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sabato 20 settembre 2025

 A proposito del Piano Urbanistico Attuativo in Variante al Piano degli Interventi, in via Vittorio Veneto - BELLUNO

Si OSSERVA ...

 che la Variante del Piano Urbanistico Attuativo (PUA) di iniziativa privata, inserita nel Piano degli Interventi, sono espresse dai cittadini di questo Comune e da tutti i sottoscrittori che si riconoscono nei motivi di diniego qui esposti. Le motivazioni formalmente espresse si oppongono alla Variante in oggetto, approvata dal Consiglio Comunale di Belluno.

In particolare, non si intende accettare le modifiche proposte dal PUA in un’area storicamente classificata come Zona Territoriale Omogenea F, vincolata a Verde Pubblico nel vigente Piano Regolatore Generale. Il dibattito culturale che ha accompagnato questo PUA non si colloca nel solco dell’innovazione urbanistica che ha caratterizzato epoche passate.

La proposta progettuale, nella sua attuazione, continua a manifestarsi secondo una logica edilizia convenzionale, priva di visione urbanistica evoluta. Sono trascorsi invano i tempi della legge quadro n. 1150/1942, che, nella sua riformulazione, aveva introdotto principi di razionalismo umanistico e avviato una moderna ricerca urbana, con l’obiettivo di migliorare la convivenza sociale.

In altre parole, quelle norme — ancora oggi attuali — promuovevano un’urbanistica fondata su una residenzialità più umana, che tuttavia resta ancora largamente inattuata. Belluno, in passato, ha vissuto momenti di avanguardia urbanistica: dalla città Giardino di Cavarzano, ispirata al modello di Howard e progettata dall’architetto Alpago Novello, fino al Masterplan “Città sostenibile a misura d’uomo” del 2012, rimasto incompiuto. Purtroppo, questo percorso virtuoso si è progressivamente arenato.

Come in molte altre realtà italiane, anche Belluno ha ceduto al fenomeno dell’edilizia speculativa, alimentato dai vantaggi della cosiddetta “rendita di posizione” dei terreni. L’origine di tale deriva

può essere ricondotta alla lunga fase di ricostruzione postbellica, che ha incentivato la lottizzazione dei suoli agricoli.

Lo sviluppo edilizio — più che urbanistico — lungo la S.S. 50 rappresenta un classico esempio di espansione lineare, visibile anche nell’area di Baldenich. In circa 75 anni, la città ha avuto 14 Amministrazioni comunali e un’urbanistica segnata da ben 76 varianti: una media di circa 5 per ogni Amministrazione, ovvero una all’anno. Di queste numerose varianti, non è chiaro quante siano state effettivamente integrate o ricondotte in un unico Piano Regolatore Comunale, in una versione coerente e leggibile di PRG/PRC.

Il- progetto oggetto di contestazione propone un nuovo volume edilizio a destinazione commerciale, non richiesto e sproporzionato rispetto alle esigenze del territorio, privando l’area di un prezioso “polmone verde”. 

L’intervento viene giustificato come “recupero”, in parte associato alla rotatoria stradale esistente nelle vicinanze, già fortemente compromessa da un traffico urbano ed extraurbano eccessivo.

Nel complesso, l’intervento sulla rotatoria — completa in ogni sua parte e in condizioni più che discrete (secondo il giudizio di un qualsiasi passante) — non appare giustificato. Appaiono invece superflui, come già evidenziato, i metri cubi di edilizia previsti per la realizzazione di un nuovo supermercato, collocato in prossimità di altri già esistenti.

Sul piano delle criticità urbanistiche e ambientali non affrontate dal progetto, si rileva come la destinazione dell’area a Zona F di Verde Pubblico centrale venga completamente ignorata, anzi cancellata. Il progetto, di fatto, baratta tale destinazione con la costruzione di un volume edilizio a uso commerciale. Il verde pubblico, spazio fondamentale per la socialità urbana e da tempo reclamato dai residenti, è oggi occupato da un rudere — la cui presenza non sembra affatto casuale.

Ed è proprio questo tipo di intervento ciò che meno serve in un’area già compromessa, come è facile comprendere.

Il PUA presentato fa riferimento alla nota rotatoria della S.S. 50, quotidianamente congestionata da un traffico intenso e destinato ad aumentare. L’area è segnata dalla presenza di un rudere scenograficamente avvolto nella plastica, con la zona circostante transennata. Il tutto sembra costruire un’immagine di “degrado” visibile a chi percorre quel tratto, una sorta di pressione psicologica teatralmente rappresentata, utile allo scopo ma che solleva forti dubbi sulla reale necessità di risanamento. Questo maquillage d’insieme, privo di evidenze tecniche, storiche, ambientali o di altre prerogativeche possano legittimare l’intervento, lascia intendere che l’urbanistica sia solo un pretesto. Non risultano presenti studi sul degrado, analisi di impatto o documentazione che dimostri la necessità di riqualificare l’area. L’attuazione del progetto — repetita iuvant — sembra orientata principalmente alla realizzazione di un volume edilizio commerciale.

Inoltre, si segnala che la consultazione della documentazione progettuale non è stata agevole. La relazione tra significato e significante, che dovrebbe semplificare la ricerca attraverso riferimenti oggettivi, si è rivelata complessa. Dalla scala degli elaborati grafici ai riferimenti descrittivi, fino agli strumenti di lettura, tutto è apparso poco accessibile. L’interfaccia informatica tra utente e amministrazione pubblica non è risultata “amichevole”, nonostante l’epoca dell’intelligenza artificiale. Gli algoritmi di ricerca, anche sul sito della Trasparenza Amministrativa, si sonodimostrati ostici.

I presupposti dell’intero progetto sembrano ruotare attorno all’abolizione della Zona Territoriale Omogenea F e del relativo vincolo di Verde Pubblico previsto dal PRG, come consentito dall’art. 27 della L. 457/78. Tale norma, forse impropriamente utilizzata, consente di far decadere lo zoning e il vincolo d’area, rinominandolo come “zona di recupero del patrimonio edilizio esistente e rigenerazione urbana”.


Della scomparsa della ZTO F, delle verifiche sugli standard residenziali previsti per legge e della rigenerazione finalizzata al contenimento del consumo di suolo, non si fa menzione. In sostanza, la ZTO F e il suo vincolo di Verde Pubblico — come previsto dall’art. 4 del D.I. 1444/68 — che stabilivano standard urbanistici per le zone F (servizi, attrezzature e impianti di interesse generale, proporzionati al numero di abitanti), vengono cancellati e privati di ogni significato pianificatorio.

L’area viene ora considerata una generica “zona bianca”.

Per questa modifica radicale, è utile ricordare che esiste — ed esisteva — una procedura obbligatoria per il Comune, che comprende: una valutazione tecnico-urbanistica, una delibera consiliare e l’aggiornamento del PRG.

È noto che la cosiddetta “zona bianca” deve rispettare quanto previsto dall’art. 9 del DPR 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia). Tale norma stabilisce:

• Indici edilizi estremamente ridotti, con densità massima pari a 0,03 mc/mq (come per le zone agricole);

• Destinazioni d’uso limitate a quelle compatibili con il suolo agricolo.

Pertanto, non si tratta di un’area automaticamente edificabile per funzioni residenziali o commerciali. Un segnale diverso, tuttavia, emerge dal documento “Motivazione ed Obiettivi del Piano” contenuto nel Rapporto preliminare ambientale per la verifica di assoggettabilità a V.A.S. (marzo 2023), dove si parla di un’area “meritevole di pronto recupero” e della “necessità di riqualificazione della zona F.VP decaduta”, giustificata dalla “carenza di interesse per un suo diretto utilizzo pubblico”, come dimostrerebbe la mancata riadozione del vincolo espropriativo.

In passato, anche il Comune di Belluno ha mostrato sensibilità ambientale, cercando di adeguarsi alla L.R. n. 4/2015, promuovendo un’inversione di tendenza: meno edilizia, più urbanistica. In tale contesto, si invitavano i proprietari di aree edificabili a richiedere la riclassificazione in “inedificabilità”, per contrastare il consumo di suolo e favorire il ripristino del verde. Esiste una delibera del Consiglio Comunale (n. 43 del 24/07/2015) che ha avviato le cosiddette “varianti verdi”, ma non si conosce l’esito di tale iniziativa.

La recente richiesta del PUA di trasformare un’area verde prevista dal PRG in volume edilizio a uso commerciale contraddice apertamente gli indirizzi promossi dalla Regione Veneto. In sintesi, si può affermare che i principi di tutela del verde urbano — risanamento, riqualificazione, attinenza ecologica — non sembrano rientrare nelle priorità dell’Amministrazione comunale.

Il progetto, avviato con SCIA, è stato interrotto in corso d’opera. La condizione di degrado, assente prima dell’inizio dei lavori, è stata goffamente simulata. Sarebbe stato utile conoscere le

motivazioni di tale scelta. È importante ricordare che la SCIA è uno strumento semplificato, utilizzabile solo per interventi edilizi compatibili con la normativa urbanistica vigente. Era prevedibile che la riduzione a rudere del volume esistente avrebbe sollevato problematiche. La sospensione dei lavori sembra indicare che un vincolo urbanistico, non ignorabile, avrebbe dovuto impedire l’atto demolitivo sin dall’inizio.

Da un punto di vista urbanistico, il PUA non è giustificabile come intervento di “recupero urbano”. Manca una documentazione tecnica, ambientale e urbanistica adeguata, che dimostri lo stato di degrado denunciato o la necessità condivisa di riqualificare la cosiddetta “zona bianca”. Quest’ultima, pur ritenuta da “recuperare”, ha una destinazione urbanistica pianificata dal PRG chenon risulta dimostrata.

L’applicazione dell’art. 27 della legge n. 457/1978 ha consentito di classificare l’area come “zonabianca”, ma si è trascurato che, ai sensi dell’art. 9 del DPR 380/2001, tale zona prevede una densità edilizia di 0,03 mc/mq, come per i suoli agricoli, e non è edificabile per funzioni residenziali o commerciali.

Dal punto di vista ecologico, la costruzione di un supermercato nei pressi di un’importante arteria stradale comporterebbe un aumento del traffico veicolare, con conseguente aggravamento dell’inquinamento atmosferico e acustico, in una zona già compromessa, posta su una rotatoria di strada nazionale e urbana.

Non si intende ostacolare le attività economiche, ma è bene ricordare che l’articolo 41 della Costituzione stabilisce: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale…”. Ciò significa che l’uso del suolo privato incontra un limite quando contrasta con l’interesse collettivo, come nel caso della necessità di preservare gli spazi verdi.

La Variante proposta appare poco o per nulla motivata da esigenze pubbliche e ancor meno da ragioni ambientali. Inoltre, il progetto non rispetta i principi di pianificazione partecipata, né mostra elementi tangibili di sostenibilità o di tutela del territorio, contribuendo ben poco alla transizione ecologica.

Alla luce di quanto esposto, per comprendere le ragioni della non condivisione del PUA approvato, si richiamano i principi costituzionali. Sebbene la Costituzione non menzioni esplicitamente il “verde pubblico”, ne tutela indirettamente l’interesse attraverso fondamentali principi ecologici.

Lo si evince dalle attribuzioni allo Stato in materia di tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi (artt. 9 e 117). In particolare, l’articolo 9, modificato nel 2022, afferma la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi anche nell’interesse delle “future generazioni”.

L’articolo 117, comma 2, lettera s), assegna allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dei beni culturali, mentre il comma 3 prevede una legislazione concorrente con le Regioni per la valorizzazione.

Per le varie OSSERVAZIONI confortate da pronunciamenti della Costituzione e dalla Giurisprudenza: citate, elencate e in parte sollecitate si suggerisce: 

1. La conferma (riconoscimento) di Verde Pubblico in ZTO già di PRG nella tavola del Piano degli Interventi;

2. un nuovo studio della Variante al Piano degli Interventi con relativo rigetto del Piano Urbanistico Attuativo, stante al Vincolo CONFERMATIVO e non espropriativo del Verde Pubblico di Z.T.O. In area Baldenich.

3. una realizzazione di studi ambientali e urbanistici indipendenti, come verifica sull’impatto del progetto proposto;

4. si chiede l’avvio di un percorso partecipativo per una progettazione condivisa dell’area verde da tempo vincolata su PRG.

Giuseppe Cancemi



giovedì 21 agosto 2025

Urbanistica a BELLUNO

A PROPOSITO DI BALDENICH

Piano Urbanistico Attuativo 

Il 31 luglio scorso, si è tenuta una seduta del Consiglio comunale, trasmessa in diretta streaming. All’ordine del giorno, figurava un tema molto attenzionato dai bellunesi: il “Piano Urbanistico Attuativo come Variante del Piano degli Interventi”, riguardante l’area ex Agip.

Quest’area è stata presentata come “degradata” e quindi da recuperare. Ma chi ha avuto modo di visitarla di persona o anche solo di vederla nella foto mostrata, difficilmente avrà pensato ad un luogo di degradato, tale da giustificare un ineludibile intervento urbanistico.

Secondo il progetto presentato e chi lo ha esitato, l’area nei pressi della rotatoria attraversata dalla S.S. n. 50, sarebbe in condizioni tali da richiedere un recupero. Ma è davvero così oppure si sarebbe potuta percorrere l’alternativa, costituita dalla realizzazione di quel verde pubblico da tempo ignorato, previsto dal Piano Regolatore Generale.

A pensare 'male' si fa peccato diceva l'On. Andreotti, ma la percezione di questo degrado sembrerebbe essere più influenzata dalla sostituzione, con altro volume edilizio, del rudere (non certo per vetustà) che non d'altro. Eppure quel luogo fa più pensare alla necessità di un intervento di rinaturalizzazione del suolo. Nei suoi pressi, vi è una rotatoria abbastanza frequentata e percorsa da mezzi meccanici, i cui effetti non sono certo salutari.

Il decimo punto all’ordine del giorno seguito con attenzione da molti cittadini, riguardava appunto il PUA di iniziativa privata che veniva presentato per l'approvazione. Ognuno dei Consiglieri esprimeva nel merito dell'oggetto, la propria libera opinione. La differente utilità tra volume edilizio e verde urbano non era 'palpabile' per mancanza degli elaborati. Tra i vari banchi del Consiglio, non si è visto un solo elaborato di progetto. La consueta planimetria che rappresenta ciò che è esistente e il progettato, solitamente elemento base della discussione, mancava!

L'attenzione nel marcare ciò che mancava non è casuale. Nel dibattito oggettivamente è mancato materialmente il contenuto. Si sono sentiti interventi massimamente faziosi, come spesso accade quando la politica prende il sopravvento sul confronto.


Foto da satellite 3D dell'area interessata

L'atto di esaminare quali modifiche si vogliono fare per l’assetto urbano della città, comportava almeno l'avere in quella sede istituzionale, a portata di mano, una relazione urbanistica, delle planimetrie da dibattere e commentare in concreto, avendo sotto gli occhi di tutti: Piano di Assetto del Territorio (PAT) e Piano degli Interventi (PI) vigenti.

Sarebbe stato fondamentale per chiarire, soprattutto per chi esperto non è, che il PUA propone uno scambio: la costruzione di un volume edilizio (un supermercato) per un’area destinata a verde pubblico, classificata come zona “F” dal PRG. Un tema che tocca direttamente la vivibilità urbana nel novero dei principi costituzionali.

E qui qualcuno avrebbe dovuto ricordare a tutti che la Costituzione Italiana, infatti, attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi (art. 9 e art. 117).

L’articolo 9, modificato nel 2022, per esempio, afferma che “La Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. Mentre l’articolo 117, comma 2, lettera s), assegna allo Stato la tutela dell’ambiente e dei beni culturali, mentre il comma 3 prevede una legislazione concorrente per la valorizzazione.

Nel contesto comunicativo che s'è visto in YouTube, restano non pochi dubbi che tutti i membri del Consiglio, si sono veramente confrontati in modo approfondito, prima di esprimersi su un progetto urbanistico di tale interesse e portata.

Infatti, non si è avuto cenno manifestato da alcuno dei Consiglieri presenti, di avere pensato e proposto una qualche alternativa concreta come quella, per esempio, di accedere ai fondi del PNRR per la realizzazione di un giardino pubblico come previsto dal PRG

Non tutti gli spettatori da casa e gli “attori” dello streaming sanno che: la “Missione 5, Componente 2, Investimento 2.1” del PNRR finanzia progetti di rigenerazione urbana volti a ridurre il degrado sociale. E che un’area verde ben progettata può contribuire in modo significativo alla qualità urbana e alla coesione sociale.

Ma forse tutto questo non è passato nemmeno per la mente di alcuno degli astanti (del piccolo schermo) attori pro tempore di primo piano, parte attiva che amministra la città di Belluno.

Giuseppe Cancemi

                                                                   

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martedì 12 novembre 2024

CARITAS/COSTITUZIONE

Caritas: identikit della povertà e una società che regredisce praticando poco la tanto invocata inclusione sociale …

Chi si rivolge alla Caritas, sono massimamente uomini, stranieri, single, in condizioni di povertà e/o anche per solitudine o perché senza fissa dimoraNon hanno un lavoro o se ce l'hanno, il salario che percepiscono non è sufficiente.

Un'occhiata appena così superficiale, non ci può che amareggiare. Un brutto segno che ci ricorda un passato che ritorna, dove l'attenzione per i più debolieconomicamente, i malati, i fragili etc. veniva lasciata alla chiesa e alla beneficenza in genere.

Per via della nostra Costituzione, un percorso della democrazia meglio interpretata nelcorso degli anni, da governi spronati da partiti e sindacati, aveva iniziato un'importante modifica. Per un certo periodo, la risposta caritatevole del fine novecento preponderante, grazie ad una migliore concezione di giustizia sociale, aveva iniziato un suo corso. Un passaggio della società che finora, ai bisogni della collettività, l'impegno laico sembrava crescere nella rimozione della povertà in senso lato, attraverso un riconoscimento dei diritti umani e sociali, non ancora comunque, soddisfacenti.

Con questo nuovo allarme della Caritas emerso, ci accorgiamo che nuovamente “il re è nudo”. Questo impegno della società nel rimuovere tutti i nuovi e vecchi disagi ha un nuovo rallentamento. Si è ricominciato ancora a “scaricare” quelle attenzioni che avevano mostrato i governi locali, la politica e i partiti. Siamo tornati ancora a non avere progetti validi per l'integrazione e non solo sociale, ma anche scolastica e lavorativa. Siamo ancora un popolo che ricomincia ad escludere lasciando nuovamente spazio all'assistenza“caritatevole”. 

Giuseppe Cancemi

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CARITAS ITALIANA – STATUTO

Art. 1 – NATURA

La Caritas Italiana è l’organismo pastorale costituito dalla Conferenza Episcopale Italiana al fine di promuovere, anche in collaborazione con altri organismi, la testimonianza della carità della comunità ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica.

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sabato 14 settembre 2024

Territorio di Belluno

 

Ancora sulla diga del VANOI ...

 FORSE NON TUTTI SANNO che nella modifica del testo dell’articolo 9 il quale recitava: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, cambiato recentemente, è stata fatta un’aggiunta.

 Nella modifica dell'8 feb 2022, una nuova frase a seguire, completa così il testo: “Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.

In questa seconda parte è inoppugnabile un fondamento che rafforza il diniego alla realizzazione della contesa diga: La tutela della biodiversità e degli ecosistemi in ragione (nel nostro caso) dell’interesse per le future generazioni. Un nuovo “pilastro” per l'ambiente, categorico, che mancava nella Costituzione.




giovedì 12 settembre 2024

Belluno città turistica

 Palazzo Crepadona (Biblioteca Civica di Belluno) restaurato relativamente di recente.

Sarà noto a tutti che quel balcone in foto visibilmente danneggiato, mette in evidenza un qualcosa che stride con la città turistica qual è Belluno. Non si capisce se è così per equipararsi al degrado del centro storico o per una questione di “Anastilosi” (che per una fedele ricostruzione storica, richiede l'utilizzo di pezzi tutti originali (!)).

Comunque, quel permanere di questa non certo invisibile “ferita” d'immagine e forse anche di eventuale vulnerabilità statica specie in zona sismica, che dovrebbero fare aumentare la sensazione di rischio, per l'assordante silenzio del tempo trascorso, continua a darci pare, una certa sicurezza.

Eppure, quel balcone a sbalzo così com'è, per motivi di statica, non dovrebbe essere affidabile. Siamo in presenza di materiale lapideo che per le sue caratteristiche meccaniche, in una come si vede aumentata sollecitazione a flessione, fa diminuire la sicurezza.

Giuseppe Cancemi

domenica 8 settembre 2024

DIGA SUL VANOI

 proposito del progetto 👷VANOI ...

I pregressi

"Tra questi progetti forse quello più dibattuto in assoluto sulle Alpi italiane è quello del Vanoi, vallata tra Trentino e Veneto percorsa dall’omonimo torrente: qui, in territorio comunale di Lamon (Belluno) si vorrebbe edificare una grande diga, alta circa 120 metri, che formerebbe un bacino tra i 33 e i 40 milioni di metri cubi. Un progetto la cui prima ideazione risale addirittura al 1922"

E' una mia idea che quel progetto non è stato fatto con tutti i crismi che servono per un'opera così importante e che non si può fare a meno di ricordare il VAJONT.
Intanto non mi sembra, per quello che appare dalla stampa, che il progetto abbia previsto una analisi preliminare accurata che si chiama:
SWOT ANALISIS.

Un'analisi che avrebbe dovuto e potuto guardare sistematicamente, ad esempio, ai...

Punti di forza

Riassumibile nella risorsa naturale che rappresenta il Torrente Vanoi come fonte d’acqua costante; nelle competenze ingegneristiche locali e nazionali sviluppatesi nel tempo, e nel supporto sostegno da parte delle autorità locali e nazionali.
Debolezze
Elevati costi per la costruzione e la manutenzione programmata della diga che risultano essere, l'una elevate e l'altra periodica; impatto ambientale con potenziali danni agli ecosistemi locali e alla biodiversità; opposizione locale dove le comunità locali potrebbero opporsi al progetto (come sta accadendo) per vari motivi, inclusi quelli ambientali e sociali.
Opportunità
Energia rinnovabile mediante diga che potrebbe fornire energia idroelettrica sostenibile, meteorologia permettendo; relativo sviluppo economico con creazione di posti di lavoro e sviluppo delle infrastrutture locali; utilizzo di nuove tecnologie per migliorare l’efficienza e ridurre l’impatto ambientale.
Minacce
Rischio da disastri naturali: come terremoti e inondazioni che potrebbero danneggiare la struttura; Cambiamenti nelle politiche governative che potrebbero influenzare progetto e/o gestione; impatti ambientali con effetti negativi a lungo termine sull’ecosistema locale.
Questa analisi che approfondisce le motivazioni di una grande opera, serve per aiutare a prendere decisioni più informate e a pianificare meglio per una progettualità che preveda anche l'opzione
(realizzazione) zero.

Nel nostro caso non risultano esistere vere e proprie valutazioni e studi che analizzano vari aspetti del progetto sotto detto profilo SWOT. Esistono invece delle analisi (assimilabili) come per esempio: la mitigazione del rischio idraulico, giustificata dalla costruzione della diga, finalizzata alla riduzione dei danni da eventuali alluvioni nel bacino del Brenta con le alternative di riduzione della capacità di stoccaggio tra 20 e 33 milioni di mc d'acqua, come punti di Forza (Strengths) del progetto. Per l'impatto ambientale paventato (Weaknesses) invece si temono: rischi per l'ecosistema locale, con danni alla flora e alla fauna, uniche della zona e non senza una certa pericolosità anche geologica accompagnata da un ulteriore rischio frane. Le Opportunità (Opportunities) che si ipotizzano sono: la produzione di energia rinnovabile e un miglioramento delle aree agricole del comprensorio di bonifica del Brenta.

Tra le Minacce (Threats) permane una temuta un'opposizione pubblica da parte della comunità locale e dai gruppi ambientalisti nonché il permanere, nonostante le misure di sicurezza, dei rischi idrogeologici e le preoccupazioni per la sicurezza delle comunità a valle.

Giuseppe Cancemi

* "Il Vanoi è un torrente alpino che si trova nel Trentino orientale. Ha origine presso il Passo Cinque Croci da vari rivi e torrentelli, attraversa l'omonima valle e sfocia infine nel Cismon. L'alto bacino del Vanoi è chiamato Val Cia."

mercoledì 19 giugno 2024

A PROPOSITO DI LAMBIOI 2024

 Progetto per la Riqualificazione Urbana di Belluno Capoluogo 

Ci risiamo: ulteriore tentativo di ripristino dei luoghi dopo la tempesta Vaia di non molti anni fa.

L’idea dell’area Lambioi come spiaggia di Belluno sulle rive del Piave non è male. Peccato che queste meravigliose sponde appartengono a quelle aree che geograficamente hanno il nome di Golene. Per definizione, le aree golenali sono: “zone di terreno pianeggiante adiacente al letto di magra di un corso d’acqua”. Sappiamo anche, che in caso di temporali o piogge eccezionali, per logica, il livello di acqua si alza e le prime conseguenze sono a carico (danno) di tutto ciò che si trova nelle suddette golene.

Chi dimentica o non tiene conto di queste elementari conoscenze o intuizioni di noi tutti, non convince. E non solo me credo!Per il comune cittadino passi, ma non per chi ha pubbliche responsabilità.


I disastri alluvionali nei ricordi di chi vive a Belluno non dovrebbero essere molto remoti anche come frequenza. E comunque, chi progetta di intervenire in qualsiasi modo, ancora in quell’area, non fa che aumentare il rischio delle conseguenze di una qualche alluvione. Specie in tempi come quelli che abbiamo conosciuto, sperimentato. Abbiamo imparato che il periodico riversarsi di temporali nel vissuto topico, associa il nostro territorio ad una tropicalizzazione del clima prima mai conosciuta.

Nel 2016, tanto per ricordarlo, è stata esitata una “Relazione Idraulica” del Progetto per la Riqualificazione Urbana di Belluno Capoluogo scientificamente ineccepibile, che per gli eventuali interventi pronostica: “l’area oggetto di indagine sia potenzialmente soggetta ad allagamento in occasione degli eventi eccezionali. Nel caso in esame, in analogia con quanto descritto nella relazione tecnica del PAI, l’evento considerato è stato quello con tempo di ritorno pari a 100 anni.”.

Possiamo fidarci della stocastica con gli eventi meteorologici che abbiamo vissuto e sperimentato?

Quanto può essere “dilatato” il rischio accettabile per persone (innanzi tutto), beni localizzati e patrimonio ambientale? 

Chi può assumersi questa responsabilità in nome di una presunta economia di comunità?

Giuseppe Cancemi

venerdì 24 maggio 2024

PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA - Leandro Jannì

 ItaliaNostraAPS

CONSIGLIO REGIONALE SICILIANO

Presidente prof. Leandro Janni  

Segreteria  -  via Leonida Bissolati, 29 - Caltanissetta  

Uffici  di rappresentanza  - via Alagona, 66 - Siracusa

tel. 333 2822538 - tel. 0934 554907

sicilia@italianostra.org  www.italianostra.org  



Maggio 2024

Il PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA:OVVERO PRATICARE

L’AGIOGRAFIA E CANCELLARE LA GEOGRAFIA

«Praticare l’agiografia e cancellare la geografia» si potrebbe dire a proposito dei progetti, degli atti delle attuali forze politiche di maggioranza, in Italia e in Sicilia. Il ponte sullo Stretto di Messina è stata “l’opera simbolo” del Governo Berlusconi. Adesso è “l’opera bandiera” del vicepresidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini. Noi ambientalisti e comitati civici ci abbiamo messo dieci anni, dal 2003 al 2013, per spazzarlo via dalla scena politica. Il Governo Monti staccò la spina. Nel 2023 hanno riesumato la salma del cosiddetto progetto definitivo elaborato nel 2011-2012 dal General Contractor Eurolink, capeggiato da WeBuild. Hanno rimesso in piedi nientemeno che la Stretto di Messina SpA, affidandola a Pietro Ciucci, già amministratore delegato della Stretto di Messina SpA dal 2002 al 2012, ed ora nuovo amministratore delegato della “nuova” Stretto di Messina SpA.  

Il progetto del ponte sullo Stretto è la risposta sbagliata, inutile e dannosa ai problemi del Meridione del Paese. Un progetto lacunoso e incompleto; un progetto che ha già “bruciato” una enorme quantità di risorse; un progetto  che non ha il consenso del territorio e degli enti locali.

Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Salvini non perde occasione per enfatizzare l’utilità del ponte sullo Stretto, presentandolo come «un’opera green, sicura, moderna, un acceleratore di sviluppo per l’intero Meridione, fondamentale per migliorarne la rete dei trasporti». 

«Di fatto si tratterebbe di un’opera gigantesca dall’impatto ambientale devastante. Il Ponte lascerà perennemente nell’ombra interi agglomerati che sorgono nella zona costiera: borghi e villaggi abituati ad un’esposizione solare di 365 giorni l’anno saranno completamente oscurati, i laghi di Ganzirri e di Torre Faro rischiano l’estinzione, la città sarà paralizzata per molti anni da file di camion carichi del materiale di sbancamento: non è stato stabilito neanche un percorso alternativo. I cantieri invaderanno tutta la città» – ci avverte Renato Accorinti, ex sindaco di Messina. 


Il maggiore investimento della Legge di Bilancio 2024 è il ponte sullo Stretto di Messina con 11,6 miliardi di euro già impegnati da quest’anno al 2032. L’attuale Governo non sa fare nemmeno i conti perché nel Def 2023, il costo stimato della “magna opera” è di 14,6 miliardi di euro, compreso il costo delle ferroviarie ma non di quelle stradali. In più, dal prossimo anno entrerà in vigore il nuovo Patto di Stabilità europeo che imporrà un taglio di 15 miliardi l’anno per 7 anni alle nostre finanziarie, lasciando pochissimo spazio a investimenti anche molto più importanti del ponte. 


Insomma: vogliono costruire un ponte a campata unica della lunghezza di 3,3 km, e doppio impalcato ferroviario e stradale, sorretto da due torri alte 400 metri (centro metri più della Tour Eiffel) in una delle zone a maggior rischio sismico del Paese e dove i venti sono tra i più turbolenti. Tutto questo, ovviamente, sottraendo fondamentali risorse economico finanziarie ai veri bisogni del territorio. 

Le ambiguità e le contraddizioni, le criticità del progetto del ponte sono sottolineate dalle centinaia di osservazioni sostanziali formulate dal Ministero dell’Ambiente, dalla Commissione Tecnica del Ministero delle Infrastrutture, dal Ministero della Cultura, dagli Ordini professionali, delle Associazioni e dei Comitati Cittadini. E a questo si aggiunge un piano di espropri che porterebbe alla demolizione di migliaia di abitazioni e di spazi pubblici.


Lo Stretto di Messina è un’area tra le più belle dal punto di vista paesaggistico e tra le più ricche di biodiversità del nostro Paese. Innanzitutto va rimarcata l’importanza della collocazione geografica dello Stretto quale sistema eco culturale, paesaggistico e naturalistico, per correnti, venti, caratteristiche geomorfologiche, presenze faunistiche, ricchezze botaniche e naturalistiche di un territorio antropizzato fin dal paleolitico. Un territorio, un luogo che possiede tutte le caratteristiche per poter essere riconosciuto, dall’UNESCO, meritevole di essere inserito nella Word Heritage List, per eccezionale valore universale quale patrimonio naturale e culturale. «Dobbiamo avere la forza di dire che, come il Teatro Greco di Taormina, come il Colosseo, come Petra, c’è un bene mondiale che va tutelato dalle colate di cemento: lo Stretto di Messina. Dobbiamo essere più forti di chi vuole distruggerlo, far capire che si tratta di un luogo sacro di straordinaria bellezza che va tutelato, dobbiamo essere i protettori del creato. Concentriamo le nostre forze per realizzare l’opera più importante d’Italia: la messa in sicurezza del territorio, che crolla ad ogni temporale» – sostiene  ancora con indomita passione Renato Acorinti. 

In pochi chilometri è contenuto uno scrigno naturalistico dell’intero Mediterraneo, in un contesto tra i più significativi ed espressivi delle culture mitologiche del mondo classico. Ricordo l’intervista allo storico Rosario Villari sul periodico “Italia Nostra” n. 413 del 2005, in cui evidenziava le straordinarie peculiarità storiche e archeologiche del luogo, sia per quanto riguarda l’area calabrese sia per quanto riguarda l’area siciliana. 

L’area dello Stretto è il punto focale di un importantissimo sistema naturale oggi costituito da riserve naturali e parchi naturalistici, ricchissimo di siti delle Rete Natura 2000: i Nebrodi, l’Aspromonte, l’Etna e le Eolie patrimonio UNESCO, l’Isola Bella, le lagune di Marinello, gli ambienti umidi del litorale con gli acquitrini salmastri di Faro e Ganzirri, la zona costiera di Capo Peloro. Inoltre, le alture che si affacciano sulle due sponde dello Stretto sono i luoghi di sosta delle avifaune migratorie. Aspetti questi che richiamano l’art. 9 della Costituzione in cui si stabilisce: «La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni». Così come non può essere ignorato il Decreto Assessoriale 8410/2009 che istituisce la Carta Regionale dei Luoghi dell'Identità e della Memoria. Dunque, le aree interessate dall'opera sono sottoposte a tutela 3 dal Piano Paesaggistico Ambito 9; aree che nelle Norme di adozione del Piano sono dichiarate “invarianti” del paesaggio. 


Sull’utilità dell’opera in ordine alla mobilità, tutti gli studi e le più accreditate valutazioni ritengono che il traffico marittimo tra la Sicilia e i porti del Nord non sia dirottabile sul ponte, visto l’incontrastabile convenienza dei trasporti via mare. Anche il traffico passeggeri risponde allo stesso principio, non essendo concorrenziale con i collegamenti aerei di lunga distanza tra Sicilia e Nord Italia o Europa. Vi è inoltre ancora necessità di ricordare che le assai carenti infrastrutture stradali e ferroviarie non permettono oggi i normali spostamenti tra le varie città dell’Isola. E ogni giorno emergono nuovi limiti del progetto: è troppo basso per le nuove dimensioni delle navi da crociera e da carico; deve essere mantenuto il sistema dei traghetti per la elevata percentuale di indisponibilità per vento eccessivo; le indicazioni europee stimolano i trasporti via mare e non via terra per il minor costo e il minor inquinamento. Per affrontare il problema reale di miglioramento dei collegamenti, si potrebbe e si dovrebbe intervenire con investimenti innovativi nel settore traghetti, proseguendo negli interventi già in corso nell’ambito del PNRR.

I costi di realizzazione del ponte sono enormemente superiori a opere comparabili (il ponte Sultan Selim sul Bosforo, con una campata principale di 1,41 km e una lunghezza totale di 2,2 km, è costato € 2,3 miliardi; il ponte di Akashi Kaikyō, con una campata centrale di oltre 1,9 km è costato € 3,38 miliardi). L’area di influenza del ponte ha una significatività economica relativamente modesta e il volume dei pedaggi non sarebbe in grado di ripagarne le spese, che sarebbero invece a carico dello Stato (al contrario, ad esempio, del Tunnel della Manica, totalmente a carico del traffico). 

Alla luce di tali considerazioni e dei molti indicatori critici rilevati nel corso delle verifiche, l’associazione Italia Nostra intende quindi convocare, a breve, un incontro internazionale di tecnici e di studiosi, per contribuire ad un ulteriore approfondimento delle conoscenze relative alla “questione ponte”.

Infine, ricordo le parole di un grande scrittore siciliano, Gesualdo Bufalino: «Il ponte sullo Stretto? Personalmente mi sta benissimo, a patto di non sovrapporre metafore e simboli indebiti ad una operazione di semplice ingegneria. Voglio dire che non sarà un modesto guadagno tecnico nei tempi di traghettamento a modificare o a guarire la nostra vocazione claustrofila e il vizio di fare della solitudine un trono e una tana. Caso mai sono altre le conseguenze che l’evento (se accadrà) si porterà dietro: di favorire lo smercio e la circolazione dei nostri vizi nel resto della penisola; e di aizzare le nostre virtù a degradarsi più velocemente nell’ omologia generale dei contegni e dei sentimenti. Poiché con le isole il punto è questo: sono di per sé parchi naturali e riserve dove lo “specifico” indigeno resiste più a lungo: sicché rimane sempre da sciogliere il nodo se convenga tutelarle a costo di sequestrarne anche le più selvagge memorie, o spingerle verso una moderna ma ripetitiva e anonima identità. Insomma è la solita solfa del contenzioso tra passato e futuro, natura e cultura, lucciole del pre-industriale e chimiche del post-industriale… Il ponte ovviamente giocherà a vantaggio di questa seconda ipotesi, benché non molto più, credo, di quanto abbiano già fatto l’Alitalia e l’Autostrada del Sole. Resta da vedere se e come esso possa contribuire a renderci più italiani. Qualcuno dubita che non lo siamo abbastanza o che desideriamo non esserlo più. Proprio su la Repubblica (del 31 agosto 1985) Arbasino ci attribuiva una smania di staccarci dalla nazione e ce ne concedeva licenza. Obietto che, dai tempi di Salvatore Giuliano, fra le maschere sanguinose della mafia il fantasma del separatismo non è più ricomparso: e che oggi un eventuale referendum secessionista non raccoglierebbe in Sicilia più di mille o duemila suffragi… La verità è che fanatismo regionale e fermenti antiunitari sono da noi assai meno vigorosi e loquaci che non in tanti altri luoghi d’Italia, dall’Alto Adige alla Sardegna, dal Veneto alla Val d’Aosta. Basterebbe, per appurarlo, una gitarella a Messina… Con tutto ciò, come negare l’esistenza del tumore Sicilia e delle sue minacciose metastasi d’esportazione? E’ un morbo vecchio di secoli, ma non saranno né la segregazione né l’ aggregazione a salvarcene: né una chirurgia che ci amputi, né un ponte che ci concilii. Occorrono cure diverse, e io dico timidamente: libri e acqua, libri e strade, libri e case, libri e occupazione. Libri» (la Repubblica, 19 settembre 1985).  

Prof. Leandro Janni, presidente di Italia Nostra Sicilia

giovedì 7 marzo 2024

Restauro, Recupero, Ristrutturazione, Risanamento... e poi?

 

 CENTRO STORICO? PARLIAMONE...


Se non ricordo male, il centro storico di Caltanissetta nel PRG di oltre un ventennio fa, veniva definito dallo zoning come centro direzionale, commerciale e residenziale. A distanza di non poco tempo la complessità che riguarda i molti aspetti della vita sociale, economica e culturale delle città italiane è aumentata. La crisi del commercio tradizionale per prima, è stata una delle cause principali che ha fatto iniziare lo svuotamento dei centri storici e portato alla chiusura di molti negozi e attività.
Secondo una recente indagine di Confcommercio, in dieci anni sono spariti in Italia quasi centomila negozi nei salotti buoni delle città, sostituiti da ristoranti, alloggi e servizi per il turismo. L’attrattiva e la vivibilità dei centri storici per i residenti, si sono spostati verso le periferie o le piattaforme on-line per i loro acquisti. Per Caltanissetta però questo, forse, è accaduto solo in minima parte.
Altro fattore che contribuisce non poco allo svuotamento del nostro centro storico come per tutti gli altri è la mobilità, compresa la difficoltà di accesso, sia per i residenti che per gli eventuali visitatori. La circolazione a causa delle strade strette, aree pedonali condivise con il traffico, e scarsità o problematicità dei parcheggi e del trasporto pubblico contribuisce all'abbandono.
Per contrastare questo fenomeno, si potrebbe pensare a politiche di sostegno e incentivazione al commercio di prossimità, che valorizzino la qualità, la diversità e l’identità dei prodotti locali.
Si potrebbe anche favorire la collaborazione tra i commercianti e le altre realtà del territorio, come le associazioni culturali, le scuole e le istituzioni, per creare eventi, iniziative e sinergie che rendano i centri storici più vivi e attrattivi.
Per migliorare la situazione, si potrebbe investire in soluzioni di mobilità sostenibile, ove possibile, come piste ciclabili, mezzi elettrici, parcheggi interrati, servizi di car-sharing e di bike-sharing. Si potrebbe anche promuovere una maggiore integrazione tra i vari modi di trasporto, per facilitare gli spostamenti tra il centro e la periferia.
Il patrimonio architettonico e culturale del centro storico, per essere maggiormente attrattivo, lo si potrebbe rendere più accessibile installando ascensori, rampe, passerelle e altri dispositivi allo scopo di superare le esistenti barriere architettoniche.
In ultimo, ma non l'ultimo degli aspetti più da riqualificare in centro storico, è quello di rafforzare il senso di comunità e di appartenenza dei residenti e dei visitatori.
Ma tutto questo ha bisogno prima di tutto che vi sia tra Comune Provincia e Regione una sinergia istituzionale non senza il coinvolgimento dell'economia locale (Confcommercio, Confartigianato e Confindustria) e delle organizzazioni sindacali. Un progetto comune di rinascita socio-economica.
Il nostro centro storico viene oramai vissuto come luogo estraneo e, forse anche, anonimo, deserto, insicuro, privo di identità e di valore. Per invertire questa tendenza, si potrebbe stimolare la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni e nelle azioni che riguardano il loro territorio. Si potrebbe anche valorizzare la storia, la cultura, la tradizione e la creatività dei centri storici, attraverso progetti di recupero, restauro, riutilizzo e innovazione degli spazi e dei beni.
Non senza, una necessaria, incentivazione della convivenza e della solidarietà tra le diverse generazioni, culture e categorie sociali che abitano/frequentano il centro storico, promuovendo iniziative di inclusione, integrazione e cooperazione.
Giuseppe Cancemi

mercoledì 6 marzo 2024

Abitare in C. S. a C/ssetta


 CENTRO STORICO DI CALTANISSETTA. QUALE FUTURO?

(di Giuseppe Cancemi)

La questione centrale che emerge dal tema di quest'incontro, fa parte di ciò che affligge gran parte del Paese Italia in questo momento storico. il pesante bilancio del commercio, lo spopolamento e una presenza fluttuante di popolazione alloctona “invisibile”, fanno tutti parte di uno stesso fenomeno abitativo in città stranamente contraddittorio.

Non si trovano case in affitto nei centri storici, pur in un mercato di vuoti edilizio-abitativi relativamente in abbondanza.

Da parte dell'economia si sa, che tra il 2012 e il 2023 il commercio ha perso oltre 111mila negozi al dettaglio ed è cessata l'attività di 24mila unità nel commercio ambulante. Fattori non indifferenti, che hanno contribuito e contribuiscono alla desertificazione dei centri urbani, con calo e/o riduzione dei servizi ai cittadini. Il commercio di vicinato, pur anch'esso colpito, sopravvive in alcuni casi, a fatica, anche se per limitati consumi non serviti da internet. Di questi epocali mutamenti in ambiente cittadino, ne è responsabile in gran parte l'e-commerce.

Ma l'Italia non si arrende, anzi, prova e riprova ad attrezzarsi per andare avanti! Secondo alcuni studi e ricerche, i centri storici in Italia sono diventati sempre più una realtà variegata e polarizzata, in cui convivono situazioni di vitalità e di crisi, di conservazione e di rinnovamento, di attrazione e di abbandono. Alcuni centri storici sono diventati dei poli di sviluppo e di innovazione, grazie alla presenza di attività economiche, culturali e turistiche, mentre altri sono rimasti marginali e degradati, come causa/effetto della perdita di servizi, della popolazione e della qualità urbana.

Il panorama è assai vario ed aiuta poco, ai fini di una eventuale scelta modellistica, nell'eventualità che se ne volesse mutuare qualcuna.

Sappiamo comunque, che non è facile dare una risposta univoca al futuro del nostro centro storico, perché ogni scelta dipende da tanti diversi fattori e tra questi, per esempio, il complesso delle dinamiche socio-economiche, la valorizzazione del patrimonio culturale e ultimamente anche, la sostenibilità ambientale e con quale tasso di partecipazione i cittadini affrontano le problematiche.

In Sicilia e non solo in Sicilia, con la cosiddetta Autonomia differenziata, bisogna anche dire che l'incognita maggiore sta principalmente nelle politiche ondivaghe delle leggi esitate e/o in corso, in materia di edilizia e di urbanistica. Secondo il Consiglio dei Ministri, recentemente, la legge regionale n. 2/2022 della Regione Siciliana “eccederebbe dalle competenze statutarie presentando profili di illegittimità costituzionale”.

Purtroppo, ci si deve barcamenare anche tra vecchi e nuovi orientamenti che contraddicono la sostenibilità e il consumo di suolo. Nella nostra Sicilia per esempio, siamo ancora combattuti se riesumare o meno, la sanatoria edilizia e/o mettere in soffitta lo Zoning e gli standard residenziali: “per attrezzature ed impianti di interesse generale” che nel tempo, per quest'ultimi, siamo riusciti a mantenerli non negoziabili.

Al Teatro Margherita domani (7 marzo 2024) il Comune di Caltanissetta

presenterà due casi di studio, sulle nuove procedure attuative del Piano Urbanistico Generale, che provengono dalla Legge Regione Sicilia n.19/2020.

Un qualcosa di accademico, dal titolo: “Status del P.U.G.” più di attività culturale, molto interessante, ma che fa sorgere una qualche perplessità in un momento in cui preme di più la crisi urbana, diventata endemica, che attanaglia la città nissena. Argomento, sicuramente utile per le procedure di Piano Urbanistico Generale, che può interessare di più ad un ordine professionale di riferimento che non all'interesse comune dei cittadini.

Il nostro centro storico, tra sfide e opportunità del futuro, nel suo insieme e non diversamente da tanti altri centri storici in difficoltà, va visto come bene comune da tutelare e valorizzare, nell'ottica di recupero di una maggiore vivibilità e funzionalità dei luoghi, nell'interesse generale di poter soddisfare le varie esigenze dei residenti e dei visitatori.

L’UNESCO in questo senso, ha elaborato delle linee guida per integrare la conservazione del patrimonio urbano, nelle strategie di sviluppo socioeconomico, basate sul concetto di Historic Urban Landscape, ovvero di paesaggio urbano storico.

Un classico esempio di progetto pilota, lo ha realizzato Mozia, cuore delle saline di Marsala nella Riserva Naturale Orientata.

Lo si ritrova in una tesi accademica applicata (e realizzata) sulla musealizzazione dell’isola, che muovendo dal sito archeologico dell’isola ne preconizza una rinascita all’interno dell’immenso suo patrimonio artistico. Un approccio olistico e dinamico, che tiene conto non solo degli aspetti materiali e immateriali del luogo, ma anche delle sue trasformazioni e delle sue relazioni con il contesto naturale e sociale.

Non è convinta di una medesima interpretazione di “Città museo” , Cecilie Hollberg direttrice dell'Accademia di Firenze. Esprime una grande preoccupazione a suo dire, per quella città, schiacciata dal turismo, esprimendosi testualmente con: “Non troviamo più un negozio, una bottega normale ma solo oggetti esclusivamente per turisti come gadget e souvenir..”

Per Caltanissetta, al punto in cui siamo, non saranno certo le strade che conducono al centro, immaginate da qualcuno innovate al massimo: dal volume di traffico alleggerito, con tanti parcheggi e senza limiti per la circolazione a risollevare la città, dalla crisi socio-economica del momento attraversata.

Dai progetti annunciati con qualcuno realizzato, di cui si è visto e si sente parlare, si avverte però un gran distacco tra il bisogno e le risposte.

Non esiste un raccordo progettuale tra il “materiale e l'immateriale”.

Il progetto di Via Mazzini “social home”, la Caserma Capitano Franco, la scala mobile della scalinata Silvio Pellico e forse altro ancora, ne sono un esempio. Non sembrano esprimere un concorde indirizzo di scopo ma una produzione di volume edilizio in opere a sé stanti.

Sono interventi che non hanno un nesso con una progettualità che proviene da analisi multicriteria, di recupero funzionale tra domanda e offerta, di opere avvertite dalla cittadinanza come bisogni reali e non indotti.

Sono solo segnali di operazioni occasionali, che provengono da realizzazioni fatte o da fare in totale assenza di un dialogo tra progetti e reali interessi della comunità nissena. Scelte “senza anima”, che appartengono ad una casualità distratta da piccoli interessi, non coincidenti col bisogno di una città in crisi profonda e non da ora.

Il centro storico, a fini di un'investimento nel “mattone” per gran parte dei nisseni, lo sappiamo, non è appetibile da un punto di vista edilizio. La conservazione storica e urbanistica, sia pure non eccessiva, non interessa a nessuno. Lo stock edilizio ha scarse possibilità di incremento, e dunque non consente abbuffate speculative.

Cosa fare allora per iniziare con qualcosa per il centro storico, diciamo “a mani nude”?

Come attività in campo, un primo suggerimento di incipit lasciato alla fantasia umana/urbana si può dare.

Si provi ad immaginare un giardino di pietra in quelle aree costituite da muri crollati, blocchi, ruderi in generale e superfici orizzontali, tutti ripuliti, messi in sicurezza e ricoperti da piante spontanee di vario tipo, specie e colori.

Quel luogo non più com'è adesso, si ritroverà “ingentilito” da tanti piccoli interventi “verdi”.

si può cominciare anche da subito nella trasformazione, Non appena anche pochi interessati, cittadini di buona volontà, daranno la loro adesione.

Si sa già in partenza, che molti nisseni sono già abituati a dare un tocco verde al proprio balcone. I tanti, a pensarci bene, potrebbero abilmente diventare quel popolo non solo che può dare l'avvio all'operazione: GIARDINO DI PIETRA, ma anche parte di quella risorsa corale che serve di più per un inizio di progetto condiviso.