Eliminazione
delle
ceppaie.
Anche con esplosivo?
Non
di rado, in questi ultimi tempi, la stampa locale si sta occupando di
un problema “tosto” ereditato dalla tempesta Vaia. Si tratta di
ciò che è rimasto delle parti di boschi rasi al suolo
dall’imperversare di Vaia, fortunale che ha lasciato sul campo
tantissime ceppaie che non facilitano il rimboschimento che si vuole
fare. Quello che risalta di questo problema, è l’assidua e
ripetitiva presenza sulla stampa di quella che sembra essere l’unica
preoccupazione per la Regione: l'eliminazione delle ceppaie (non
tutte, sembra) con esplosivo. Appare quasi come quella tecnica
consumistica che si usa in pubblicità, che con il permanere di
notizie e/o di immagini assillanti, si suscitano nel cittadino quei
consumi indotti che non sono propriamente necessari.
Due noti
esperti di demolizioni edilizie mediante micro cariche esplosive,
sono i protagonisti delle cronache del dopo Vaia. Stanno studiando la
possibilità di rimuovere alcune delle ceppaie rimaste dopo che la
bufera ha raso al suolo interi boschi (41 mila ettari, si dice). I
segni lasciati di qualche decina di milioni di alberi!
Ciò che
si spera è, che se si dovrà usare l'esplosivo, la scelta traumatica
per i luoghi sia attentamente vagliata nei suoi prevedibile impatti
con un’accurato progetto mosso da un’attenta analisi di costi e
benefici non dettati, come si usa fare, da logiche afferenti ciò che
è solo monetizzabile.
Il
progettato uso di esplosivo, da un punto di vista ambientale per
eliminare le ceppaie sia pure con microcariche, suscita una qualche
perplessità. Siamo in presenza di un intervento che
ha un certo impatto con problematiche di
tipo ecologico, agronomico e perché no anche di natura geologica, il
quale impone
una progettazione secondo natura non certo
compatibile con la
rimozione mediante cariche esplosive.
Va
bene che sono micro esplosioni, ma si parla di cariche fino a 200
grammi che proiettano da 20 a 50 metri di distanza brandelli di
ceppaie e tutto quanto sta intorno che, nei punti di utilizzo di cui
si fa cenno (superfici con pendenze anche
elevate), possono diventare piattaforme
di lancio assai coinvolgenti
per gli ambienti circostanti.
A
giudicare dalle foto pubblicate sulla stampa locale, sulla rimozione
sperimentale con esplosivo, di
selezionate ceppaie è già iniziata.
Nella preparazione della
volata, però,
qualcosa non convince. Una delle immagini pubblicate fa vedere il
posizionamento in modo radiale di una
delle cariche nella ceppaia: cioè in
senso trasversale alle fibre, su un materiale per natura anisotropo
quale è il
legno. Le
proprietà meccaniche del legno,
si sa, hanno differente comportamento lungo le varie direzioni, e
questo dà da pensare su quel
foro.
Confidiamo
però, che questi esperimenti fatti ad Asiago, non siano
prove empiriche ma prove sul campo,
circoscritte, per lo studio di modelli matematici di laboratorio al
fine di testare,
forse, i limiti della biocompatibilità.
La rapida combustione qual è l’esplosione, anche se di superficie,
qualche problema lo pone. Come minimo è un “disturbo” su larga
scala. Una più o meno grande “scossa” dei luoghi che potrebbe
influire sugli equilibri di tipo idrogeologico e forse anche
tettonici. La propagazione delle onde sismiche generate, potrebbe
“disturbare” qualche faglia e/o falda, agevolare qualche piano di
scorrimento di frana, insomma interferire con la già precaria
fragilità del territorio.

Non meno
problematico è l’aspetto più complessivo di natura ecologica.
L’ecosistema bosco rimasto, con le esplosioni, non sarà certo
immune da forti disagi specialmente per le sopravvissute specie
floreali e faunistiche. Oltre a subire
le presenze umane dei mezzi e dei
boscaioli in massa,
dovranno anche resistere
all'inevitabile
forte inquinamento acustico e atmosferico.
La
ricchezza di biodiversità, orgoglio della montagna certo, con
sistemi che non sapranno prendersi cura dei biotopi sopravvissuti,
rischia di essere pesantemente intaccata.
Da
un punto di vista agronomico, senza essere esperti, è facile
immaginare quale scompiglio sarà portato al suolo agro-forestale, se
esposto ad esplosioni numerose ed estese. La vita del sottobosco e
quella dei microrganismi del terreno allora,
dove non è possibile operare con i mezzi conosciuti (fresatura e
carotaggio), sarebbe bene forse,
lasciarla
com'è.
Meglio
lasciare
fare alla natura.
L’avanzata
tecnologia delle microcariche forse fa risparmiare e in qualche caso
è utile per evitare incidenti ai lavoratori ma non è certo amica
dell’ambiente,
dunque non sostenibile.
L’esperienza
in materia di demolizioni anche
se adoperata per
importanti strutture edilizie,
non può essere
esportata
tout
court
nei
confronti dell'ambiente. Scelte
simili per
luoghi
dove
esiste una
natura,
è
il caso dire:
"viva
e vegeta",
diventano una violenza verso quei biotopi che la subiscono.
Si
rifletta! La montagna, i boschi, i fiumi sono luoghi naturali di vita
che vanno trattati con grande
attenzione.
Gli interventi più che mai debbono essere preceduti da uno studio di
valutazione di impatto ambientale,
non come atto formale ma piuttosto come atto sostanziale, capace di
prefigurare gli scenari d’intervento, e non senza, eventualmente,
propendere
per l’impatto zero.
Giuseppe
Cancemi
Il Gazzettino di Belluno 25/9/2019