologia.
Inizia
per caso, con un annuncio in gazzetta ufficiale di bando
nazionale «Piano nazionale delle città». Prosegue con un'affannosa
preparazione in sede comunale di “pezze giustificative” per
documentare l'aderenza ai criteri di selezione richieste nel bando, al
fine di conseguire un finanziamento (ottenuto). Si revisionano gli
studi già fatti sul centro storico e si attribuisce alla nuova
proposta di intervento un taglio di emergenza e di messa in
sicurezza, per carità prioritari, ma non esclusivi. Questa visione
miope ha fatto però ignorare i superstiti abitanti, non prefigurare
i nuovi insedianti, ha minimizzato la salvaguardia del centro
(ombelico della città) quale documento storico-culturale parte
integrante dei tasselli del quadro meridionale che si riuniscono nel
mosaico Italia. Senza scomodare i tecnici, l'estensione del centro
storico che conosciamo tutti, a spanna, ci fa intuire che saranno i
posteri a giudicare se Caltanissetta ha saputo conservare cultura e
“radici”, riconducibili ai manufatti. Vero è anche che i nisseni
hanno la loro responsabilità (attraverso le scelte nel tempo dei
vari amministratori locali) nel degrado dello stock edilizio, oramai non privo di edifici pericolanti e di
macerie. La figura retorica “i medici che litigano mentre il malato
muore” applicata al tempo trascorso, prima di questo annunciato
intervento, calza a pennello. Ma la storia non finisce qui. Il punto
a cui siamo giunti che si annuncia con lavori a gogò in centro
storico non deve far stare tranquilli. Le istituzioni che hanno il
potere di gestire gli interventi annunciati se credibili su quanto
dicono di dover fare, non si mostrano tali con le azioni ufficiali.
Sfornano annunci e si dimostrano poco trasparenti. E non solo.
Intimidiscono (o meglio, tentano di intimidire) a vario modo tutti
quelli che in questo processo di avvio del recupero hanno provato a
mettere “bocca e faccia”. Anche chi scrive ha avuto, molto da
lontano, uno strano avviso: il consiglio di astenersi dal mettere
documenti pubblici esposti in questa pagina. Minacciato, di,
eventualmente, doverne rispondere penalmente in sede giudiziaria.
Con questi “chiari di luna” mi vengono in mente due cose: l'una
che questi “funzionari e politici” non hanno chiari i confini di
ciò che è lecito e del suo contrario e l'altra che hanno uno
strano concetto di democrazia che si dovrebbe nutrire di
partecipazione, condivisione e del diritto dei cittadini che in
questo caso significa: di essere informati.
![]() |
G. Saggio - vista dell'intelaiatura in legno |
Nelle
esperienze presenti nel quartiere Provvidenza, come quella che si
ritrova nella foto sapientemente
mostrata da Saggio,
lo scorcio evidenzia una intelaiatura a struttura lignea, in
similitudine delle "case
baraccate" o "colombage" che ci ricordano un
passaggio architettonico, storico culturale di prevenzione dai
terremoti oggi ancora attuale.
Purtroppo,
la nostra realtà istituzionale locale non ha compreso o non vuole
comprendere che quel mucchio di vecchie case, di ruderi e di macerie
che è il centro storico, oltre a rappresentare le radici dei nisseni
ha anche più di un pregio economico (se vogliamo essere venali), che
lascio intuire all'intelligenza di chi legge.
Dunque,
una scelta di recupero dell'insieme centro storico non può e non
deve essere di “maniera”, con una scenica “antichizzazione”
delle costruzioni, inseguendo un adattamento alla motorizzazione
estraneo a luoghi già a misura d'uomo.
Giuseppe Cancemi
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lunedì 16 dicembre 2013
Discutibile riutilizzo della scuola elementare "Gabelli"
"Una scuola che progetta un’altra scuola"
ITIS “Segato”" proposta di ristrutturazione e riutilizzo dell’edificio delle scuole “Gabelli” di Belluno: una struttura destinata a ospitare i licei scientifico e classico, ma anche una biblioteca multimediale aperta a tutti, uno spazio polivalente e un museo storico."
***
L'opinione
L’intestazione della scuola al pedagogista filosofo “Gabelli” mi dà La motivazione per interloquire sul progetto di ristrutturazione realizzato dell’ITIS “Segato” che fa discutere i bellunesi. Non è un caso che quell’edificio sia stato denominato Aristide Gabelli. La titolazione di quella scuola ha un riferimento preciso nell’innovatore della scuola primaria di un’Italia risorgimentale appena unita. Rivoluzionario nel confutare il nozionismo, con un apprendimento liberatorio dell’essere. Precursore della filosofia pedagogica e didattica, relativamente recente, dell’americano John Dewey.Dunque, la scuola Gabelli non può tradire lo spirito dell’organizzazione scolastica che è impressa in quei muri che la rappresentano. Progettare la ristrutturazione di un “contenitore” di tale “peso” sociale e culturale si può ma con una certa prudenza. Lo spirito che aleggia sulle opere dell’uomo, come l’edificio dell’elementare “Gabelli”, deve tenere conto non solo dell’umanità che lo ha attraversato e dei vincoli tecnico-urbanistici ma soprattutto della dimensione culturale che l’opera rappresenta. Il progetto non è una mera operazione tecnica.
L’esercitazione pratica di progettazione applicata ad un edificio scolastico come il Gabelli, fatta dall’ITIS “Segato”, è un segnale forte di sollecitazione per la competente amministrazione locale, un contributo didattico e un elemento di confronto culturale con gli operatori del settore edilizio, per i suoi suggerimenti esemplificativi di progettualità orientata al sostenibile.
Volendo elencare alcuni vincoli da cui muovere per un restauro con criteri di bioarchitettura e dunque ecosostenibile, bisogna prioritariamente stabilire quale sarà la destinazione d’uso del “prodotto finito”. Qui, senza alcun dubbio la destinazione non può che essere quella di una scuola primaria e/o per l’infanzia. Esiste una relazione di continuità per alcuni semplici motivi che sono il reale vincolo: standard residenziali da PRG; tempi di percorrenza (isocrone, da casa a scuola) in base all’età; rapporti volumetrici: vuoto/pieno (corpi edilizi, giardino) maggiormente idonei per quella fascia d’età dell’utenza.
Un secondo vincolo di tipo ecologico-economico-gestionale va letto in termini di input/output energetico nella realizzazione.
Un terzo tipo di vincolo sempre di natura ecologica, viene imposto da una crisi idrica che sta diventando sempre più endemica, e riguarda il risparmio nei consumi d’acqua potabile.
Nel complesso, la sfida che ci pone il restauro della Gabelli - perché restauro deve essere - in chiave moderna di adeguamento funzionale, tecnico e tecnologico, comporta un aggiornamento di parametri riconducibili a confort ambientale interno ed esterno con raffrescamento passivo, tecnologie di ottimizzazione dell’energia, protezione dalle radiazioni magnetiche, sicurezza sismica, autonomia energetica, multifunzionalità e condivisione, uso di cemento fotocatalitico (per l’abbattimento degli inquinanti organici e inorganici presenti nell’aria), verde e fito-depurazione delle acque, ecc.
Ecco! Sono questi gli elementi che dovranno essere messi in gioco nella sfida che trovo stimolante nel lavoro che vuole sollecitare l’ITIS “Segato”.
Il “metodo scientifico”, come principio, propugnato dal positivista Aristide Gabelli, simbolicamente, può orientare quella metodologia del fare che delle austere mura di una scuola già appartenuta ad una filosofia dell’impegno didattico compassato, si possa ottenere una scuola confortevole e gioiosa.
Dunque restauro nella sua complessità per la Gabelli e non semplice maquillage più o meno funzionale!
Un‘immagine, per dirla con Dewey, che sia “percezione operativa dell’efficienza dell’oggetto estetico” e non rappresentazione di un modernariato senz’anima.
Giuseppe Cancemi
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giovedì 14 novembre 2013
PIAZZA GARIBALDI
I L a m p i o n i
Ho letto, qualche giorno fa, che il
Sindaco di Caltanissetta vuole sostituire i lampioni di Piazza
Garibaldi e rifare la pavimentazione della medesima piazza perché
già rovinata. Queste “luminarie”, si dice, che non siano state
ben accolte dai nisseni sin dalla loro, relativamente, recente
installazione. Lo stesso dicasi del rifacimento della piazza. Ora,
questa ennesima lamentela su pavimentazione e corpi illuminanti,
essendo quest'ultime opere di abbastanza recente acquisizione, fa
pensare che a Caltanissetta o vi sono sempre i soliti “bastian
contrari” costantemente pronti a brontolare o che le scelte vengono
regolarmente dall'alto, in barba ai cittadini, da sempre considerati
dei “sudditi”.
Intanto, è grave pensare che si dissipino le
scarse risorse economiche senza il dovuto riguardo che si dovrebbe
avere per i soldi pubblici e che nessuno risponde, ad esempio, di
acquisti e spese varie che non di rado si tramutano dopo poco tempo
in sprechi. La volontà annunciata dal Sindaco di volere rifare tutto
(pavimentazione e lampioni) di Piazza Garibaldi non è una buona idea
in termini di economia e finanza pubblica. L'esempio del buon padre
di famiglia dovrebbe bastare. Nella gestione familiare per i vari
bisogni che si presentano in casa, generalmente, nessun padre fa
promesse ai familiari che non può mantenere, né pensa di rifare a
nuovo tutto ciò che può essere riparato e neanche sostituirà quel
che ha già, per il semplice fatto che non piace. A meno che la
famiglia non abbia eccellenti condizioni economiche. Nel nostro
caso, non credo che le casse comunali lo permettano, anzi! Allora,
forse, piuttosto che ascoltare le lamentele o empiricamente stabilire
che quelle luci non vanno perché illuminano poco o esteticamente non
piacciono, una controllatina agli elaborati progettuali, fatta dai
tecnici comunali, potrebbe stabilire se la curva fotometrica degli
apparecchi illuminanti è stata progettata secondo la richiesta
intensità idonea ai luoghi. Se necessità vuole che si debbano
cambiare i corpi illuminanti, allo stato, le motivazioni che più
s'imporrebbero, fermo restando un design adeguato al luogo, sono i
parametri di irraggiamento luminoso a bassa dissipazione termica. Non
senza considerare, una contemporanea alimentazione dell'impianto
ottenuta da energia fotovoltaica.
Piazza Garibaldi |
Per quanto attiene alla lamentata
pavimentazione dove le “basole” sono “divelte” e “spezzate”
viene da domandarsi se esiste una garanzia sui lavori consegnati, se
il carico del traffico ha una sua responsabilità o se la
collocazione dei conci è avvenuta o meno a regola d'arte, con la
dovuta sorveglianza e con un accurato collaudo.
Per concludere, bene sarebbe forse, e
non solo in questo caso, prima di rifare tutto e/o lamentarsi, agire
legittimamente di più. Non esitando, ove necessario, nel portare
all'attenzione della magistratura contabile, quelle spese della
pubblica amministrazione che non sembrano convincenti.
Giuseppe Cancemi
sabato 9 novembre 2013
CENTRO STORICO - CALTANISSETTA 2013
PRINCIPIO DELLA FINE O RECUPERO?
La
storia italiana che vuole il recupero dei diversi centri storici, è
antica di tanti decenni e accomuna la stratificazione degli abitati
di tutti gli agglomerati urbani del Bel Paese. Leggendo ciò che è
accaduto da Nord a Sud per i centri storici, si rileva sommariamente
che il valore, non solo storico ma anche economico, ha premiato
l'impegno di molti Comuni che hanno orientato il restauro
dell’esistente patrimonio edilizio verso la conservazione. Le
città che, non senza difficoltà, hanno sviluppato una politica del
recupero, oggi sono quelle che hanno accresciuto il valore
immobiliare del proprio stock edilizio più antico e maggiormente
incrementato il flusso turistico in centro storico. Nella nostra
Caltanissetta si sta tentando di avviare un risanamento del centro
storico, con grande ritardo e all'insegna dell'improvvisazione che
ingenera non poca confusione nei suoi cittadini. Il recupero del
centro storico arenato da parecchi anni per responsabilità
politico-amministrative, non solo recenti e che per brevità affido
ad altre letture, improvvisamente, prende nuova vita da un concorso
nazionale, con tempi strettissimi, sulla “rigenerazione urbana”
di cui l'Amministrazione in carica, orgogliosamente, se ne
attribuisce il merito dell'aggiudicazione del relativo finanziamento.
A parte il grande ritardo negli interventi che una politica accorta
avrebbe dovuto e potuto evitare da lunga data, al fine di mantenere
gli abitanti e il decoro della città, il merito di volere recuperare
il centro storico è innegabile, ma per le premesse da cui nasce,
rischia di diventare un ennesimo sfregio alla città. Il timore che
sembra manifestarsi con il cosiddetto “Progetto Pilota”, nasce
dal comune sentire di quei pochi nisseni che non amano la propria
città. Un centro storico diverso, “nuovo” avverso alla
conservazione. Lasciare al tempo il compito dei crolli a fine
demolitivo senza colpo ferire e predisporre una realizzazione di
nuove edificazioni (facendo ricorso alla già conosciuta, in altre
circostanze, “emergenza”) è la risposta più facile e populista
che si è andata, e si sta, via via configurando. L'inerzia è il
filo conduttore del degrado prima, dei crolli a seguire e, infine,
dell’emergenza per motivi igienici e di sicurezza. Da qualche anno,
forse, perché prossimi al rinnovo amministrativo locale, si vuole
mostrare un “carniere” colmo di “selvaggina” immediatamente
spendibile. Il “Progetto Pilota” che viene presentato come
progetto di avvio, per il recupero del centro storico, è apparso
alla chetichella, fatta salva la canonica pubblicazione obbligatoria
per le eventuali osservazioni e opposizioni. Sarebbe anche rimasto in
ombra, se alcuni sensibili cittadini non avessero sollevato il
legittimo diritto di partecipare a così importanti scelte
urbanistiche retrocesse a semplici interventi edilizi. Da quel
momento la contesa che doveva allarmare per prime le preposte
istituzioni (mostratesi reticenti) ha visto solo movimenti spontanei
confrontarsi per un ripensamento circa il progetto, senza alcun
esito. Il punto a cui siamo giunti oggi, vede una ufficiale presa di
posizione di alcuni professionisti del settore
urbanistico-architettomico-edilizio e del mondo dell'ambientalismo
che ha segnalato a Procura della Repubblica, Assessorato BB. CC.,
Corte dei Conti e Assessorato Territorio e Ambiente alcune presunte
anomalie del progetto pilota, come ultima ratio per indurre
l'amministrazione in carica ad un ripensamento di quel progetto in
termini conservativi e non di rinnovo per il centro storico.
In
questo confronto tra le parti, dove il contendere è il rinnovo o la
conservazione, alcune osservazioni vanno fatte. Intanto, la
compagine amministrativa in scadenza - che può continuare ad
amministrare al massimo ancora per qualche lustro - ha condotto e
conduce in solitudine, un processo di trasformazione della città
così impegnativo in un arco temporale di decenni e con risorse
economiche occorrenti di centinaia di milioni, senza ricercare la
massimizzazione di un legittimo consenso nella comunità locale.
I
proclami lanciati attraverso alcuni numeri della rivista comunale
(unico mezzo che informa ma a fatto compiuto), per questo progetto
pilota, mettono in risalto alcune cifre sul recupero che vale la pena
sinteticamente commentare. Con l'intervento, prossimo, sugli isolati
27 e 28 del quartiere “Provvidenza” si ricaveranno una ventina di
vani utili per i futuri fortunati assegnatari per il costo di circa 3
milioni. Insomma, si potrà appena realizzare una “lotteria per i
senzatetto” entro un arco di tempo minimo di qualche quinquennio.
Un'altra trentina di milioni, preventivati (ma non si sa con quale
copertura) per fasi ulteriori, serviranno per mettere in sicurezza
(statica e igienica, sembrerebbe) 26 isolati di quel quartiere, come
dice l'assessore all'urbanistica. Non è difficile, allora,
pronosticare, nefaste prospettive per il centro storico: tempi
biblici di realizzazione, preceduti da una progressiva
desertificazione delle rare superstiti presenze autoctone, con
inimmaginabile troppo lontana conclusione insediativa o, in
alternativa, ingresso in tempi relativamente brevi della inevitabile
ruspa “risanatrice”.
In
questo scenario si inserisce l’avvio e la conduzione del cosiddetto
progetto pilota che inquieta gli animi di chi ama la città e ha
sperato che le pubbliche autorità cittadine intervenissero in tempo.
Chi ha potere per intervenire, invece, si è costantemente girato
dall’altra parte. La Soprintendenza, ad esempio, come riferimento
di vigilanza per la salvaguardia del territorio, chiamata in causa
indirettamente e direttamente non ha mostrato la dovuta sensibilità.
Doveva e poteva accorgersi che la scelta di recupero del centro
storico viene chiamata, non a caso, “Programma Costruttivo”.
Tutto un programma non certo consono ai principi culturali ispiratori
delle leggi nazionali e regionali nonché agli orientamenti italiani
ed europei della carta del restauro a scala urbana.
Ad
onor del vero, agli assordanti silenzi istituzionali fa eccezione,
una tardiva ma curiosa presa di posizione, personale, da parte di un
progettista redattore del piano pilota in oggetto. In tutto il suo
dire, sembra non volere intendere che il contenzioso ha una portata
urbanistica, in senso lato (dunque,
politica), e
non deriva
da
una
semplicistica
contrapposizione tecnica in
un
intervento “costruttivo”, che non sembra ispirarsi neanche alla
politica abitativa introdotta
dal
social
housing.
Il progetto, sconosce il cittadino da insediare, impropriamente
introduce una valutazione architettonica, di pregio e non, delle
testimonianze storico-abitative (sic!), banalmente, assicura una
staticità per le parti edilizie che saranno mantenute (non potrebbe
essere altrimenti!). Insomma, l'intervento ribadito da
un
“addetto ai lavori” in
difesa del
“Progetto
Pilota”,
sembra confermare
un
evidente contrasto,
tra
l’ispirazione
barocca ostentata
negli elaborati del
progetto diffusi
e la realizzazione pratica degli alloggi previsti, stilisticamente
aderente
ad una edilizia popolare.
Una
“trama” annunciata
come “nuova
architettura caratterizzata da un evidente linguaggio contemporaneo”
la quale stride con un
“ordito” che
si annuncia
con
un primo intervento-rabbercio
del
quartiere
Provvidenza.
Esattamente
il contrario di ciò che richiede un restauro
smart
del
centro
storico per
una Caltanissetta
principalmente fatta di persone.
Giuseppe
Cancemi
martedì 6 agosto 2013
Centro storico di Caltanissetta
URBAN CENTER PER RICOMINCIARE
Gran fermento per il centro storico
della città. Professionisti, intellettuali e ambientalisti costretti
a segnalare all'Amministrazione attiva che così come si sta
procedendo per il recupero della controversa parte storica di
Caltanissetta, porta a risultati a dir poco disastrosi. E' recente la
notizia, che il Comune sta cercando partner privati e istituzionali
per il recupero delle aree degradate (leggi, appunto, in centro
storico). E' alquanto strano che agli inizi dell'anno in corso (2013)
sembrava che tutto fosse pronto per il grande evento atteso da anni:
il recupero del centro storico e ora sembra essere tornati al
“carissimo amico...”. La prima cosa che mi viene in mente,
rivolgendomi all'Amministrazione comunale tutta, credo condivisibile,
è l'interrogativo: ma perché non mettete tutte le carte in tavola?
Forse è meglio del procedere in modo ondivago!
Liberatevi della solitudine degli
addetti ai lavori, dei competenti che operano per il bene della
collettività. Fate sapere a noi ignari cittadini, attraverso la
prodigiosa rete e/o mediante uno o più “tazebao” in piazza
Garibaldi, quali sono i progetti per il breve e lungo termine che
dovranno accompagnare e guidare la “rigenerazione urbana”.
Lasciate che ogni cittadino sia libero di esprimere il proprio
assenso/dissenso. Liberateci dalla sudditanza.
Per cominciare bene l'operazione centro
storico, per esempio, non sarebbe opportuno fare sapere quali e
quante sono le proprietà comunali in centro storico? Insomma, fare
conoscere qual è il patrimonio, più o meno ricco/misero che sia, di
cui la città può disporre per dare l'esempio di come si recupera un
immobile in area storica. Perché non cominciare da lì? Magari
facendo corsi di formazione per piccole imprese e maestranze prima e
durante (aula e cantiere), con un monitoraggio dei lavori in corso
d'opera, mediante web-camere, coinvolgendo sindacati, agenzie
formative, cassa edili, ecc.. Ecco, il progetto esecutivo redatto in
questi termini potrebbe diventare pilota. Si dia ampio spazio al
coinvolgimento, al lavoro, alla rivalutazione storica, estetica e
funzionale dei manufatti, analizzati, riparati, parzialmente o del
tutto ricostruiti.
L'idea semplice che può mettere tutti
d'accordo si fonda sul lavoro per l'edilizia e il suo indotto, che se
istituito con l'obiettivo di recuperare l'esistente, nel rispetto
delle preesistenze storiche, cresce e stabilizza la mano d'opera per
sempre, proprio con il restauro e la rigenerazione a rotazione
continua.
Non da meno è la ricaduta sulla città
sempre in ordine nel suo rinnovo ciclico, ai fini di un godimento
urbano/turistico. I commercianti del centro storico meditino! Il
cuore della città vissuta come contenitore impreziosito dalle
emergenze, storiche artistiche ed architettoniche può rappresentare
una valida alternativa agli attuali gettonati centri commerciali
(oggi di gran moda) che non esprimono quello che può esprimere un
centro storico degno di tale definizione.
A tutti deve essere chiaro che la
situazione di partenza è molto complessa e difficile. L'avvio scelto
dall'Amministrazione comunale è un quartiere (Provvidenza) con uno
stock edilizio molto degradato da tempo e percepito con certo
distacco dagli altri abitanti della città. Ai fini della residenza
non risulta dunque essere attraente, né da un punto di vista
economico, né da un punto di vista del prestigio, che è comunque
più o meno una costante in tutto il centro storico. Morale! Pochi o
niente interessi per gli immobili che si potrebbe cominciare a
recuperare e per tutta l'area in generale. Allora!
Allora bisogna rendere “appetibile”
il centro storico a partire da questo primo momento di avvio.
Non saranno certo le promesse di
parcheggi e le strade più larghe a rendere maggiormente fruibile
questa parte storica della città. Forse, potranno accontentare
quelli che oggi hanno un'idea di centro come “riserva indiana”
usato per entrare, parcheggiare l'auto, svolgere le proprie attività
e uscire per ritornare in periferia.
Con degli incentivi da stabilire
sinergicamente con le forze sociali, le istituzioni, si può
indirizzare una giusta strategia per coinvolgere partner privati e
istituzionali.
Il Comune se vuole davvero
recuperare il centro storico riparta da capo veramente, con la
metodologia promessa dell'Urban center ma
non praticata. Studi
incentivi e comunichi con i cittadini per quali obiettivi, criteri,
alleanze e partecipazioni in merito ai temi del centro storico, della
città, del territorio si vuole procedere.
Giuseppe Cancemi
venerdì 5 luglio 2013
Centro storico di Caltanissetta
Piano per il colore, ... e non solo
“Il
colore della città” è il tema che le Associazioni Italia Nostra e
“Dante Alighieri” hanno affrontato nel lontano1996, quando la
Soprintendenza aveva esordito con i “Sette restauri” (di chiese)
in centro storico, non accettati da tutti per il metodo adottato e
per le varietà coloristiche imposte alla città. Il timore che era
emerso, riguardava un cromatismo definito alla “disneyland” che
poteva innescarsi nel rifacimento di altri prospetti, proprio nel
cuore della città, calato dall'alto e senza regole. Era il tempo che
la città soffriva degli stessi mali di oggi: disoccupazione, degrado
urbano, traffico caotico, ecc. che preconizzavano urgenti interventi
di recupero nel centro storico, rivitalizzazione, acquisizione di
verde pubblico e soluzioni per mobilità e traffico. Insomma,
interventi di politica locale socio-economica di lungo respiro e non
di breve termine.
Sono
passati 17 anni e siamo ancora in attesa che cambi il metodo,
stavolta da parte di Comune e IACP, che in tema di recupero
presentano ai cittadini un “fatto compiuto”. Un progetto già
“confezionato”, non certo ispirato dalla “Carta del restauro”,
non secondo i canoni affermati di metodi afferenti il restauro e
ignorando, in materia di bioedilizia, il protocollo “Itaca”.
Il
protocollo “Itaca”, lo ricordo, ha lo scopo di stimare il livello
di qualità ambientale di un edificio proprio in fase di progetto,
in un quadro di sostenibilità energetica oltre che ambientale.
La
crisi urbana oramai endemica, che attanaglia la città, va affrontata
nella sua globalità. Strutture e forme di un organismo finito qual è
la città storica, vanno pensate in un quadro di interventi che si
intersecano e interagiscono. Il colore della città per esempio è un
elemento fondamentale per quell'armonia prospettica che il luogo
storico mostra di sé. Per restare in tema di modifiche che rischiano
di compromettere definitivamente anche l'immagine del centro storico,
provo a fare riflettere ricordando che la Piazza Garibaldi, da quando
è stata cambiata, non conserva più la sua “anima” di luogo
della memoria in quanti riconoscevano, pur nelle stratificazioni,
l'impianto risorgimentale. Con il rinnovo appena fatto, lo stesso
lambire della luce tra facciate di edifici e pavimentazione, arredi,
e ogni oggetto fisso o in transito lungo le superfici orizzontali, ha
alterato la percezione cromatica d'insieme. I nostri processi
mentali di riconoscimento che si legano con l'immaginario
individuale, non senza coinvolgere la sfera emotiva, nella lettura
della “Grande Piazza”, sono cambiati.
Caltanissetta
ha una sua storia legata a un suo genius loci: nel suo cielo,
nella sua vegetazione delle assolate campagne, nella sua roccia
calcarenitica da cui ha ottenuto una sua impronta per opere uniche e
riconoscibili, nell'argilla della terracotta, nel gesso dei leganti,
nei ciottoli del suo fiume, insomma, in tutto quello che ha
significato e depositato un valore riassuntivo che rende un luogo
particolare e diverso da ogni altro.
Non
è effimero pensare, a questo punto, anche ad un “Piano del colore”
della città, prima di iniziare un progetto episodico di recupero del
centro storico, che non sembra essere inquadrato in un complessivo
progettato piano di sviluppo della città. Come necessario sarebbe,
e anche utile nel quadro degli interventi, introdurre il protocollo
“Itaca”, per allinearsi alle direttive europee di ecologia
urbana.
Per
la cronaca, gli edifici green
che si ottengono da detto protocollo, rappresentano una nuova
edilizia che può essere certificata LEED (Leadership
Energy Environmental Design),
ed hanno grandi vantaggi rispetto all'edilizia tradizionale per
proprietari, inquilini ed ambiente.
Ecco,
a partire da questi pochi elementi di riflessione, la sfida che ci
attende nella proposta di riqualificazione del centro storico, può
avere un'alternativa di conservazione attiva attenta alla storia e
alla cultura, e può essere innovatrice, cioè in grado di attrarre
nuova vita in centro storico già a misura d'uomo. Oppure, illusoria
ricostruzione edilizia in maniera moderna (si fa per dire!), con
calibri stradali riformati e parcheggi mai sufficienti per auto
sempre in crescita, in un centro magari caotico di giorno e deserto
di sera.
Concludendo,
ancora una volta vorrei ricordare a quanti si accingono ad
avventurarsi in un processo di trasformazione del centro storico,
senza prendere in considerazione gli elementi che mi sono permesso
appena di accennare, senza cogliere l'opportunità del momento, è
bene ricordarlo, rischia di produrre un danno alla città, permanente
ed irrecuperabile.
Giuseppe
Cancemi
martedì 25 giugno 2013
Centro storico di Caltanissetta
SCELTE PUBBLICHE e democrazia partecipata
Centro
storico. Pronunciato, sollecitato da visione, letto o pensato, in due
semplici parole suscita un riflesso condizionato a livello di
pensiero. La nostra immaginazione fa selezionare dalla memoria alcune
immagini - che ognuno incosciamente ricava secondo un proprio
vissuto, la propria esperienza, la propria cultura - le quali ci
restituiscono una personale idea del passato.
La
parte più antica di ogni città, sembra essere messa lì per
sintetizzare un'immagine dell'urbe attraverso una testimonianza
concreta, frutto dell'umanità che l'ha attraversata. Le contese
attorno al vecchio nucleo urbano per il suo mantenimento, non da ora
sono oggetto di contrapposizioni spesso anche aspre. La questione di
fondo, però, è sempre economica e/o di spessore culturale della
comunità che lo ha prodotto.
In
Italia la decisione di mantenere attraverso il restauro i centri
storici è stata una scelta sofferta. Non sempre e non tutti i
territori hanno optato per un'integra conservazione. Eppure,
l'opzione verso i beni culturali come risorsa, che qualcuno ha anche
chiamato "giacimenti culturali", per l'Italia e
principalmente per la Sicilia dovrebbe essere una scelta obbligata.
Peccato che Caltanissetta ha rinunciato da tempo a conservare la
dignità storica del suo centro città. Ha permesso di operare con
leggerezza abbattimenti e trasformazioni di testimonianze storiche e
di converso ha consentito inclusioni di manufatti anonimi nel cuore
della città, quando non lasciata crollare pezzo per pezzo. Ora con
la "minaccia" dei crolli sempre più frequenti,
dell'igienicità e della sicurezza che ne derivano, si è costruita
una “carta del rischio”, si coinvolge la Protezione civile e
l'emergenza diventa così una “strategia” per intervenire senza
ulteriori “ostacoli”. Mi chiedo e chiedo se molto prima era
possibile, a norma di legge, impedire che si arrivasse ai crolli.
Ora
si sa che a breve si avvieranno i primi lavori di “recupero”,
condotti in sinergia da IACP e Comune, relativamente poca cosa
rispetto allo stock edilizio da recuperare e alla domanda di alloggi
della città mai quantificata. Ma si teme però, che l'intervento
proposto, soprattutto avvii una politica di trasformazione che possa
compromettere la riconoscibilità del centro storico.

Suscita
incredulità l'intimidazione fatta verso chi per senso civico prova
a dire la sua per temi che riguardano la cosa pubblica. Penso che
con tali risposte venga mortificata la partecipazione e non capisco
quale offesa di “lesa maestà” possa avere potuto provocare il
documento presentato da ambientalisti e professionisti.
Penso
che la sovranità popolare dovrebbe avere l'ultima parola specie
quando si tratta di scelte che si trasferiranno ai posteri.
Trasparenza e partecipazione, rifacendomi alla prolusione, sono anche
queste due parole ma che stavolta, però, evocano concetti di
comportamento che in democrazia dovrebbe essere patrimonio di tutti,
specie per gli amministratori. Per amministrare bene, lo ricordo per
me stesso, non basta adempiere ai doveri di legge, occorre anche fare
in modo che la democrazia sia alla portata di tutti. E forse, i
problemi della città troveranno una soluzione più condivisa, e non
solo di “palazzo”.
Giuseppe
Cancemi
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mercoledì 24 aprile 2013
BELLUNO: PARCO EMILIO
CONTINUA IL TAGLIO DI ALBERI IN CITTA'
Parco Emilio: Interventi di potatura e di taglio degli alberi ammalati o pericolanti. Questa è la motivazione dell'intervento pesante di potature e abbattimenti di alcune piante nel parco e chissà perché accompagnata da una nota, forse solo giornalistica, che detto spazio verde è maggiormente frequentato dalle badanti.
![]() | ||||
Ceppaia di albero «malato» (?) |
Per essere più precisi sul quotidiano che informa i cittadini di una tale decisione, da parte del Comune, viene tirata in ballo la collaborazione del Servizio Forestale Regionale nell'intervento: "per un complessivo riordino del parco, a garanzia di una maggiore luminosità e di una miglior fruibilità dello stesso da parte dei numerosi frequentatori". Dunque, si persevera in una politica comunale di diradamento delle piante nel territorio, proprio in controtendenza anche alla recente legge 14 gennaio 2013 , n. 10 che sottolinea - con la messa a dimora di un albero per ogni nuovo minore nato/adottato - un atto simbolico di risarcimento alla natura (e al cittadino), e che s'intende ottemperare alla convenzione quadro del protocollo di Kyoto.
E non resterà solo quello già effettuato in varie parti della città, compreso il parco Emilio, il depauperamento di alberi per Belluno, essendo stata già tracciata una continuità negli interventi in zona con una annunciata "riqualificazione" della riva destra del Fiume Piave, prevista come "ripulitura e decespugliatura". Eufemismi, che tendono a giustificare altri diradamenti, quest'ultimo, a dichiarato favore alla progettata "Belluno beach" .
Per gli effetti della citata legge n. 10, il Comune, dopo il 16 agosto c. a., teoricamente, per adempiere ad un suo obbligo deve poter fornire informazioni sulla registrazione albero/minore (nato, adottato) e il Sindaco, in persona, a fine mandato, deve comunicare ai cittadini il bilancio arboreo di città per far conoscere ai cittadini quale è stato il suo impegno per la natura. Continuando a tagliare alberi secondo la tendenza dimostrata, viene spontaneo chiedersi e chiedere: con quale logica verrà fatto il saldo tra nuove piantumazioni, di là da venire, ed esistenza di piante censite che dovrebbero risultare da una attuale lista "anagrafica" arborea?
Come ad altri cittadini mi riesce difficile accettare motivazioni di abbattimenti di alberi con risposte scontate che la politica delega agli esecutori, i quali, quasi infastiditi, si rifugiano sempre nella semplicistica motivazione di messa in sicurezza e di patologia delle piante, non sempre verificabili e dunque inoppugnabili per il comune utente della città.
L'abbattimento di alberi indiscriminato, prima di tutto, è una scelta politica. Quando nella conduzione delle politiche urbane si "abusa" del termine "sostenibilità" gli alberi c'entrano pure: Belluno così facendo s'iscrive d'ufficio a quei consumi del pianeta che superano di una volta e mezzo il capitale naturale. Circa un anno fa, in occasione di altri tagli in città (via D'Incà, per ricordarlo) l'Amministrazione attiva si era impegnata di risarcire gli abbattimenti con nuovi alberi. Dove sono? Chi li ha visti?
L'unica cosa visibile, intanto, rimane la vista di accatastamenti di legname qua e là che proviene dal continuo taglio e dalla capitozzatura di alberi cittadini e non si vede all'orizzonte di una politica verde, almeno risarcitoria, nessuna nuova piantumazione.
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ALBERI MONUMENTALI E DI PREGIO
I filmati che seguono, utili a riconoscere le piante presenti a Belluno, sono stati presi da YouTube
PAULOWNIA TORMENTOSA
LIRIODENDRON TULIPIFERA
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venerdì 12 aprile 2013
BELLUNO: Museo Civico prossimo venturo
Palazzo Fulcis-De Bertoldi
Si amplia lo spazio a disposizione del palazzo Fulcis-De Bertoldi. Ai 2.991 metri quadri di stanze, saloni, cortili e corridoi da adibire a Museo Civico si aggiungono gli spazi del piano terreno, attualmente occupati dal bar Commercio. La Fondazione Cariverona, ha deciso l'acquisto di quei locali per adibirli a biglietteria. Per ora, però, è solo un'embrione d'idea. A proposito del preesistente bar e del suo arredamento - con il suo «bancone» da qualcuno ritenuto di pregio - comunque appartenuto ad un tempo superiore al trentennio, non sarebbe male preservare il tutto anche se adattato ad un diverso uso o mantenendo la stessa funzione di quei locali all'interno del museo. Del resto, rifacendosi letteralmente al significato di Museo: «Galleria o Raccolta di cose insigni per eccellenza, o per rarità e per antichità» ci starebbe sia un «bar Commercio» ad uso accoglienza visitatori o anche una biglietteria, adattando l'esistente «riciclato» ad un uso di servizio museale.
martedì 9 aprile 2013
ZIBALDONE: CENTRO STORICO DI BELLUNO
ZIBALDONE: CENTRO STORICO DI BELLUNO: CRONACA DI UNA QUERELLE ANNUNCIATA L'assessore Tabacchi dopo avere annunciato, qualche giorno fa, di volere istituire un parcheggio...
CENTRO STORICO DI BELLUNO
CRONACA DI UNA QUERELLE ANNUNCIATA
L'assessore Tabacchi dopo avere annunciato, qualche giorno fa, di volere istituire un parcheggio in Piazza Duomo, oggi, 9 aprile 2013, attraverso la stampa locale, questa volta sembra fare un passo indietro: fa sapere che la sua scelta dei 25 posti auto in piazza Duomo, non era definitiva e che anzi ora la esclude. Rimane però, della volontà di voler reperire nuovi stalli per auto in risposta alla domanda di parcheggi in centro storico. Quindi, la "caccia" ai posti auto continua con l'intento di trovare spazi per tale scopo nelle vicinanze: piazza Castello e aree limitrofe (sic!) dice. Come se l'area prospiciente le poste fosse a chissà quale distanza da piazza Duomo e che comunque creare nuovi posti auto nel cuore della città non significhi riportare una circolazione automobilistica, faticosamente finora tenuta (si fa per dire), a distanza dal centro. Tutto questo maldestro tentativo di restaurare un'ammissione ulteriore di auto nel centro storico muove da una giustificazione che appare strumentale e improvvisata. Si attribuisce ai residenti e ai disabili la domanda di parcheggi in loco ma poi la soluzione di utilizzo si estende anche ai parcheggi a strisce blu e al carico e scarico delle merci. Giustificazioni assai deboli e confuse, ma sicuramente non certo motivate da una scelta urbanistica di mobilità complessiva.
Giuseppe Cancemi
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domenica 7 aprile 2013
CENTRO STORICO BELLUNO
NO AL PARCHEGGIO IN PIAZZA DUOMO
Di diversa opinione sono molti cittadini che reputano non solo la Piazza Duomo ma tutto il centro storico un'identità storico-culturale da preservare, custodire, tramandare possibilmente integra. E' opinione sempre più diffusa che se si riesce a mantenere una città con il suo centro storico ben conservato e dunque a misura d'uomo con la cultura “si mangia” e si vive - nel rispetto delle generazioni passate, attuali e future - mentre, rimanendo con auto onnipresenti, inquinamenti e relative conseguenze, si vuole perpetuare una tendenza non più sostenibile.
La città di
Belluno, si colloca ogni anno ai primi posti delle graduatorie annuali di
vivibilità, anche, per le sue piazze del centro storico. La notizia,
che si ritorna a fare circolare e sostare le auto in Piazza Duomo, è
un regresso rispetto al passato recente, e non in linea con la
cultura urbanistica europea che, tendenzialmente, si adopera per
spostare la mobilità verso i mezzi pubblici, il car sharing, le
biciclette e comunque
orientata a non espandere più i parcheggi specie in centro. La cosa
è grave, perché proprio Belluno, con l'avvio del parcheggio
Lambioi, aveva diffuso qualche tempo fa un segnale di grande civiltà,
citato ed imitato da altre città. Aveva anticipato una scelta da
smart city con
la messa a disposizione di un
piccolo iniziale parco di biciclette, come componente di uno scambio
intermodale nella mobilità urbana in centro storico.
Le
bici, all'uscita della scala mobile di collegamento con il parcheggio
Lambioi non ci sono più e le auto che avevano liberato la piazza
Duomo ora sono state lasciate ritornate e vi resteranno. Gli spazi
del centro storico che compositivamente completavano l'immagine
restituita di una città vivibile, sono ritornate ad essere
brulicanti di mezzi a motore moltiplicatori di ogni inquinamento
dannoso per uomini e monumenti. La tendenza mercantilistica ad ogni
costo del centro storico, testardamente, poco per volta
assecondata, si pensa di facilitarla facendo ricomparire la sosta dei mezzi
privati. Fare tornare le auto nell'agorà della polis -
dove uno
sguardo anche fugace ai manufatti, ci ricorda pezzi della storia
attraversata dall'umanità che l'ha percorsa - è fare torto ai bellunesi che hanno
saputo conservare la città che ci ritroviamo. La semplice
toponomastica dell'antica polis dovrebbe indurre ad un certo rispetto
almeno del genius loci che
aleggia sul centro storico.
I
pochi parcheggi in più (25) in piazza Duomo che si vogliono
recuperare al pagamento, fanno pensare al precedente abbattimento di
alberi in via D'Incà. Anche lì, fuori da ogni logica ancorata all'ecosostenibilità. Per qualche stallo in
più si sono abbattuti degli alberi assai più utili. L'operazione
parcheggi in centro storico, appare proprio come il voler raschiare
il fondo del barile. Ci sembra infine speciosa, la motivazione che a
spingere verso i parcheggi in Piazza Duomo siano gli abusi nelle
soste. Grave ammissione che lascia presupporre di non saper
contrastare il presunto fenomeno di “parcheggio selvaggio” con
una adeguata vigilanza.
Di diversa opinione sono molti cittadini che reputano non solo la Piazza Duomo ma tutto il centro storico un'identità storico-culturale da preservare, custodire, tramandare possibilmente integra. E' opinione sempre più diffusa che se si riesce a mantenere una città con il suo centro storico ben conservato e dunque a misura d'uomo con la cultura “si mangia” e si vive - nel rispetto delle generazioni passate, attuali e future - mentre, rimanendo con auto onnipresenti, inquinamenti e relative conseguenze, si vuole perpetuare una tendenza non più sostenibile.
Giuseppe Cancemi
sabato 6 aprile 2013
CURIOSITA'
CAPISALDI DI BELLUNO
Non tutti sanno che le placchette ovali di ottone, poste su alcuni noti edifici del centro storico, fanno parte dei 13.000 capisaldi distribuiti su altrettanti chilometri di viabilità del territorio italiano.
In tutto il territorio di Belluno risultano segnati 22 punti geodetici, parte dell'intera rete plano-altimetrica nazionale.

I Capisaldi nel territorio del Comune di Belluno:
(0043#_###_107#) S.S. 50 Km 12,950 - Rio Demaise
(0043#_###_108#) Salce - S.S.50 Km 12,210
(0043#_###_109#) S.S.50 Km 11,330 - Bivio Per Giamosa
(0043#_###_110#) Prade - S.S.50 Incrocio Con Via Marisiga 41
(0043#_###_111#) S. Gervasio - Via Pagello 2 Incrocio Via Feltre
(0043#_###_111P) Belluno - Via Feltre
(0043#_###_112#) Belluno - Via Cavour
(0043#_###_112P) Belluno - Piazza Duomo
(0043#_###_112S) Belluno - Piazza Duomo, 2
(0043#_###_113#) Belluno - Ponte Torrente Ardo
(0043#_###_114#) Belluno - V.Le Vittorio Veneto 155
(0043#_###_114P) Belluno - Piazza Alessandro De Luca
(0043#_###_115#) Vaneggia - S.S.50 Km 5,180 - Via V. Veneto N°292
(0043#_###_116#) S.S.50 Km 4,020 - Via Tizano Vecellio 86
(0043#_###_117#) S.S.50 Km 2,900 - Safforze
(0043#_###_118#) S.S.50 Km 2,240
(0043#_###_118P) S.S.50 Km 1,530 - Le Andreane
(0043#_###_105#) S. Fermo - S.S.50 Km 14,850
(0043#_###_105P) S. Fermo - S.S.50 Km 14,570
(0043#_###_106#) La Costa - Via Boscone 371
(023705) Belluno - Piazza Alessandro De Luca
(023704) S.Fermo - S.S.50 Km 14,570
Fanno parte dei 13.000 punti geodetici segnati nell'attuale rete viaria italiana. Sono in progetto, da parte del Servizio Geodetico dell'Istituto Geografico Militare, un aumento di capisaldi sino a 20.000. Prima dell'unità d'Italia, la rappresentazione del territorio non era certo omogenea. Si usavano metodi ed evidenze discordanti: alcuni erano geometrici, altri descrittivi, qualcuno mancava di triangolazioni, di misurazioni, di scale e le basi erano diverse.
La rappresentazione del territorio, dopo l'unità d'Italia, si organizza come "catasto" al fine di equiparare le imposte.
Nelle province di Belluno, Bolzano e Trento, diversamente da altri parti d'Italia, nello stesso periodo, era in vigore il cosiddetto "catasto tavolare".
Attualmente, il "catasto" viene gestito dall'Agenzia del Territorio e dai comuni che hanno scelto di esercitare le funzioni catastali loro attribuite da apposite convenzioni.
(0043#_###_107#) S.S. 50 Km 12,950 - Rio Demaise
(0043#_###_108#) Salce - S.S.50 Km 12,210
(0043#_###_109#) S.S.50 Km 11,330 - Bivio Per Giamosa
(0043#_###_110#) Prade - S.S.50 Incrocio Con Via Marisiga 41
(0043#_###_111#) S. Gervasio - Via Pagello 2 Incrocio Via Feltre
(0043#_###_111P) Belluno - Via Feltre
(0043#_###_112#) Belluno - Via Cavour
(0043#_###_112P) Belluno - Piazza Duomo
(0043#_###_112S) Belluno - Piazza Duomo, 2
(0043#_###_113#) Belluno - Ponte Torrente Ardo
(0043#_###_114#) Belluno - V.Le Vittorio Veneto 155
(0043#_###_114P) Belluno - Piazza Alessandro De Luca
(0043#_###_115#) Vaneggia - S.S.50 Km 5,180 - Via V. Veneto N°292
(0043#_###_116#) S.S.50 Km 4,020 - Via Tizano Vecellio 86
(0043#_###_117#) S.S.50 Km 2,900 - Safforze
(0043#_###_118#) S.S.50 Km 2,240
(0043#_###_118P) S.S.50 Km 1,530 - Le Andreane
(0043#_###_105#) S. Fermo - S.S.50 Km 14,850
(0043#_###_105P) S. Fermo - S.S.50 Km 14,570
(0043#_###_106#) La Costa - Via Boscone 371
(023705) Belluno - Piazza Alessandro De Luca
(023704) S.Fermo - S.S.50 Km 14,570
I capisaldi, sono riferimenti altimetrici distanti tra loro circa 1 km l'uno dall'altro. L'IGM (Istituto Geografico Militare) nato nel 1861 dopo l'unità d'Italia, fa parte del sistema militare italiano che si occupa di cartografie.
![]() |
Rappresentazione cartografica fatta dall'I.G.M. per P.zza De Luca |
Fanno parte dei 13.000 punti geodetici segnati nell'attuale rete viaria italiana. Sono in progetto, da parte del Servizio Geodetico dell'Istituto Geografico Militare, un aumento di capisaldi sino a 20.000. Prima dell'unità d'Italia, la rappresentazione del territorio non era certo omogenea. Si usavano metodi ed evidenze discordanti: alcuni erano geometrici, altri descrittivi, qualcuno mancava di triangolazioni, di misurazioni, di scale e le basi erano diverse.
La rappresentazione del territorio, dopo l'unità d'Italia, si organizza come "catasto" al fine di equiparare le imposte.
Nelle province di Belluno, Bolzano e Trento, diversamente da altri parti d'Italia, nello stesso periodo, era in vigore il cosiddetto "catasto tavolare".
Attualmente, il "catasto" viene gestito dall'Agenzia del Territorio e dai comuni che hanno scelto di esercitare le funzioni catastali loro attribuite da apposite convenzioni.
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domenica 24 marzo 2013
MOBILITA'
IL TRASPORTO FERROVIARIO VENETO
Il turista, il cittadino veneto, il viaggiatore occasionale che transita, lavora o trascorre le vacanze nel bellunese, senza preoccuparsi di chi è o non è la responsabilità del trasporto ferroviario, certamente, percepisce in quella mobilità pubblica un servizio assai carente per numero di corse, collegamenti “frantumati”, puntualità, confort e forse anche per pulizia. Il rimpallo e le varie scuse che adducono i ben individuati responsabili (Trenitalia e Regione), alle proteste ed ai continui mugugni, non alleviano il problema, anzi, lo rendono più fastidioso. Ad onor del vero l'incertezza del quadro normativo nazionale, la Legge di stabilità 2013, la scarsità di risorse e i tagli che ricadono anche sui trasporti non agevolano una necessaria riforma della mobilità, specie, nei territori di montagna dove è necessario migliorare il trasporto pubblico e scoraggiare quello privato. Pur tra tante difficoltà, per chi vuole trovare un sostegno per migliorare il trasporto pubblico, un punto fermo esiste ed è nel ricostituito Fondo Nazionale Trasporti, dove, confluisce il 90% delle risorse assegnate ma viene riservato il rimanente 10% ai criteri premiali (nel miglioramento nella produttività). Non va sottaciuto, infine, il nodo irrisolto dell'assetto delle Province che con i Comuni sono gli enti programmatori del servizio. Comunque, se si guarda ai dati regionali confrontandoli con altre regioni ci si accorge che il trasporto ferroviario può essere migliorato.
Alcuni dei punti del trasporto ferroviario che sono confrontabili mettono in luce l'arretratezza del trasporto veneto. Il Veneto con 13,8 treni per 100 mila abitanti e una popolazione residente di 4,9 milioni ha meno treni per 100 mila abitanti di Piemonte (19,7), Emilia Romagna (18,7), Toscana (21,4) e Liguria (15,2). Altro esempio che si differenzia in negativo per servizio è il contact center, che la Toscana ha messo in essere per monitorare le lamentele e le esigenze dei cittadini utenti e organizzare la risposta, mentre, in Veneto, cresce la protesta per un servizio che perde pezzi e si degrada, in un “brodo” politico da campagna elettorale.
Da Belluno, per spostarsi, bisogna armarsi di tanta pazienza per le attese nelle stazioni intermedie e, affidandosi alla fortuna, sperare che non ci siano soppressioni di treni all'ultimo momento. In alternativa, diventata una costante, resta l'uso del mezzo proprio.
Se in Toscana con gli stessi problemi del Veneto e di tutte le altre regioni, si riesce a mantenere uno standard medio minimo di confort, di puntualità, di certezza nel passaggio dei treni e comunque si cerca di evitare ogni disagio ai fruitori del servizio ferroviario, non si comprende qual è la politica dei trasporti della Regione Veneto che non riesce ad assicurare altrettanti standard.
Nel Piano Generale dei Trasporti il fulcro della mobilità veneta è rappresentato dalla “mediopadana” e dal “corridoio prealpino-padano”. Non compare nel sistema trasporti, una altrettanto utile attenzione alla mobilità ferroviaria locale, specie dell'alto Veneto: una rete di collegamenti essenziali tra la gente delle Dolomiti e la pianura. Un'attenzione dovuta verso chi preserva e custodisce un importante patrimonio dell'umanità. Una considerazione allora, che deve fare riflettere, è d'obbligo. Non investendo preminentemente sulla mobilità ferroviaria e favorendo, anzi, il traffico su gomma, si rischia di compromettere con gli inquinamenti in crescita, il capitale naturale da conservare, rappresentato dalle Dolomiti. Si pratica, dunque, una politica fin qui non certo in grado di fare affermare un trasporto sostenibile, richiesto dai luoghi e non più rinviabile.
Giuseppe Cancemi

Alcuni dei punti del trasporto ferroviario che sono confrontabili mettono in luce l'arretratezza del trasporto veneto. Il Veneto con 13,8 treni per 100 mila abitanti e una popolazione residente di 4,9 milioni ha meno treni per 100 mila abitanti di Piemonte (19,7), Emilia Romagna (18,7), Toscana (21,4) e Liguria (15,2). Altro esempio che si differenzia in negativo per servizio è il contact center, che la Toscana ha messo in essere per monitorare le lamentele e le esigenze dei cittadini utenti e organizzare la risposta, mentre, in Veneto, cresce la protesta per un servizio che perde pezzi e si degrada, in un “brodo” politico da campagna elettorale.
Da Belluno, per spostarsi, bisogna armarsi di tanta pazienza per le attese nelle stazioni intermedie e, affidandosi alla fortuna, sperare che non ci siano soppressioni di treni all'ultimo momento. In alternativa, diventata una costante, resta l'uso del mezzo proprio.
Se in Toscana con gli stessi problemi del Veneto e di tutte le altre regioni, si riesce a mantenere uno standard medio minimo di confort, di puntualità, di certezza nel passaggio dei treni e comunque si cerca di evitare ogni disagio ai fruitori del servizio ferroviario, non si comprende qual è la politica dei trasporti della Regione Veneto che non riesce ad assicurare altrettanti standard.
Nel Piano Generale dei Trasporti il fulcro della mobilità veneta è rappresentato dalla “mediopadana” e dal “corridoio prealpino-padano”. Non compare nel sistema trasporti, una altrettanto utile attenzione alla mobilità ferroviaria locale, specie dell'alto Veneto: una rete di collegamenti essenziali tra la gente delle Dolomiti e la pianura. Un'attenzione dovuta verso chi preserva e custodisce un importante patrimonio dell'umanità. Una considerazione allora, che deve fare riflettere, è d'obbligo. Non investendo preminentemente sulla mobilità ferroviaria e favorendo, anzi, il traffico su gomma, si rischia di compromettere con gli inquinamenti in crescita, il capitale naturale da conservare, rappresentato dalle Dolomiti. Si pratica, dunque, una politica fin qui non certo in grado di fare affermare un trasporto sostenibile, richiesto dai luoghi e non più rinviabile.
Giuseppe Cancemi
giovedì 28 febbraio 2013
Sanità da ottimizzare
Belluno, 28-2-2013
Lettera aperta
Al Direttore Generale
ULSS1 Belluno
Non molti giorni fa nella stampa, non
solo locale, è stato riportato il suo primo nobile gesto di
insediamento, dando un segnale di buona amministrazione della cosa
pubblica, mettendo in vendita l'auto blu. Ora che avrà preso
“confidenza” con gli altri problemi del servizio sanitario
locale, sarà stato messo al corrente, a parte della qualità della
struttura sanitaria, delle disfunzioni organizzative di cui soffre.
Tra le più eclatanti e significative anomalie del sistema
informativo prestazionale dell'ULSS. si collocano le prenotazioni i
cui tempi di attesa non coincidono con quelli stabiliti dal
protocollo ma soprattutto in contrasto con la necessità effettiva
degli utenti e l'efficienza dell'erogazione. Per fare un esempio, le
prenotazioni di controllo per patologie croniche hanno un iter
assurdo. Il clinico che ha visitato dispone di una nuova visita di
controllo a sei /dodici mesi e prescrive degli esami. Il paziente
deve, successivamente, recarsi dal medico di famiglia e farsi
autorizzare questo, temporizzato, prescritto controllo. Sempre il
paziente o un suo familiare, deve ulteriormente presentarsi allo
sportello delle prenotazioni o telefonare per sapere quando si
potranno fare esami e visita. Le prenotazioni, comunque, non sono una
conclusione certa o sempre riferibile ai tempi ufficiali o
all'ordine logico delle sequenze (esami prima e non dopo la visita di
controllo) ma aleatori e a volte incoerenti con lo scopo. A meno
che... gli esami o la visita non si facciano in maniera mista
(privato /istituzionale) o totalmente a regime privato.
Posto brevemente un problema
fondamentale che a lei dovrebbe già essere noto, per non iscrivermi
tra quelli che si lamentano e basta, vorrei sommessamente consigliare
di concentrare i suoi sforzi oltre che sull'assillante problema
(quanto importante) dei conti economici anche un minimo di attenzione
a quanto mi permetto di suggerire come argomenti per riflettere. Per
prima cosa, penso che una diversa più razionale organizzazione dei
servizi, costituisca un economia di sistema che ha influenza, anche,
sia sui risparmi che sugli investimenti. Non conoscendo il sistema
USSL che lei gestisce, a costo di fare una domanda da “Pierino”
chiederei: ma l'Azienda sanitaria di Belluno, ha personale e/o
ufficio ad hoc che si occupano della gestione? E penso ad uno o più
ingegneri (informatico, gestionale) o simili figure professionali.
Nel merito delle disfunzioni,
riallacciandomi a quanto detto prima, domando ancora: ma non sarebbe
il caso che in presenza di patologie croniche le prenotazioni
avvenissero, per così dire, d'ufficio? Non tornerebbe utile
razionalizzare tutti i servizi e reparti, da un punto di vista
informatico (cloud computing), per non ripetere molte situazioni
informative?
Infine, dal momento che i costi degli
ecografi portatili non sono poi così elevati ( meno di 1000€) e le
richieste di esami con detti strumenti in aumemento, non sarebbe il
caso di far dotare i medici di famiglia di tali strumenti e farli
abilitare all'uso con gran risparmio, in tutti i sensi, ed efficienza
del sistema sanitario?
Mi fermo, per non rubare ulteriore
tempo al suo lavoro, ma penso che il mio modesto contributo le potrà
dare modo di riflettere. E chissà se la sua buona volontà, già
dimostrata, si potrà estendere di più ai bisogni cogenti dei
cittadini.
Giuseppe Cancemi
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