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martedì 12 novembre 2024

CARITAS/COSTITUZIONE

Caritas: identikit della povertà e una società che regredisce praticando poco la tanto invocata inclusione sociale …

Chi si rivolge alla Caritas, sono massimamente uomini, stranieri, single, in condizioni di povertà e/o anche per solitudine o perché senza fissa dimoraNon hanno un lavoro o se ce l'hanno, il salario che percepiscono non è sufficiente.

Un'occhiata appena così superficiale, non ci può che amareggiare. Un brutto segno che ci ricorda un passato che ritorna, dove l'attenzione per i più debolieconomicamente, i malati, i fragili etc. veniva lasciata alla chiesa e alla beneficenza in genere.

Per via della nostra Costituzione, un percorso della democrazia meglio interpretata nelcorso degli anni, da governi spronati da partiti e sindacati, aveva iniziato un'importante modifica. Per un certo periodo, la risposta caritatevole del fine novecento preponderante, grazie ad una migliore concezione di giustizia sociale, aveva iniziato un suo corso. Un passaggio della società che finora, ai bisogni della collettività, l'impegno laico sembrava crescere nella rimozione della povertà in senso lato, attraverso un riconoscimento dei diritti umani e sociali, non ancora comunque, soddisfacenti.

Con questo nuovo allarme della Caritas emerso, ci accorgiamo che nuovamente “il re è nudo”. Questo impegno della società nel rimuovere tutti i nuovi e vecchi disagi ha un nuovo rallentamento. Si è ricominciato ancora a “scaricare” quelle attenzioni che avevano mostrato i governi locali, la politica e i partiti. Siamo tornati ancora a non avere progetti validi per l'integrazione e non solo sociale, ma anche scolastica e lavorativa. Siamo ancora un popolo che ricomincia ad escludere lasciando nuovamente spazio all'assistenza“caritatevole”. 

Giuseppe Cancemi

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CARITAS ITALIANA – STATUTO

Art. 1 – NATURA

La Caritas Italiana è l’organismo pastorale costituito dalla Conferenza Episcopale Italiana al fine di promuovere, anche in collaborazione con altri organismi, la testimonianza della carità della comunità ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica.

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sabato 14 settembre 2024

Territorio di Belluno

 

Ancora sulla diga del VANOI ...

 FORSE NON TUTTI SANNO che nella modifica del testo dell’articolo 9 il quale recitava: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, cambiato recentemente, è stata fatta un’aggiunta.

 Nella modifica dell'8 feb 2022, una nuova frase a seguire, completa così il testo: “Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.

In questa seconda parte è inoppugnabile un fondamento che rafforza il diniego alla realizzazione della contesa diga: La tutela della biodiversità e degli ecosistemi in ragione (nel nostro caso) dell’interesse per le future generazioni. Un nuovo “pilastro” per l'ambiente, categorico, che mancava nella Costituzione.




giovedì 12 settembre 2024

Belluno città turistica

 Palazzo Crepadona (Biblioteca Civica di Belluno) restaurato relativamente di recente.

Sarà noto a tutti che quel balcone in foto visibilmente danneggiato, mette in evidenza un qualcosa che stride con la città turistica qual è Belluno. Non si capisce se è così per equipararsi al degrado del centro storico o per una questione di “Anastilosi” (che per una fedele ricostruzione storica, richiede l'utilizzo di pezzi tutti originali (!)).

Comunque, quel permanere di questa non certo invisibile “ferita” d'immagine e forse anche di eventuale vulnerabilità statica specie in zona sismica, che dovrebbero fare aumentare la sensazione di rischio, per l'assordante silenzio del tempo trascorso, continua a darci pare, una certa sicurezza.

Eppure, quel balcone a sbalzo così com'è, per motivi di statica, non dovrebbe essere affidabile. Siamo in presenza di materiale lapideo che per le sue caratteristiche meccaniche, in una come si vede aumentata sollecitazione a flessione, fa diminuire la sicurezza.

Giuseppe Cancemi

domenica 8 settembre 2024

DIGA SUL VANOI

 proposito del progetto 👷VANOI ...

I pregressi

"Tra questi progetti forse quello più dibattuto in assoluto sulle Alpi italiane è quello del Vanoi, vallata tra Trentino e Veneto percorsa dall’omonimo torrente: qui, in territorio comunale di Lamon (Belluno) si vorrebbe edificare una grande diga, alta circa 120 metri, che formerebbe un bacino tra i 33 e i 40 milioni di metri cubi. Un progetto la cui prima ideazione risale addirittura al 1922"

E' una mia idea che quel progetto non è stato fatto con tutti i crismi che servono per un'opera così importante e che non si può fare a meno di ricordare il VAJONT.
Intanto non mi sembra, per quello che appare dalla stampa, che il progetto abbia previsto una analisi preliminare accurata che si chiama:
SWOT ANALISIS.

Un'analisi che avrebbe dovuto e potuto guardare sistematicamente, ad esempio, ai...

Punti di forza

Riassumibile nella risorsa naturale che rappresenta il Torrente Vanoi come fonte d’acqua costante; nelle competenze ingegneristiche locali e nazionali sviluppatesi nel tempo, e nel supporto sostegno da parte delle autorità locali e nazionali.
Debolezze
Elevati costi per la costruzione e la manutenzione programmata della diga che risultano essere, l'una elevate e l'altra periodica; impatto ambientale con potenziali danni agli ecosistemi locali e alla biodiversità; opposizione locale dove le comunità locali potrebbero opporsi al progetto (come sta accadendo) per vari motivi, inclusi quelli ambientali e sociali.
Opportunità
Energia rinnovabile mediante diga che potrebbe fornire energia idroelettrica sostenibile, meteorologia permettendo; relativo sviluppo economico con creazione di posti di lavoro e sviluppo delle infrastrutture locali; utilizzo di nuove tecnologie per migliorare l’efficienza e ridurre l’impatto ambientale.
Minacce
Rischio da disastri naturali: come terremoti e inondazioni che potrebbero danneggiare la struttura; Cambiamenti nelle politiche governative che potrebbero influenzare progetto e/o gestione; impatti ambientali con effetti negativi a lungo termine sull’ecosistema locale.
Questa analisi che approfondisce le motivazioni di una grande opera, serve per aiutare a prendere decisioni più informate e a pianificare meglio per una progettualità che preveda anche l'opzione
(realizzazione) zero.

Nel nostro caso non risultano esistere vere e proprie valutazioni e studi che analizzano vari aspetti del progetto sotto detto profilo SWOT. Esistono invece delle analisi (assimilabili) come per esempio: la mitigazione del rischio idraulico, giustificata dalla costruzione della diga, finalizzata alla riduzione dei danni da eventuali alluvioni nel bacino del Brenta con le alternative di riduzione della capacità di stoccaggio tra 20 e 33 milioni di mc d'acqua, come punti di Forza (Strengths) del progetto. Per l'impatto ambientale paventato (Weaknesses) invece si temono: rischi per l'ecosistema locale, con danni alla flora e alla fauna, uniche della zona e non senza una certa pericolosità anche geologica accompagnata da un ulteriore rischio frane. Le Opportunità (Opportunities) che si ipotizzano sono: la produzione di energia rinnovabile e un miglioramento delle aree agricole del comprensorio di bonifica del Brenta.

Tra le Minacce (Threats) permane una temuta un'opposizione pubblica da parte della comunità locale e dai gruppi ambientalisti nonché il permanere, nonostante le misure di sicurezza, dei rischi idrogeologici e le preoccupazioni per la sicurezza delle comunità a valle.

Giuseppe Cancemi

* "Il Vanoi è un torrente alpino che si trova nel Trentino orientale. Ha origine presso il Passo Cinque Croci da vari rivi e torrentelli, attraversa l'omonima valle e sfocia infine nel Cismon. L'alto bacino del Vanoi è chiamato Val Cia."

mercoledì 19 giugno 2024

A PROPOSITO DI LAMBIOI 2024

 Progetto per la Riqualificazione Urbana di Belluno Capoluogo 

Ci risiamo: ulteriore tentativo di ripristino dei luoghi dopo la tempesta Vaia di non molti anni fa.

L’idea dell’area Lambioi come spiaggia di Belluno sulle rive del Piave non è male. Peccato che queste meravigliose sponde appartengono a quelle aree che geograficamente hanno il nome di Golene. Per definizione, le aree golenali sono: “zone di terreno pianeggiante adiacente al letto di magra di un corso d’acqua”. Sappiamo anche, che in caso di temporali o piogge eccezionali, per logica, il livello di acqua si alza e le prime conseguenze sono a carico (danno) di tutto ciò che si trova nelle suddette golene.

Chi dimentica o non tiene conto di queste elementari conoscenze o intuizioni di noi tutti, non convince. E non solo me credo!Per il comune cittadino passi, ma non per chi ha pubbliche responsabilità.


I disastri alluvionali nei ricordi di chi vive a Belluno non dovrebbero essere molto remoti anche come frequenza. E comunque, chi progetta di intervenire in qualsiasi modo, ancora in quell’area, non fa che aumentare il rischio delle conseguenze di una qualche alluvione. Specie in tempi come quelli che abbiamo conosciuto, sperimentato. Abbiamo imparato che il periodico riversarsi di temporali nel vissuto topico, associa il nostro territorio ad una tropicalizzazione del clima prima mai conosciuta.

Nel 2016, tanto per ricordarlo, è stata esitata una “Relazione Idraulica” del Progetto per la Riqualificazione Urbana di Belluno Capoluogo scientificamente ineccepibile, che per gli eventuali interventi pronostica: “l’area oggetto di indagine sia potenzialmente soggetta ad allagamento in occasione degli eventi eccezionali. Nel caso in esame, in analogia con quanto descritto nella relazione tecnica del PAI, l’evento considerato è stato quello con tempo di ritorno pari a 100 anni.”.

Possiamo fidarci della stocastica con gli eventi meteorologici che abbiamo vissuto e sperimentato?

Quanto può essere “dilatato” il rischio accettabile per persone (innanzi tutto), beni localizzati e patrimonio ambientale? 

Chi può assumersi questa responsabilità in nome di una presunta economia di comunità?

Giuseppe Cancemi

venerdì 24 maggio 2024

PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA - Leandro Jannì

 ItaliaNostraAPS

CONSIGLIO REGIONALE SICILIANO

Presidente prof. Leandro Janni  

Segreteria  -  via Leonida Bissolati, 29 - Caltanissetta  

Uffici  di rappresentanza  - via Alagona, 66 - Siracusa

tel. 333 2822538 - tel. 0934 554907

sicilia@italianostra.org  www.italianostra.org  



Maggio 2024

Il PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA:OVVERO PRATICARE

L’AGIOGRAFIA E CANCELLARE LA GEOGRAFIA

«Praticare l’agiografia e cancellare la geografia» si potrebbe dire a proposito dei progetti, degli atti delle attuali forze politiche di maggioranza, in Italia e in Sicilia. Il ponte sullo Stretto di Messina è stata “l’opera simbolo” del Governo Berlusconi. Adesso è “l’opera bandiera” del vicepresidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini. Noi ambientalisti e comitati civici ci abbiamo messo dieci anni, dal 2003 al 2013, per spazzarlo via dalla scena politica. Il Governo Monti staccò la spina. Nel 2023 hanno riesumato la salma del cosiddetto progetto definitivo elaborato nel 2011-2012 dal General Contractor Eurolink, capeggiato da WeBuild. Hanno rimesso in piedi nientemeno che la Stretto di Messina SpA, affidandola a Pietro Ciucci, già amministratore delegato della Stretto di Messina SpA dal 2002 al 2012, ed ora nuovo amministratore delegato della “nuova” Stretto di Messina SpA.  

Il progetto del ponte sullo Stretto è la risposta sbagliata, inutile e dannosa ai problemi del Meridione del Paese. Un progetto lacunoso e incompleto; un progetto che ha già “bruciato” una enorme quantità di risorse; un progetto  che non ha il consenso del territorio e degli enti locali.

Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Salvini non perde occasione per enfatizzare l’utilità del ponte sullo Stretto, presentandolo come «un’opera green, sicura, moderna, un acceleratore di sviluppo per l’intero Meridione, fondamentale per migliorarne la rete dei trasporti». 

«Di fatto si tratterebbe di un’opera gigantesca dall’impatto ambientale devastante. Il Ponte lascerà perennemente nell’ombra interi agglomerati che sorgono nella zona costiera: borghi e villaggi abituati ad un’esposizione solare di 365 giorni l’anno saranno completamente oscurati, i laghi di Ganzirri e di Torre Faro rischiano l’estinzione, la città sarà paralizzata per molti anni da file di camion carichi del materiale di sbancamento: non è stato stabilito neanche un percorso alternativo. I cantieri invaderanno tutta la città» – ci avverte Renato Accorinti, ex sindaco di Messina. 


Il maggiore investimento della Legge di Bilancio 2024 è il ponte sullo Stretto di Messina con 11,6 miliardi di euro già impegnati da quest’anno al 2032. L’attuale Governo non sa fare nemmeno i conti perché nel Def 2023, il costo stimato della “magna opera” è di 14,6 miliardi di euro, compreso il costo delle ferroviarie ma non di quelle stradali. In più, dal prossimo anno entrerà in vigore il nuovo Patto di Stabilità europeo che imporrà un taglio di 15 miliardi l’anno per 7 anni alle nostre finanziarie, lasciando pochissimo spazio a investimenti anche molto più importanti del ponte. 


Insomma: vogliono costruire un ponte a campata unica della lunghezza di 3,3 km, e doppio impalcato ferroviario e stradale, sorretto da due torri alte 400 metri (centro metri più della Tour Eiffel) in una delle zone a maggior rischio sismico del Paese e dove i venti sono tra i più turbolenti. Tutto questo, ovviamente, sottraendo fondamentali risorse economico finanziarie ai veri bisogni del territorio. 

Le ambiguità e le contraddizioni, le criticità del progetto del ponte sono sottolineate dalle centinaia di osservazioni sostanziali formulate dal Ministero dell’Ambiente, dalla Commissione Tecnica del Ministero delle Infrastrutture, dal Ministero della Cultura, dagli Ordini professionali, delle Associazioni e dei Comitati Cittadini. E a questo si aggiunge un piano di espropri che porterebbe alla demolizione di migliaia di abitazioni e di spazi pubblici.


Lo Stretto di Messina è un’area tra le più belle dal punto di vista paesaggistico e tra le più ricche di biodiversità del nostro Paese. Innanzitutto va rimarcata l’importanza della collocazione geografica dello Stretto quale sistema eco culturale, paesaggistico e naturalistico, per correnti, venti, caratteristiche geomorfologiche, presenze faunistiche, ricchezze botaniche e naturalistiche di un territorio antropizzato fin dal paleolitico. Un territorio, un luogo che possiede tutte le caratteristiche per poter essere riconosciuto, dall’UNESCO, meritevole di essere inserito nella Word Heritage List, per eccezionale valore universale quale patrimonio naturale e culturale. «Dobbiamo avere la forza di dire che, come il Teatro Greco di Taormina, come il Colosseo, come Petra, c’è un bene mondiale che va tutelato dalle colate di cemento: lo Stretto di Messina. Dobbiamo essere più forti di chi vuole distruggerlo, far capire che si tratta di un luogo sacro di straordinaria bellezza che va tutelato, dobbiamo essere i protettori del creato. Concentriamo le nostre forze per realizzare l’opera più importante d’Italia: la messa in sicurezza del territorio, che crolla ad ogni temporale» – sostiene  ancora con indomita passione Renato Acorinti. 

In pochi chilometri è contenuto uno scrigno naturalistico dell’intero Mediterraneo, in un contesto tra i più significativi ed espressivi delle culture mitologiche del mondo classico. Ricordo l’intervista allo storico Rosario Villari sul periodico “Italia Nostra” n. 413 del 2005, in cui evidenziava le straordinarie peculiarità storiche e archeologiche del luogo, sia per quanto riguarda l’area calabrese sia per quanto riguarda l’area siciliana. 

L’area dello Stretto è il punto focale di un importantissimo sistema naturale oggi costituito da riserve naturali e parchi naturalistici, ricchissimo di siti delle Rete Natura 2000: i Nebrodi, l’Aspromonte, l’Etna e le Eolie patrimonio UNESCO, l’Isola Bella, le lagune di Marinello, gli ambienti umidi del litorale con gli acquitrini salmastri di Faro e Ganzirri, la zona costiera di Capo Peloro. Inoltre, le alture che si affacciano sulle due sponde dello Stretto sono i luoghi di sosta delle avifaune migratorie. Aspetti questi che richiamano l’art. 9 della Costituzione in cui si stabilisce: «La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni». Così come non può essere ignorato il Decreto Assessoriale 8410/2009 che istituisce la Carta Regionale dei Luoghi dell'Identità e della Memoria. Dunque, le aree interessate dall'opera sono sottoposte a tutela 3 dal Piano Paesaggistico Ambito 9; aree che nelle Norme di adozione del Piano sono dichiarate “invarianti” del paesaggio. 


Sull’utilità dell’opera in ordine alla mobilità, tutti gli studi e le più accreditate valutazioni ritengono che il traffico marittimo tra la Sicilia e i porti del Nord non sia dirottabile sul ponte, visto l’incontrastabile convenienza dei trasporti via mare. Anche il traffico passeggeri risponde allo stesso principio, non essendo concorrenziale con i collegamenti aerei di lunga distanza tra Sicilia e Nord Italia o Europa. Vi è inoltre ancora necessità di ricordare che le assai carenti infrastrutture stradali e ferroviarie non permettono oggi i normali spostamenti tra le varie città dell’Isola. E ogni giorno emergono nuovi limiti del progetto: è troppo basso per le nuove dimensioni delle navi da crociera e da carico; deve essere mantenuto il sistema dei traghetti per la elevata percentuale di indisponibilità per vento eccessivo; le indicazioni europee stimolano i trasporti via mare e non via terra per il minor costo e il minor inquinamento. Per affrontare il problema reale di miglioramento dei collegamenti, si potrebbe e si dovrebbe intervenire con investimenti innovativi nel settore traghetti, proseguendo negli interventi già in corso nell’ambito del PNRR.

I costi di realizzazione del ponte sono enormemente superiori a opere comparabili (il ponte Sultan Selim sul Bosforo, con una campata principale di 1,41 km e una lunghezza totale di 2,2 km, è costato € 2,3 miliardi; il ponte di Akashi Kaikyō, con una campata centrale di oltre 1,9 km è costato € 3,38 miliardi). L’area di influenza del ponte ha una significatività economica relativamente modesta e il volume dei pedaggi non sarebbe in grado di ripagarne le spese, che sarebbero invece a carico dello Stato (al contrario, ad esempio, del Tunnel della Manica, totalmente a carico del traffico). 

Alla luce di tali considerazioni e dei molti indicatori critici rilevati nel corso delle verifiche, l’associazione Italia Nostra intende quindi convocare, a breve, un incontro internazionale di tecnici e di studiosi, per contribuire ad un ulteriore approfondimento delle conoscenze relative alla “questione ponte”.

Infine, ricordo le parole di un grande scrittore siciliano, Gesualdo Bufalino: «Il ponte sullo Stretto? Personalmente mi sta benissimo, a patto di non sovrapporre metafore e simboli indebiti ad una operazione di semplice ingegneria. Voglio dire che non sarà un modesto guadagno tecnico nei tempi di traghettamento a modificare o a guarire la nostra vocazione claustrofila e il vizio di fare della solitudine un trono e una tana. Caso mai sono altre le conseguenze che l’evento (se accadrà) si porterà dietro: di favorire lo smercio e la circolazione dei nostri vizi nel resto della penisola; e di aizzare le nostre virtù a degradarsi più velocemente nell’ omologia generale dei contegni e dei sentimenti. Poiché con le isole il punto è questo: sono di per sé parchi naturali e riserve dove lo “specifico” indigeno resiste più a lungo: sicché rimane sempre da sciogliere il nodo se convenga tutelarle a costo di sequestrarne anche le più selvagge memorie, o spingerle verso una moderna ma ripetitiva e anonima identità. Insomma è la solita solfa del contenzioso tra passato e futuro, natura e cultura, lucciole del pre-industriale e chimiche del post-industriale… Il ponte ovviamente giocherà a vantaggio di questa seconda ipotesi, benché non molto più, credo, di quanto abbiano già fatto l’Alitalia e l’Autostrada del Sole. Resta da vedere se e come esso possa contribuire a renderci più italiani. Qualcuno dubita che non lo siamo abbastanza o che desideriamo non esserlo più. Proprio su la Repubblica (del 31 agosto 1985) Arbasino ci attribuiva una smania di staccarci dalla nazione e ce ne concedeva licenza. Obietto che, dai tempi di Salvatore Giuliano, fra le maschere sanguinose della mafia il fantasma del separatismo non è più ricomparso: e che oggi un eventuale referendum secessionista non raccoglierebbe in Sicilia più di mille o duemila suffragi… La verità è che fanatismo regionale e fermenti antiunitari sono da noi assai meno vigorosi e loquaci che non in tanti altri luoghi d’Italia, dall’Alto Adige alla Sardegna, dal Veneto alla Val d’Aosta. Basterebbe, per appurarlo, una gitarella a Messina… Con tutto ciò, come negare l’esistenza del tumore Sicilia e delle sue minacciose metastasi d’esportazione? E’ un morbo vecchio di secoli, ma non saranno né la segregazione né l’ aggregazione a salvarcene: né una chirurgia che ci amputi, né un ponte che ci concilii. Occorrono cure diverse, e io dico timidamente: libri e acqua, libri e strade, libri e case, libri e occupazione. Libri» (la Repubblica, 19 settembre 1985).  

Prof. Leandro Janni, presidente di Italia Nostra Sicilia

giovedì 7 marzo 2024

Restauro, Recupero, Ristrutturazione, Risanamento... e poi?

 

 CENTRO STORICO? PARLIAMONE...


Se non ricordo male, il centro storico di Caltanissetta nel PRG di oltre un ventennio fa, veniva definito dallo zoning come centro direzionale, commerciale e residenziale. A distanza di non poco tempo la complessità che riguarda i molti aspetti della vita sociale, economica e culturale delle città italiane è aumentata. La crisi del commercio tradizionale per prima, è stata una delle cause principali che ha fatto iniziare lo svuotamento dei centri storici e portato alla chiusura di molti negozi e attività.
Secondo una recente indagine di Confcommercio, in dieci anni sono spariti in Italia quasi centomila negozi nei salotti buoni delle città, sostituiti da ristoranti, alloggi e servizi per il turismo. L’attrattiva e la vivibilità dei centri storici per i residenti, si sono spostati verso le periferie o le piattaforme on-line per i loro acquisti. Per Caltanissetta però questo, forse, è accaduto solo in minima parte.
Altro fattore che contribuisce non poco allo svuotamento del nostro centro storico come per tutti gli altri è la mobilità, compresa la difficoltà di accesso, sia per i residenti che per gli eventuali visitatori. La circolazione a causa delle strade strette, aree pedonali condivise con il traffico, e scarsità o problematicità dei parcheggi e del trasporto pubblico contribuisce all'abbandono.
Per contrastare questo fenomeno, si potrebbe pensare a politiche di sostegno e incentivazione al commercio di prossimità, che valorizzino la qualità, la diversità e l’identità dei prodotti locali.
Si potrebbe anche favorire la collaborazione tra i commercianti e le altre realtà del territorio, come le associazioni culturali, le scuole e le istituzioni, per creare eventi, iniziative e sinergie che rendano i centri storici più vivi e attrattivi.
Per migliorare la situazione, si potrebbe investire in soluzioni di mobilità sostenibile, ove possibile, come piste ciclabili, mezzi elettrici, parcheggi interrati, servizi di car-sharing e di bike-sharing. Si potrebbe anche promuovere una maggiore integrazione tra i vari modi di trasporto, per facilitare gli spostamenti tra il centro e la periferia.
Il patrimonio architettonico e culturale del centro storico, per essere maggiormente attrattivo, lo si potrebbe rendere più accessibile installando ascensori, rampe, passerelle e altri dispositivi allo scopo di superare le esistenti barriere architettoniche.
In ultimo, ma non l'ultimo degli aspetti più da riqualificare in centro storico, è quello di rafforzare il senso di comunità e di appartenenza dei residenti e dei visitatori.
Ma tutto questo ha bisogno prima di tutto che vi sia tra Comune Provincia e Regione una sinergia istituzionale non senza il coinvolgimento dell'economia locale (Confcommercio, Confartigianato e Confindustria) e delle organizzazioni sindacali. Un progetto comune di rinascita socio-economica.
Il nostro centro storico viene oramai vissuto come luogo estraneo e, forse anche, anonimo, deserto, insicuro, privo di identità e di valore. Per invertire questa tendenza, si potrebbe stimolare la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni e nelle azioni che riguardano il loro territorio. Si potrebbe anche valorizzare la storia, la cultura, la tradizione e la creatività dei centri storici, attraverso progetti di recupero, restauro, riutilizzo e innovazione degli spazi e dei beni.
Non senza, una necessaria, incentivazione della convivenza e della solidarietà tra le diverse generazioni, culture e categorie sociali che abitano/frequentano il centro storico, promuovendo iniziative di inclusione, integrazione e cooperazione.
Giuseppe Cancemi

mercoledì 6 marzo 2024

Abitare in C. S. a C/ssetta


 CENTRO STORICO DI CALTANISSETTA. QUALE FUTURO?

(di Giuseppe Cancemi)

La questione centrale che emerge dal tema di quest'incontro, fa parte di ciò che affligge gran parte del Paese Italia in questo momento storico. il pesante bilancio del commercio, lo spopolamento e una presenza fluttuante di popolazione alloctona “invisibile”, fanno tutti parte di uno stesso fenomeno abitativo in città stranamente contraddittorio.

Non si trovano case in affitto nei centri storici, pur in un mercato di vuoti edilizio-abitativi relativamente in abbondanza.

Da parte dell'economia si sa, che tra il 2012 e il 2023 il commercio ha perso oltre 111mila negozi al dettaglio ed è cessata l'attività di 24mila unità nel commercio ambulante. Fattori non indifferenti, che hanno contribuito e contribuiscono alla desertificazione dei centri urbani, con calo e/o riduzione dei servizi ai cittadini. Il commercio di vicinato, pur anch'esso colpito, sopravvive in alcuni casi, a fatica, anche se per limitati consumi non serviti da internet. Di questi epocali mutamenti in ambiente cittadino, ne è responsabile in gran parte l'e-commerce.

Ma l'Italia non si arrende, anzi, prova e riprova ad attrezzarsi per andare avanti! Secondo alcuni studi e ricerche, i centri storici in Italia sono diventati sempre più una realtà variegata e polarizzata, in cui convivono situazioni di vitalità e di crisi, di conservazione e di rinnovamento, di attrazione e di abbandono. Alcuni centri storici sono diventati dei poli di sviluppo e di innovazione, grazie alla presenza di attività economiche, culturali e turistiche, mentre altri sono rimasti marginali e degradati, come causa/effetto della perdita di servizi, della popolazione e della qualità urbana.

Il panorama è assai vario ed aiuta poco, ai fini di una eventuale scelta modellistica, nell'eventualità che se ne volesse mutuare qualcuna.

Sappiamo comunque, che non è facile dare una risposta univoca al futuro del nostro centro storico, perché ogni scelta dipende da tanti diversi fattori e tra questi, per esempio, il complesso delle dinamiche socio-economiche, la valorizzazione del patrimonio culturale e ultimamente anche, la sostenibilità ambientale e con quale tasso di partecipazione i cittadini affrontano le problematiche.

In Sicilia e non solo in Sicilia, con la cosiddetta Autonomia differenziata, bisogna anche dire che l'incognita maggiore sta principalmente nelle politiche ondivaghe delle leggi esitate e/o in corso, in materia di edilizia e di urbanistica. Secondo il Consiglio dei Ministri, recentemente, la legge regionale n. 2/2022 della Regione Siciliana “eccederebbe dalle competenze statutarie presentando profili di illegittimità costituzionale”.

Purtroppo, ci si deve barcamenare anche tra vecchi e nuovi orientamenti che contraddicono la sostenibilità e il consumo di suolo. Nella nostra Sicilia per esempio, siamo ancora combattuti se riesumare o meno, la sanatoria edilizia e/o mettere in soffitta lo Zoning e gli standard residenziali: “per attrezzature ed impianti di interesse generale” che nel tempo, per quest'ultimi, siamo riusciti a mantenerli non negoziabili.

Al Teatro Margherita domani (7 marzo 2024) il Comune di Caltanissetta

presenterà due casi di studio, sulle nuove procedure attuative del Piano Urbanistico Generale, che provengono dalla Legge Regione Sicilia n.19/2020.

Un qualcosa di accademico, dal titolo: “Status del P.U.G.” più di attività culturale, molto interessante, ma che fa sorgere una qualche perplessità in un momento in cui preme di più la crisi urbana, diventata endemica, che attanaglia la città nissena. Argomento, sicuramente utile per le procedure di Piano Urbanistico Generale, che può interessare di più ad un ordine professionale di riferimento che non all'interesse comune dei cittadini.

Il nostro centro storico, tra sfide e opportunità del futuro, nel suo insieme e non diversamente da tanti altri centri storici in difficoltà, va visto come bene comune da tutelare e valorizzare, nell'ottica di recupero di una maggiore vivibilità e funzionalità dei luoghi, nell'interesse generale di poter soddisfare le varie esigenze dei residenti e dei visitatori.

L’UNESCO in questo senso, ha elaborato delle linee guida per integrare la conservazione del patrimonio urbano, nelle strategie di sviluppo socioeconomico, basate sul concetto di Historic Urban Landscape, ovvero di paesaggio urbano storico.

Un classico esempio di progetto pilota, lo ha realizzato Mozia, cuore delle saline di Marsala nella Riserva Naturale Orientata.

Lo si ritrova in una tesi accademica applicata (e realizzata) sulla musealizzazione dell’isola, che muovendo dal sito archeologico dell’isola ne preconizza una rinascita all’interno dell’immenso suo patrimonio artistico. Un approccio olistico e dinamico, che tiene conto non solo degli aspetti materiali e immateriali del luogo, ma anche delle sue trasformazioni e delle sue relazioni con il contesto naturale e sociale.

Non è convinta di una medesima interpretazione di “Città museo” , Cecilie Hollberg direttrice dell'Accademia di Firenze. Esprime una grande preoccupazione a suo dire, per quella città, schiacciata dal turismo, esprimendosi testualmente con: “Non troviamo più un negozio, una bottega normale ma solo oggetti esclusivamente per turisti come gadget e souvenir..”

Per Caltanissetta, al punto in cui siamo, non saranno certo le strade che conducono al centro, immaginate da qualcuno innovate al massimo: dal volume di traffico alleggerito, con tanti parcheggi e senza limiti per la circolazione a risollevare la città, dalla crisi socio-economica del momento attraversata.

Dai progetti annunciati con qualcuno realizzato, di cui si è visto e si sente parlare, si avverte però un gran distacco tra il bisogno e le risposte.

Non esiste un raccordo progettuale tra il “materiale e l'immateriale”.

Il progetto di Via Mazzini “social home”, la Caserma Capitano Franco, la scala mobile della scalinata Silvio Pellico e forse altro ancora, ne sono un esempio. Non sembrano esprimere un concorde indirizzo di scopo ma una produzione di volume edilizio in opere a sé stanti.

Sono interventi che non hanno un nesso con una progettualità che proviene da analisi multicriteria, di recupero funzionale tra domanda e offerta, di opere avvertite dalla cittadinanza come bisogni reali e non indotti.

Sono solo segnali di operazioni occasionali, che provengono da realizzazioni fatte o da fare in totale assenza di un dialogo tra progetti e reali interessi della comunità nissena. Scelte “senza anima”, che appartengono ad una casualità distratta da piccoli interessi, non coincidenti col bisogno di una città in crisi profonda e non da ora.

Il centro storico, a fini di un'investimento nel “mattone” per gran parte dei nisseni, lo sappiamo, non è appetibile da un punto di vista edilizio. La conservazione storica e urbanistica, sia pure non eccessiva, non interessa a nessuno. Lo stock edilizio ha scarse possibilità di incremento, e dunque non consente abbuffate speculative.

Cosa fare allora per iniziare con qualcosa per il centro storico, diciamo “a mani nude”?

Come attività in campo, un primo suggerimento di incipit lasciato alla fantasia umana/urbana si può dare.

Si provi ad immaginare un giardino di pietra in quelle aree costituite da muri crollati, blocchi, ruderi in generale e superfici orizzontali, tutti ripuliti, messi in sicurezza e ricoperti da piante spontanee di vario tipo, specie e colori.

Quel luogo non più com'è adesso, si ritroverà “ingentilito” da tanti piccoli interventi “verdi”.

si può cominciare anche da subito nella trasformazione, Non appena anche pochi interessati, cittadini di buona volontà, daranno la loro adesione.

Si sa già in partenza, che molti nisseni sono già abituati a dare un tocco verde al proprio balcone. I tanti, a pensarci bene, potrebbero abilmente diventare quel popolo non solo che può dare l'avvio all'operazione: GIARDINO DI PIETRA, ma anche parte di quella risorsa corale che serve di più per un inizio di progetto condiviso.




giovedì 22 febbraio 2024

I CASOTTI DI BELLUNO

Nuova vita ai casotti, pardon, 'casòt' di Belluno

Riconducibile all’attività 'edilizia libera' di cui all’art. 6 del D.P.R. 380/2001

Suvvia! Mi pare giusto che il Consiglio comunale di Belluno si occupi di casotti. Anche, perché la Regione Veneto sta mettendo ancora le mani, su una riforma urbanistica regionale assieme ad altre buone intenzioni, come la semplificazione urbanistica (progetto di legge n. 513) e la differenziata compresa. Non quest'ultima per la raccolta ma per l'Autonomia. 

Forse con questa modifica, si vuole aggiungere una nota locale alla transizione di potestà urbanistica tutta veneta, finora però prerogativa esclusiva dello Stato.

Per carità, comunque, non senza tutte le premesse di intervenire sul territorio, in termini di sostenibilità ambientale a livello regionale e con imperituro impegno volto al contenimento nel consumo di suolo.

Per la stampa locale di qualche giorno fa, infatti, le “ Buone notizie” del tanto atteso (sic!) “rinnovo dei ricoveri attrezzi” narrano di una deliberazione comunale, intesa a modificare il Regolamento Edilizio a favore un atteso decoro urbano. I cittadini ora potranno rimettere a posto i famosi 'casòt' di Belluno, rendendo giustizia alla identità bellunese.

La città vuole essere pronta, per una prevista rigenerazione dell'urbanesimo veneto che circola. E per questo, anche Belluno ha inteso mettere il suo 'carico', sicuramente assai utile e necessario, per un nuovo corso dell'urbanistica cittadina.

In effetti si sa che la modifica ultima del R. E. pubblicata sul sito comunale, risale a fine dicembre 2023 e l'ampliamento è già vigente.

Comunque, udite... udite, l'operazione casotti, per gli “addetti ai lavori”, consentirà di ampliare e forse anche modificare il “casotto” che negli ultimi anni era nei desiderata dei cittadini. E ora diciamo, col solo 'fastidio' dell'accatastamento, finalmente diventa realtà. L'incognita resta per l'eventuale riconfigurazione di questi “edifici a scopo di ricovero”, autorizzati a possibili ritocchi e/o a nuovi interventi di edilizia. Quanto impattanti possano rivelarsi da ora in poi, non sfiora l'idea e l'immagine di una probabile diversa identità urbana di Belluno. Ma quello che vale da ora in poi, è più che il tutto vada sotto la 'rivoluzionaria' etichetta di “libera edilizia”.

Dagli indicati 8 metri al quadrato, massimo (senza accatastamento), consentiti dal Decreto del Ministero delle Finanze di: tettoie per porcili, pollai, casotti, concimaie, pozzi e simili, con quest'ultima modifica al Regolamento Edilizio (forse) i 9 m al quadrato sono un'affermazione di principio locale. Con questa nuova norma nel R. E., varia il volume da 8 a 9 metri quadrati, ferma restando l'altezza utile di non oltre 1,80 m e il volume massimo di 150 mc.

Intanto, si registra che nel R.E. pubblicato sul sito comunale: DELIBERAZIONE DI C.C.N.114 del 28/12/2023 nel : QUADRO DELLE DEFINIZIONI DEGLI ELEMENTI DI ARREDO DELLE AREE DI PERTINENZA riconducibili all’attività edilizia libera, il significato: “Casotto” o “Casòt” usato dall'articolo di stampa corrisponde ad un eufemismo: 'Ripostiglio per attrezzi'. Sarà perché si vuole sottolineare che il “ritocco” aderisce più al R.E. : AREE DI PERTINENZA riconducibili all’attività edilizia libera art. 6 del D.P.R. 380/2001 ?

Peccato che di questa importante e cogente modifica al R. E. passata in Consiglio comunale, non si sia potuta leggere alcuna riflessione sulla risultante di un eventuale rinnovo, che possa ferire il decoro urbano esistente.

O magari, senza malizia alcuna, che si possa favorire la comune voglia di allargarsi verso un suolo agricolo limitrofo alla propria abitazione, al di là dell'interesse di comunità.

Qualcuno diceva in passato, che a pensar male ci si azzecca, e qualcun altro riferendosi al medesimo motivo, invece: che si fa peccato. Nel nostro caso, della modifica al R.E., il passaggio da 8 a 9 mq e una silente approvazione, sembrano quasi più aderire al pensare male e che no, non si fa peccato.

Aspetteremo in seguito e si vedrà, a quali obiettivi della transizione ecologica si è voluto aderire tra consumo di suolo zero e sostenibilità con la detta modifica di R.E..

Intanto, è quanto meno bizzarro, in tempi di transizione ecologica non occuparsi prioritariamente delle risorse vitali. Acqua per prima!

I ghiacciai che scompaiono, i fiumi che esondano, le acque salmastre che risalgono dalle foci non bastano forse per sollecitare agli umani che bisogna fare qualcosa per il clima, la temperatura del pianeta e al fine di difendersi oramai, dalle disastrose conseguenze.

Non sfiora l'idea che a fronte di una scarsità delle risorse idriche, a partire dal Regolamento Edilizio, un cambio di paradigma nell'uso  dell'essenziale risorsa 'acqua', per gli esseri viventi, è un grande passo di conservazione delle specie tutte, umanità compresa, per prima.

Tutto il mondo si aspetta che oltre una “green economy” vi sia anche un nuovo modo di governare il territorio, nel quale, negli ultimi tempi, l’assetto locale vive tutte le problematiche che minacciano il futuro. L'agricoltura per esempio, ha lanciato e continua a lanciare segnali importanti per la sete dei campi che producono cibo. E non solo in Italia ma anche in altre parti del nostro pianeta.

Ma anche le città sono colpite dalla “sete”. Ciclicamente, alcune debbono rivedere la tempistica dell'erogazione idrica alle loro popolazioni, mentre per altre per la carenza del prezioso liquido è in aumento. Intanto questo, solo così per ricordare uno dei problemi che dovrebbe farci riflettere.

Nel caso nostro, a proposito di Regolamento Edilizio, per essere anche propositivi, viene in mente che la Belluno operosa si può attrezzare meglio e di più, nel risparmio idrico con alcune soluzioni.

Il tema delle acque è vario. L'uso umano ha bisogno necessariamente di una potabilizzazione spinta, diversamente da quelle strettamente irrigue agricole e per le produzioni industriali, le quali, necessitano di purificazione sì ma di convenienza. E già questo semplifica e indica ciò che si può fare per un inderogabile riutilizzo delle acque in un territorio.

Trattenere le acque il più a lungo possibile sulla terraferma,  pluviali comprese, è l'imperativo per una esigenza indifferibile. Un possibile rallentamento dei corsi d'acqua anche per evitare piene distruttrici, si ottiene mantenendo in ordine le aree golenali (Lambioi per fare un esempio). Altrettanto utile è anche il ricircolo delle acque potabili già utilizzate, per usi vari come acque grigie, attraverso un'apposita ulteriore circolazione. Sapendo che si può fare tanto altro, capillarmente, per famiglia.

Anche nella nostra città si può pensare ad una scelta urbanistico-edilizia, per esempio, che affronti attraverso un nuovo Regolamento Edilizio un percorso fattibile, di nuove scelte applicabili alle future ristrutturazioni e/o nuove costruzioni edilizie.

L'introduzione di una seconda circuitazione idrica (ad esempio) con raccolta o meno anche delle acque meteoriche, è l'uovo di Colombo.


Intraprendere la via del risparmio idrico significa, mettere in campo un sostanziale elemento d'approvvigionamento d'acqua. Un qualcosa che con l'innovativa economia circolare apre anche a nuovi spazi di lavoro, specializzazioni e favorisce le condizioni per un know-how che sicuramente si presta a diventare esportabile.

Giuseppe Cancemi 

sabato 10 febbraio 2024

BELLUNO: RISPARMIO IDRICO E NON SOLO...

 Il bisogno dell'acqua si fa sempre più pressante per la nota crisi dovuta al riscaldamento globale.

Iniziare a considerare le acque per il loro effettivo uso: agricolo, industriale e civile è il primo passo che bisogna fare verso la riduzione degli sprechi in termini quantitativi e non senza un'attenzione verso i riflessi economici.

Sappiamo che nel mondo 3,6 miliardi di persone non hanno accesso all'acqua per almeno un mese all'anno e si prevede che questa cifra aumenterà a più di 5 miliardi entro il 2050. 

Il consumo delle acque è vario. L'uso umano ha bisogno necessariamente di una potabilizzazione spinta, diversamente da quelle strettamente irrigue agricole e per le produzioni industriali, le quali, necessitano di purificazione sì ma di convenienza. E già questo semplifica e indica ciò che si può fare per un inderogabile riutilizzo delle acque di un territorio.

Trattenere il più a lungo possibile le acque in generale sulla terraferma, pluviali comprese, è diventata un'esigenza indifferibile. Un possibile rallentamento dei corsi d'acqua anche per evitare piene distruttrici, si ottiene mantenendo in ordine le aree golenali (Lambioi per fare un esempio). Altrettanto utile è anche il ricircolo delle acque potabili già utilizzate, attraverso un'apposita ulteriore circolazione come acque grigie.

Tutti contributi per un avvio verso una ricercata soluzione razionale e valoriale del risparmio idrico.

Per avere un'idea, i Comuni che affrontano i temi legati ai cambiamenti climatici, con l’adattamento dei propri Regolamenti Edilizi, in Italia sono 298.

Anche nella nostra città si può pensare ad una scelta urbanistico-edilizia, per esempio, che affronti attraverso un nuovo Regolamento Edilizio un percorso fattibile, che scelga di applicare alle future ristrutturazioni e nuove costruzioni edilizie. L'introduzione di una seconda circuitazione idrica con raccolta o meno anche delle acque meteoriche è l'uovo di Colombo. Un sistema misto di circolazione dell'acqua potabile la quale, successivamente depurata, si usa come acqua grigia che viene ulteriormente impiegata per altri appositi consumi d'uso civile. Un inizio virtuoso di risparmio idrico che fa bene all'ecologia e all'economia.

Nella scelta del risparmio idrico, fattibile, Belluno ha anche un suo ulteriore vantaggio orografico oltre che panoramico. Nell'affaccio della parte storica della città verso il Fiume Piave, una diversità di quota tra abitato e corso d'acqua, rende immaginabile che si possa ricavare elettricità dalla trasformazione dell'energia cinetica potenziale, posseduta delle acque reflue che si riversano perennemente in quel Fiume.

Altri vantaggi che può apportare il risparmio idrico sono notevoli. Basti pensare che già il trattenere a lungo le acque sulla terraferma solo mediante il riutilizzo, fa diminuire la necessità delle consistenti scorte idriche e produce un indotto economico. Ma più di tutto, vale la pena ricordare che intraprendere la via del risparmio idrico significa, mettere in campo un sostanziale elemento d'approvvigionamento d'acqua. Un qualcosa che con l'innovativa economia circolare apre a nuovi spazi di lavoro, specializzazioni e favorisce le condizioni per un know-how sicuramente anche esportabile.

Giuseppe Cancemi

martedì 2 gennaio 2024

La Pista per il Bob a Cortina

UNA STORIA SENZA FINE


La foto alberata rappresenta quello che è il luogo: lo stato di fatto.

Il progetto fa 'sparire' gli alberi, facendo illudere su una 'immaginata' neve che non si vede da anni.


 Gira e rigira dopo più volte avere letto e sentito dire che la pista di bob a Cortina non si può e non si deve fare, torna ancora arrogantemente riproposta da un potere politico dal volto sovranista che vuole imporre ciò che in democrazia si respira come, non si sa, se logica autoritaria o abuso di potere.

Il binomio Comitato Olimpico Italiano e Regione Veneto continuano ad insistere nel volere realizzare questo 'prestigioso oggetto' di rivalsa politica, forse, per rassicurare i “tycoon de noantri” su chi “comanda” in Italia.

Tutti in Italia e fuori però sanno, a vari livelli, che una nuova pista sportiva per pochissimi interessati: atleti e tifosi, economicamente esosa e dannosa per l'ambiente naturale, non è e non può essere un irrefrenabile oggetto del desiderio, neanche per gli stessi veneti.

Il bob in Italia ha due squadre di 9 uomini e una donna. Complessivamente, non si sa neppure quanti siano i praticanti di questo sport. Si stima, che possano essere da venti a trentotto persone in tutto. I bob club presenti in Italia, infatti, sono solo in poche località montane come Cortina, Cesana Pariol, Lorenzago, Pelos e Mottarone34.

Diciamo che è uno sport che non può dirsi neanche di élite, per la sua presenza numericamente insignificante sul territorio. Se per tale sport da 'gruppo esclusivo' si discute da qualche anno per una sua apposita pista, costosissima in termini soprattutto ambientali, viene da chiedersi se c'è un perché. Sfugge, una tale aberrazione a moltissimi italiani, i quali, lontani e contrari al solo pensiero che tale costo (superiore ai 100 milioni) possa gravare su tutti e, ironia, anche su quelli che forse nella loro vita, hanno visto la neve solo qualche volta in televisione.

A parte ogni altra considerazione, la realizzazione di un simile obbrobrio in ambiente naturale, se realizzato, costerebbe il sacrificio di centinaia di alberi ed una forte compromissione dell'ecosistema montagna, che finora ha contribuito al mantenimento dell'alta biodiversità italiana nel mondo.

Da un punto di vista pragmatico, facendo un po' i conti della serva, intanto, il costo non sarà di 100 milioni come dicono, ma ancora di più. Se non ricordiamo male, per quello di Cesana Pariol (TO) di qualche tempo fa, utilizzato per una ventina di eventi e 6 anni di vita, è costato oltre i 100 milioni.

Nel nostro caso, anche con solo 100 e passa milioni per 38 utilizzatori, la spesa di quasi 3 milioni per ogni atleta rimane sempre esagerata, anche se si escludono i costi annuali di gestione.

Domanda: con un finanziamento pubblico, si può creare una struttura sportiva, il cui costo elevato non considera il suo risaputo scarso impiego per i pochi atleti, e un quasi inesistente potenziale di eventuale pubblico?

Una simile spesa, se non è paragonabile a quella fatta singolarmente per tutte le altre specialità agonistiche per atleti e pubblico assai numerosi (di élite e di massa), non è solo una ingiustizia sociale, ma un discrimine, uno schiaffo morale a tanti altri atleti e a chi ha scelto di seguire altre specialità competitive.

L'artificio che la cifra comunque, per qualcuno, è giustificabile per una qualche ulteriore primato mondiale conseguibile, è una falsa misera aspettativa. Nelle competizioni agonistiche, i primati conseguibili sono tanti, e numerosi gli atleti che li ambiscono. Nella competizione di Milano-Cortina di cui parliamo, si contano 16 discipline olimpiche, e le loro strutture olimpiche dai costi ed oneri generalmente più conternuti, praticate da pattuglie di atleti che vi competono, non sono considerate certo inferiori sia nel prestigio che nell'immagine agonistica.

La giusta rinuncia alla pista di bob che aveva placato gli animi fino all'altro ieri, sembra essere ritornata nuovamente in questi giorni alla ribalta. Una nuova accensione dei riflettori su un progetto ch'era stato accantonato, smentendo l'esistenza di un piano B  rimette in gioco il progetto originario, dandolo in corso di affidamento. 

Ma la telenovela non finisce qui. 

Il nuovo appuntamento per quando si potrà avere un responso definitivo, però, viene rinviato alla fine di gennaio. 

Chi è a capo della commissione che si occupa dei Giochi italiani, fa sapere da parte sua che per il CIO la pista a Cortina di cui si discute non è essenziale per le gare di bob, slittino e skeleton di Milano Cortina. Si resta dunque in attesa di un, diciamo, ultimo responso del CIO. Quest'ultimo sottolinea che, pur rimanendo coerente con quanto anzi detto, riconferma la dipendenza del progetto dai tempi e dai bandi di gara e, comunque, che a decidere sarà la Fondazione Milano-Cortina. Una storia ambigua senza fine con una ancora pilatesca decisione finale la cui eco si protrarrà nel tempo.

Pervicacemente Regione e Comitato Olimpico (?) non rinunciano, e si ritorna a parlare di “piano A” pur se i costi già elevati lieviteranno ancora, la manutenzione per il mantenimento dovrà essere iscritta annualmente a bilancio. Insomma l'operazione 'pista da bob' fa a pugni con il consumo di suolo, la transizione ecologica e il riscaldamento globale o cambiamento climatico mondiale che con questo eventuale intervento vengono dimenticati.

La preoccupazione del Sindaco di Cortina che teme per il Comune amministrato un rischio “default” non viene minimamente considerata. Nelle more di questa storia senza fine, non manca un certo risentimento del neosindaco che taccia il suo predecessore di avere firmato gli accordi olimpici con superficialità.


Stupisce particolarmente il Presidente della Regione, che in questa opera assurda riesca a vedere un business economico favorevole allo sviluppo per le terre alte menzionano la costruzione di nuove strade. Un'ottica tutta diversa, specie per le aree montane dove andrebbero rivisitati gli spostamenti per: servizi, mezzi di locomozione, tempi e logistica a favore di un trasporto pubblico, e una esclusione totale dell'occupazione di suolo con nuove strade, in ragione di una lentezza che è sempre stata propria della vita di montagna. Il turismo ricerca quella tranquillità della montagna che non trova tutti i giorni nelle città di pianura.

Evviva, negli anni 60 con uno slogan si invocava la fantasia al potere, oggi cosa possiamo dire? Che gratuitamente, senza 'colpo ferire' abbiamo ottenuto qualcos'altro che si potrà celebrare come: la tronfiezza del potere!

Giuseppe Cancemi



martedì 21 novembre 2023

Uomini e Carusi di miniera nell'arte

 

PITTURA CHE RICORDA "I SURFARARA"

Caltanissetta il 12 novembre 1881 all’interno della zolfara di Gessolungo persero la vita 65 minatori, tra questi 19 “carusi”: bambini tra gli 8 e i 16 anni, nove dei quali rimasero senza nome.

A quell’evento si ispirò probabilmente Onofrio Tomaselli di Bagheria realizzatore nel 1905 dell’opera “I Carusi”.

Tomaselli, è un artista il quale, come altri pittori dell’epoca, risente di esperienze pittoriche al di fuori dell’isola ed in particolare del paesaggismo e delle tendenze veriste della scuola napoletana.

Tomaselli non è comunque un semplice artista, ma è anche un uomo politico, del comitato centrale del Partito Comunista Italiano e senatore del Regno, e quindi particolarmente sensibile ai problemi sociali. Il compaesano Guttuso è allievo proprio del Tomaselli. 

Renato Guttuso  nato a Bagheria 1911, nella realizzazione de “La Zolfara”, riconosce di essersi ispirato al quadro del suo maestro. 

Nel raffrontare le due opere però, si rilevano due stili profondamente differenti: un crudo, seppure in parte “macchiaiolo” verismo di Tomaselli, ed una forte e coloratissima raffigurazione di Guttuso.

Nella pittura di Guttuso, che appare “materica” egli è solito fare, molti gialli, molti rossi in un cromatismo molto influenzato: dall’Ottocento francese al cubismo di Picasso.  Ne “la Zolfara”   non ci sono “I carusi” di Tomaselli, ma uomini adulti, fatta eccezione per un solo “Caruso” in primissimo piano.

Giuseppe Cancemi