Progetto di legge N. 513
La
semplificazione urbanistica del progetto di legge
N. 513
presentata alla Regione Veneto, viene annunciata come una risposta
alla crisi, dovuta alla pandemia da coronavirus. Con questa specifica
nuova normativa, si vuole intervenire sulla rigenerazione delle città
venete, fermo restando il contenimento del consumo di suolo.
Il
testo presentato ha come obiettivo il rilancio del settore edilizio,
in sofferenza già da tempo. Le altre ragioni conosciute ma non
citate, dalla relazione di accompagnamento della normativa che
s’intende proporre, non palesate, hanno lo scopo di facilitare
tutti quegli interventi che dovranno precedere la nuova
infrastrutturazione prevista per il Veneto negli anni a venire.
Qualcosa come mezzo miliardo per le Olimpiadi del 2026 e tanti altri
finanziamenti per Vaia e rigenerazioni varie.
O
forse, anche per accreditarsi come fatto compiuto, una potestà
legislativa non del tutto definita in materia di urbanistica ed
edilizia, per quanto riguarda l’autonomia differenziata per regioni
a statuto ordinario come il Veneto. L’urbanistica allo stato
attuale, comunque resta ancora costituzionalmente una prerogativa
della legislazione statale.
“VENETO
CANTIERE VELOCE” a chiusura della titolazione della proposta di
legge 513 è ben chiara come parola d’ordine, per ciò vuole
significare.
Preparazione
ad un interventismo tutto edilizio e poco urbanistico senza se e
senza ma.
Il
mondo ambientalista, che si aspetta una “green economy” dal nuovo
governo del territorio il quale, si spera, abbia imparato qualcosa
dagli eventi degli ultimi tempi che hanno segnato l’assetto del
nostro pianeta Terra, nutre, una qualche perplessità per questo
progetto di legge che si annuncia non proprio come si dichiara. Si
teme, che in Veneto possa avere luogo ciò che è accaduto in tempi
delle mani sulla città. Ma soprattutto si paventa, una deregulation
che metta in pericolo le immagini identitarie dei centri e la loro
funzione storica. Pende sugli abitati, con questa nuova legge in
itinere, la saturazione delle varie zonizzazioni delle città, che
finora nel bene o nel male, il PRG ne ha limitato l’aumento di
volume e dunque, in qualche modo, anche il consumo di suolo che si
vuole, a parole, “contenere”.
Non
è certo che questa proposta di legge passi, perché rischia di
essere annullata per incostituzionalità. Ma comunque, la tendenza
che attraverso l’ambiguità delle parole e la difficile lettura per
richiami e rinvii ad altre leggi formino un corpus non univoco, va
evitata. Una norma di legge dovrebbe poter evitare letture e/o
interpretazioni diverse, le quali potrebbero anche dare luogo a
conflittualità interpretativa.
I
legislatori che hanno prodotto quell’articolato del progetto di
legge n.513 assai favorevole alla cantierizzazione di qualsivoglia
intervento edilizio e poco prudenti nei necessari controlli,
dovrebbero avere l’umiltà di riformulare i vari articoli
riscrivendoli senza rinvii ad altre norme, e nel periodare di una
lingua italiana, inclusiva di univocità nella trasmissione del
significato.
Nel
merito del testo presentato, già a leggere l’art. 2, per esempio,
i timori di interventi a briglia sciolta sono il primo pensiero che
viene in mente, quando l’inizio dei lavori diventa un automatismo.
Basta una semplice comunicazione d’inizio di attività (CILA) per
qualsiasi lavoro, financo per quei lavori che necessitano di delicata
attenzione nella progettazione e nell’esecuzione.
Magari
a non pochi chilometri di distanza dalla più vicina Soprintendenza,
può iniziare qualsiasi intervento di restauro e/o di
ristrutturazione edilizia. Viene allora da chiedersi quale figura
professionale, magari di un piccolo comune, sindacherà quella
conduzione dei lavori, se mai vorrà farlo?
Quanti
uffici di piccoli Comuni dispongono di un architetto?
Ecco,
credo che basti questo esempio, per comprendere il significato della
“semplificazione” nel disegno di legge 513. Non ci vuole molto
per capire, che quanto si propone con l’articolato delle norme, non
dà sufficienti garanzie di salvaguardia dei beni immobili storici da
soli e/o insieme, ma anche della loro distribuzione spaziale e dello
schema viario. Il tutto, comunque, di quello che può essere
coinvolto in lavori di rigenerazione.
Con
la legge in questione, il Codice
dei beni culturali e del paesaggio si potrà mettere in soffitta!
Quanto
altro volume con l’art. 3 potrà essere aggiunto alle cosiddette
zone di completamento?
Con
i nuovi volumi che fanno aumentare le persone residenti in una zona,
saranno ancora soddisfatti i parametri stabiliti dal D. I. 1444,
detto anche degli standard residenziali?
Non
è tutto qui, ma tanto basta per dire che il nuovo progetto di legge
può essere stato concepito con tutte le buone intenzioni che si
vogliono, nel senso di migliorare la vita dei cittadini, ma per
quello che mostra, appare più proteso a dare mano libera a nuovo
cemento che non a fare stare meglio la gente.
I
legislatori che lo sostengono ma anche gli altri, sono sicuri che è
questo che vuole la gente del Veneto?
Giuseppe Cancemi